Tasio

Messo inevitabilmente un po’ in ombra dai colossi Napoléon e I sette samurai, nella sezione Cannes Classics del Festival di Cannes 2024 torna come nuovo anche Tasio di Montxo Armendáriz, tra i titoli più significativi del cinema basco. Altra pellicola passata dai laboratori de L’Immagine Ritrovata di Bologna, il film di Armendáriz è un inno oramai nostalgico alla libertà, alla natura, alla vita semplice.

Eusko gudariak

Tasio lavora come carbonaio dall’età di quattordici anni, in un piccolo villaggio della Navarra. La vita cambia, ma la montagna rimane sempre la stessa: ripida e maestosa. La montagna è lo scenario dei suoi giochi infantili, ma è anche il luogo dove trova il pane per la sua famiglia. Quando diventerà adulto, aggiungerà il bracconaggio al carbone. Nonostante sia un periodo di esodo rurale, di emigrazione verso le città, alla ricerca di un futuro migliore, Tasio preferisce restare e vivere in montagna, in assoluta solitudine per salvaguardare la sua libertà… [sinossi – festival-cannes.com]

Prosegue il nostro percorso all’interno della sfaccettata selezione di Cannes Classics, come sempre foriera di titoli tra l’importante e il fondamentale. Dopo Napoléon di Gance e I sette samurai di Kurosawa è difficile fare meglio, ma non si vive di sole pietre miliari. Premesso che la soluzione Classics\Classici non potrà MAI sostituire una seria retrospettiva, Tasio di Montxo Armendáriz è senza dubbio un recupero di valore. Presentato, tra gli altri, dallo stesso regista basco, il film rivisto oggi si ammanta di una patina ancor più nostalgica. Gli anni Ottanta sono da tempo il secolo scorso e i valori rievocati da Armendáriz risuonano ancora più lontani, forse perduti per sempre.

Sincero, cristallino, Tasio fotografava già nel 1984 una realtà agli sgoccioli, oggi purtroppo lontanissima. La montagna, la natura, la vita semplice, i rapporti umani. Non è passato un secolo, ma è comunque quello scorso. Riusciremo a tornare indietro? No, probabilmente no. Lo vediamo da tanti piccoli dettagli, dal bicchiere di vino offerto al guardiacaccia, dal rapporto tra Tasio e la (futura) moglie, poi tra lui e la figlia. Lo vediamo da come Armendáriz, autore anche della sceneggiatura, mette in scena lo scorrere del tempo: il suo sguardo, la sua naturalezza (in spagnolo naturaleza vuol dire natura, termine che il regista basco ha ripetuto più volte durante la sua presentazione), la capacità di mettere in risalto l’eternità della montagna, la sua maestosità.
Mentre tutto sembra restare uguale, stagione dopo stagione, scorrono placidamente le vite dei villaggi della Navarra, i bambini diventano ragazzi, i ragazzi diventano uomini, poi mariti, padri, nonni. Alcuni restano, altri, molti altri, prendono la strada della città. Uno, Tasio, resta lì, persino da solo, tra i monti – si potrebbe pensare al personaggio di Bruno (Alessandro Borghi) de Le otto montagne, ma qui siamo casomai più vicini a Olmi, a uno sguardo quasi documentario e soprattutto a una messa in scena delle montagna profondamente rispettosa, personale, viscerale.

Da un lato, il volto impassibile della montagna; dall’altra, i volti così cristallini di Patxi Bisquert (Tasio adulto) e Amaia Lasa (Paulina adulta). Nelle azioni, nei gesti, nella scrittura, Armendáriz cerca di non allontanarsi mai dalla naturaleza, anche quella dei suoi protagonisti, bambini e adulti. Scelte estetiche che si riflettono in una narrazione che illustra con semplicità anche passaggi drammatici – si veda tutta la sequenza dell’incidente fatale del giovane carbonaio, con la macchina del parroco che si muove dal paese, praticamente un evento. Dilatato nel tempo ma dalla narrazione vivace, Tasio illustra una quotidianità di fatica e rinunce, una vita di cose essenziali, di amori eterni, di corteggiamenti che scavallano i mesi, di baci furtivi lungo un sentiero. E di carbone, carbone, carbone. E caccia, pesca, ovviamente di frodo. Giusto così: libertà, montagna, piccole comunità, una dimensione davvero altra rispetto alle mille luci della città – che non vedremo mai.
Tasio è una poesia visiva (con ottime musiche di Ángel Illarramendi) che cerca di rimandare la tristezza, che non ha voglia di raccontare la fine, il dopo, la montagna disabitata. Probabilmente aveva ragione lui, Tasio, libero dal giogo della contemporaneità. Armendáriz lo tratteggia così, personaggio di straordinaria semplicità, immerso tra i suoi boschi, a fare carbone, a pescare trote, a cacciare conigli e a ricordare Pauliana, la più bella di tutte.

Info
La scheda di Tasio sul sito del Festival di Cannes.

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