Il teorema di Margherita

Il teorema di Margherita

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Ulteriore prova della buona salute del cinema medio francese, Il teorema di Margherita di Anna Novion è il racconto appassionato di un’ossessione che porta alla solitudine e poi alla sconfitta. Ma con la possibilità di un riscatto, di una risalita che sarà concessa, alla protagonista, solo al prezzo della rinuncia alle proprie certezze e abitudini, aprendo una breccia attraverso la quale lasciar passare il rischio e i suoi imprevisti dentro un’esistenza fatta di regole e privazioni.

La vita al di là dei numeri

Il futuro di Marguerite, una brillante studentessa di matematica presso la Scuola Normale Superiore, sembra essere già pianificato. È l’unica donna del suo corso, sta per terminare la tesi che dovrà esporre davanti ad una schiera di ricercatori. Arrivato il grande giorno, un piccolo errore fa crollare tutte le sue certezze. Marguerite decide quindi di mollare tutto e ricominciare da capo. Il professor Werner, che fino ad allora l’aveva seguita con benevolenza, le impone di collaborare con un altro studente, Lucas, mentre lei stringe la prima amicizia della sua vita con Noa, che vive per la danza. Dopo anni dedicati solo allo studio, Marguerite dovrà imparare a destreggiarsi anche nella vita di relazione per cercare di riscattarsi e arrivare ad affrontare il teorema di Goldbach, considerato irrisolvibile, e forse a scoprire l’amore. [sinossi]

Il teorema di Margherita, terzo film della regista franco-svedese Anna Novion, in primo luogo sceglie accuratamente il suo luogo d’indagine: l’ENS o Scuola Normale Superiore, un tipico istituto di alta formazione dove gli studenti sono spesso tagliati fuori dal resto del mondo, così che si concentrino unicamente sui propri studi; in più il campo della matematica, scienza pura, astratta, acuisce il senso di estraneità alle cose terrene che il film, tramite il suo personaggio principale, cerca di introdurre fin dalle prime battute. Si tratta di un racconto a focalizzazione interna, uno dei più risoluti visti negli ultimi tempi assieme a La sala professori di İlker Çatak. Marguerite (chissà perché la distribuzione ha deciso di italianizzare il nome), interpretata da Ella Rumpf (che i cinefili ricorderanno quantomeno in Raw di Julia Ducournau) è infatti costantemente in scena sebbene la macchina da presa, contrariamente a quel che accade nel film tedesco, decida di non braccarla preferendo piuttosto un approccio maggiormente arioso, alla giusta distanza dal corpo della protagonista. Corpo che appare bloccato, goffo, ogniqualvolta deve interagire nell’ambiente sociale: occhiali spessi, abbigliamento trasandato, ricurva sulle spalle, Marguerite è il prototipo della nerd, così come è stata tipizzata da un gran numero di film, americani perlopiù, ambientati tra le mura di un college. Il primo atto fissa le coordinate del personaggio (nella prima scena la vediamo sostenere un’intervista in tuta e pantofole) e del rapporto con il suo mentore, Werner (un Jean-Pierre Darroussin d’impeccabile misura), il professore che la segue e con cui dovrà discutere la tesi di dottorato che verte sul problema insoluto del teorema di Goldbach. Ma lo scacco è in agguato: durante una dimostrazione della teoria di Szemeredi, lo studente Lucas, nuovo pupillo di Werner, fa un’osservazione che invalida tutto il ragionamento di Marguerite, smontandone le tesi. Qui il racconto subisce una prima torsione per cui il personaggio deve riconfigurarsi e per farlo non esita a gettare alle ortiche tutte le sue certezze presenti consegnandosi a un’apertura totale. Marguerite, ferita nell’orgoglio, decide di mollare con l’ENS e la matematica, tra lo sconcerto del suo docente e ripartire da zero. Emerge una profonda differenza sul modo in cui i due concepiscono il rapporto professore-allieva. Sin dal giorno in cui ha fatto il suo ingresso alla Normale, lei lo ha considerato come un protettore; nella testa di Marguerite la loro relazione include sentimenti, al contrario di Werner che invece vorrebbe solo mantenere un distacco netto. Lei vorrebbe che lui la apprezzasse, come in un sano rapporto padre-figlia, solo che Werner non riesce a farlo e la ragazza si sente tradita per questo.

Un tema, quello del paternalismo, già fortemente presente nei due film precedenti di Novion, Les grandes personnes e Rendez-vous à Kiruna e che qui viene riconfigurato in un coming-of-age che ha le sembianze di un viaggio iniziatico. Nella parte centrale del film, infatti, Marguerite si apre al mondo, tagliando i ponti con l’accademia, cercando un lavoro, stringendo un rapporto asimmetrico ma stimolante con la sua nuova coinquilina Noa, scoprendo il piacere dei sensi e del sesso che si era a lungo negata, arrabattandosi per tirare su qualche soldo. Qui la regista e i suoi sceneggiatori hanno mano decisamente felice nel descrivere questa rinascita e soprattutto la collisione tra tre diversi mondi che vengono a contatto: quello di Marguerite, quello di Noa (il suo opposto, che esprime sé stessa innanzitutto con la fisicità azzerando la dimensione concettuale) e quello di Lucas, uno studente che ha un legame con la matematica totalmente diverso, non sganciato dalla vita e dai sentimenti ma anzi in stretto rapporto con essi, per cui la ricerca non è un esercizio solitario come per Marguerite ma uno scambio proficuo di competenze. Ed è riuscita, in particolar modo, la trovata del mahjong come motore economico ed esistenziale: la ragazza capisce che con il suo talento per i calcoli quello è un modo veloce per guadagnare denaro e infatti si dimostra ben presto imbattibile; ma è proprio l’esercizio del gioco che le offre l’opportunità di rientrare nella matematica da una porta secondaria, di rinfocolare la propria passione e di metterla sulla strada giusta per la decrittazione del problema di Goldbach. In prossimità del terzo atto del film, la sceneggiatura gestisce brillantemente il plot relazionale: sarebbe stato facile innescare una frizione tra Marguerite e Noa al sorgere delle prime crepe del rapporto tra le due, invece giustamente ogni conflitto viene ricomposto nell’ottica di una vicinanza affettuosa alla protagonista, cui vengono risparmiati ulteriori ostacoli. Maggiori problemi invece intercorrono per quanto riguarda il plot pragmatico, quello della ricerca matematica, tanto che a un certo punto quando Marguerite in preda all’ossessione dei calcoli inizia a tappezzare il suo appartamento di formule matematiche senza risparmiare alcuna superficie, sembra di essere finiti dalle parti di A Beautiful Mind (Ron Howard, 2001), con annessi i più triti luoghi comuni sull’isolamento mentale del genio tormentato in sospetto di autismo.

Il teorema di Margherita è anche il racconto di una donna che deve affinare le armi in una serie di competizioni che la vedono sempre contrapposta all’universo maschile: che il teatro dello scontro sia un’aula universitaria o una bisca clandestina allestita per i tornei di mahjong, Marguerite è sola in un mondo di uomini che detengono il potere e operano una costante pressione su di lei per metterla alla prova; come in un classico viaggio dell’eroina, allora, il suo valore sarà misurato sulla qualità della risposta individuale ai problemi che le si presentano. Ad una buona tenuta del racconto, il film fa corrispondere poi una regia che tiene conto dei punti di svolta e adegua il proprio stile ai diversi mutamenti dello spartito narrativo e ai cambi di location. Si inizia con la Scuola Normale Superiore, quasi monocromatica, silenziosa: la cornice del quadro è dunque geometrica per riprendere l’ordine che prevale in questa istituzione. Poi in concomitanza con il disordine e l’irrazionalità che irrompono nella vita di Marguerite, la tavolozza cromatica si arricchisce di colori e i movimenti di camera si fanno più leggeri, con un uso parco della macchina a mano. Sostiene Novion che alla base dell’idea per il suo film c’è un’esperienza personale, un isolamento forzato a seguito di una malattia occorsale intorno ai vent’anni che generò un distacco con i suoi coetanei e una conseguente difficoltà nel tornare alla vita di relazione. E Il teorema di Margherita è precisamente un’opera che cerca un modo per esprimere un profondo senso di disconnessione con il mondo e con gli altri.

Info
Il teorema di Margherita, il trailer.

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