Io, il tubo e le pizze

Io, il tubo e le pizze

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Un “saluto” cinematografico di soave leggerezza per un grande indagatore della nostra identità nazionale, sia sul tubo (catodico) che con le pizze (di pellicola): Ugo Gregoretti consegna, con Io, il tubo e le pizze, un piccolo compendio di decenni di indagini, interviste, viaggi nella profonda provincia italiana che, purtroppo, vede la luce ormai postumo. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023.

Io, mio figlio e sua moglie

Il film è la sintesi del percorso creativo e professionale dedicato alle immagini di Ugo Gregoretti ed entra nella storia e nella realtà culturale italiana d’Italia riflessa nel cinema e nella televisione. Lo stesso Gregoretti ci porta con ironia e delicatezza attraverso gli episodi della sua vita personale e professionale, corredati dalle immagini dei suoi film e dei suoi programmi televisivi, con l’umorismo che caratterizza tutte le sue opere, per rivedere come eravamo e capire che ora non siamo tanto diversi … [sinossi]

Sorta di auto-omaggio, come a ricordare tutto quanto fatto anche a se stesso, Io, il tubo e le pizze è l’ultimo saluto, al pubblico e alla vita, di Ugo Gregoretti, scomparso ormai da più di quattro anni, il 5 luglio 2019 all’età di 88 primavere. Uno degli artisti più inafferrabili e difficilmente richiudibili in categorie del panorama nazionale, attivo su ogni media, dal cinema alla televisione, dal teatro alla letteratura. Era anche un intellettuale molto popolare, specie per i suoi sceneggiati degli anni Sessanta tratti da grandi romanzi o, a testimoniarne l’eclettismo e la totale mancanza di atteggiamenti snobistici, per la co-conduzione al fianco di Mara Venier di un paio di stagioni di Domenica In negli anni Novanta. Per questo compendio con cui saluta il proscenio, ha tenuto a sottolineare principalmente una delle sue tante vite artistiche: quella di autore di reportage, coevo del Pasolini di Comizi d’amore, in giro per lo stivale, con uno stile lontanissimo dai Fazzuoli o Mengacci che lo hanno succeduto sulle reti ammiraglie di Rai e Mediaset. Empatico e ironico, compiacente e giudicatore, Gregoretti, pur senza mai sopravanzare l’intervistato di turno, non era mai solo un reggitore di microfono ma interveniva, apprezzava o stigmatizzava alla bisogna, faceva emergere senza sconti il proprio punto di vista. Iscritto al Partito Comunista Italiano dal 1970, si è sempre distinto come pensatore e voce critica dall’interno del campo della sinistra italiana. Rivederlo, all’inizio di questo film, che discende le scalette di un camion-regia è un vero e proprio tuffo al cuore, e l’attrattiva principale dell’opera è quella di passare insieme a lui e al suo puntuto sarcasmo un’ulteriore ora e mezza, un regalo inaspettato. Proprio per questo, le ingenuità registiche e di scrittura nella “cornice” scelta per introdurre e commentare i segmenti (una passeggiata a Villa Borghese con figlio e nuora al seguito) possono tranquillamente passare in secondo piano.

Per più di tre quarti del minutaggio, Gregoretti sceglie di riproporre le sue interviste suddividendole sommariamente per aree tematiche: si inizia dal rapporto con gli animali e in particolare con gli uccelli, si continua intervistando Rocco Siffredi, si finisce pedinando un molestatore seriale e facendogli notare l’incongruenza tipica e difficile da scalfire nell’italiano medio di allora e di ora, la differenza tra la spregiudicatezza irrispettosa verso tutto il mondo femminile con l’esclusione delle “sante” madri e sorelle, che non si sognerebbero mai di uscire da sole per non essere importunate da tipi come lui. Una delle linee di lettura è questa, non certo l’unica ma forse la più importante: si assiste ad un progressivo cambiamento dei costumi, si stigmatizzano interiormente frasi oggi poco accettabili, si capisce che il Nostro anche in questo campo, per l’epoca, era una mosca bianca e un grillo parlante che aveva compreso alcune cose ben prima dei suoi compagni di lavoro e partito. Particolarmente gustosi anche i servizi dedicati alla fede religiosa declinata in provincia, come l’adorazione degli schizzi di fango su un portone che sembravano aver assunto il volto del Cristo, tra prefiche adoranti e vitelloni ironici dell’Appennino. Emerge il ritratto di un’Italia ricolma di specificità folkloristiche e culturali ma non così diversa da Nord a Sud come spesso si crede, ingenua e al contempo ferina, con pochi punti di riferimento (il lavoro, la religione) ma chiari e granitici. Un’Italia di ruoli ben definiti e altrettanto definite ingiustizie, non più rigidamente suddivisa per classi di censo solo perché il boom economico rimodulava in continuazione fortune e miserie.

Al cinema è dedicato l’ultimo, importante, segmento, con la riproposizione praticamente integrale dell’episodio “siciliano” de I nuovi angeli, film diretto nel 1962 e cosceneggiato insieme a quel Giuseppe Colizzi che di lì a poco darà il battesimo artistico alla coppia Spencer-Hill. Attori non professionisti, una verità sui rapporti tra giovani dell’epoca e lavoro e società che forse il solo Olmi ha saputo replicare restituendo la medesima sensazione di prossimità totale con la materia narrata. L’arrivo dell’industria, il miraggio del lavoro fisso, la nobiltà invidiata delle tute blu che alla sirena escono dalla fabbrica con incedere sicuro, testa alta a guardare un futuro che, forse mai come allora, si percepiva roseo e foriero di nuove opportunità. Quando si passa dal tubo alle pizze, o alle “pizzette” per dirla con Gregoretti, si capisce anche il senso ultimo dell’intera operazione: con le inquadrature, i tagli di luce, il copione, tutto l’armamentario, insomma, della grammatica cinematografica, si riescono a sintetizzare con uno sguardo, un primo piano e un movimento di macchina intere ore di girato televisivo. Un ultimo cenno alla “cornice”: ad accompagnare il regista in quest’ultimo viaggio per Villa Borghese e, simbolicamente, attraverso il tempo e lo spazio del nostro Paese, sono il quintogenito Filippo e la moglie Huang Tai-hsuan, di origini taiwanesi. Il suo uso di parole in un italiano forbito, antico, figlio di studi fiorentini, è l’ennesimo ponte tra generazioni e culture, contro ogni stereotipo e anzi prendendosi gioco dello stereotipo stesso. Girato e montato nel 2017, è un vero peccato che veda la luce solo ora come inedito postumo, senza aver dato una chance a Gregoretti di tornare sulla ribalta per un ultimo saluto: glielo tributiamo noi ora, per quel che vale, con l’assicurazione che non ne dimenticheremo mai i brillanti contributi al progresso sociale e culturale del Paese. Evviva Gregoretti dunque, ora e sempre.

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