Frarìa

Frarìa

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Presentato nello Spazio Italia del 41° Torino Film Festival, Frarìa è un cortometraggio di Alberto Diana, un racconto crepuscolare che ci porta alla Sardegna degli anni Venti, all’avvento del fascismo che coincide con l’omologazione culturale e linguistica del paese.

C’è chi dice no

Angelo ha quindici anni e vive in un piccolo paese tra le montagne nel sud della Sardegna nel primo dopoguerra. È molto timido e viene preso in giro per l’invalidità del suo fratello maggiore, Agostino. Non riesce a difendersi, e vorrebbe mostrare più fiducia in sé stesso, come il suo migliore amico, il carismatico Bastiano. La vita scorre in un’apparente tranquillità campestre, ma la quiete del villaggio è messa in crisi dalla prepotenza delle camicie nere. Mentre tutto il paese festeggia in piazza davanti ad un gran falò, Angelo non potrà più esitare e dovrà decidere da che parte stare. [sinossi]

«Ti rispetterebbero di più se indossassi una divisa simile»: lo dice un ragazzo all’amico spiando da lontano un pestaggio delle camicie nere. Siamo nella Sardegna rurale degli anni Venti nel racconto dell’ultimo cortometraggio di Alberto Diana, Frarìa, presentato al 41° Torino Film Festival nella sezione Spazio Italia. L’avvento del fascismo e degli squadristi è visto come un atto di prepotenza e bullismo nel contesto di una piccola comunità rurale: aderivano alle camicie nere quei giovani che cercavano un successo, un’occasione di vantaggio o rivalsa sociale che non avrebbero potuto conquistare altrimenti, esattamente come il fattore Attila di Novecento. Ma il film parla anche della fascinazione che questi bulletti, capitanati da un ragazzo dai capelli lunghi e corvini, una figura inquietante di angelo della morte, esercitano. Loro stessi trovano facilmente il consenso tra i giovani del villaggio. Qualcuno li definisce coraggiosi, nonostante siano palesemente dei vigliacchi: se la prendono con i più deboli e dileggiano Agostino per la sua disabilità.

«Sono quelli vestiti come corvacci»: non si usa mai il termine di camicia nera o di fascista nel film. Alberto Diana racconta l’avvento del fascismo prima di tutto come un’omologazione culturale e linguistica. Dalla loro prima irruzione, i ragazzi squadristi parlano in italiano distinguendosi dalle persone del villaggio, che si esprimono in sardo. Impongono la lingua nazionale, obbligando gli altri a usarla quando si rivolgono a loro. Ma si tratta di una posa e facilmente anche loro tornano a esprimersi nella lingua locale. Come sappiamo – come del resto lamentava Pasolini quando diceva che il potere della società dei consumi stava portando all’aculturazione che nemmeno il fascismo era riuscito a ottenere –, questa standardizzazione, in primo luogo linguistica ma che si sarebbe estesa all’urbanizzazione, all’industrializzazione, alla contaminazione del paesaggio, sarebbe proseguita anche oltre la fine del ventennio con il boom economico, il capitalismo.

Già l’inizio del film, coi colori sbiaditi, con i ragazzi che giocano a pallone, oltre a presentare Angelo, che cade e si rialza, ci porta in un’atmosfera del passato, da cartolina sbiadita. Frarìa è prima di tutto la raffigurazione di una Sardegna premoderna, di una società in cui vige una solidarietà anche economica e l’aiuto reciproco. Agostino, dopo aver sistemato la falce al compaesano, gli dice: «Quando puoi mi ripaghi». Una società che vive all’ombra di un antico ulivo e che si ritrova nelle feste di piazza davanti a un focolare. Oltre a questa forma naturale di energia, si vede poi solo una lampada esterna alla fine del film. Ancora una Sardegna che non è stata deturpata, come quella del lungometraggio di Alberto Diana Fango rosso, dalla produzione energetica di massa, dalle raffinerie o dalle attività estrattive. Da quel film torna il concetto di racconti orali: la storia di Frarìa si basa infatti sulle storie raccontate al regista dal proprio nonno. E torna anche l’immagine del falò primordiale: il titolo “frarìa” significa appunto scintilla, oltre a giocare sull’assonanza del concetto di fratellanza, sul legame tra Angelo e Agostino. E questo in un film che, in una ventina di minuti, è come un romanzo di formazione del primo, che dalla caduta iniziale impara a rialzarsi e a rifiutare di farsi incantare dalle sirene ideologiche del fascismo come di ogni tipo di omologazione e massificazione.

Info
Frarìa sul sito del Torino Film Festival.

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