L’invenzione di noi due

L’invenzione di noi due

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Prende l’abbrivio dal romanzo omonimo di Matteo Bussola L’invenzione di noi due, secondo lungometraggio per il quarantaquattrenne vicentino Corrado Ceron nel quale si condensa una lunga e articolata storia d’amore e di passione, quella vissuta da Nadia e Milo. Un lavoro non privo di qualità al quale avrebbe giovato una maggiore libertà espressiva. In sala dopo essere stato presentato alla settantesima edizione del Taormina Film Festival.

I banchi di prova e i banchi di scuola

Milo, sposato con Nadia da quindici anni, si accorge che lei non lo desidera più. Non lo guarda, non lo ascolta, non condivide quasi più nulla. Ma Milo non si arrende e un giorno le scrive fingendosi un altro, dando inizio a una corrispondenza segreta. In quelle lettere, sempre più fitte e intense, entrambi si rivelano come mai prima. [sinossi]

È interessante, per quanto vi sia un altissimo grado di casualità in questo apparentamento, che nella stessa settimana il pubblico italiano abbia modo di confrontarsi con due racconti densi di sentimento, in cui si prova a dettagliare la crisi e la fine della passione all’interno di una coppia. Il primo, Indagine su una storia d’amore, vede il ritorno sul proscenio cinematografico nazionale di Gianluca Maria Tavarelli dopo quasi dieci anni di “esilio” televisivo; il secondo segna l’opera seconda del quarantaquattrenne vicentino Corrado Ceron, il cui esordio Acqua e anice prese parte alla Mostra del Cinema di Venezia all’interno dei lavori delle Giornate degli Autori. Due film che si muovono attorno al filo della nostalgia, dell’impossibilità di sopravvivere come coppia e allo stesso tempo dell’indicibile difficoltà di andare oltre la crisi, di superare l’ostacolo della nostalgia, dell’affetto perduto, in fin dei conti della sconfitta. L’invenzione di noi due, che prende l’abbrivio da un romanzo di successo di Matteo Bussola – che partecipa anche alla scrittura della sceneggiatura, insieme a Federico Fava, Valentina Zanella e Paola Barbato, a sua volta autrice letteraria nonché compagna di Bussola –, ha l’ambizione di raccontare la decennale relazione tra i due protagonisti, Nadia e Milo, che si sono conosciuti adolescenti sui banchi del liceo veronese che frequentano e anni dopo hanno intrecciato una relazione dominata da una passione dirompente. Una passione che con gli anni si affievolisce, forse soprattutto da parte della donna, cosicché Milo ha l’idea di far ripartire il rapporto là dov’era nato, nella cornice epistolare. Se i due da ragazzi si erano innamorati scambiandosi messaggi scritti sui banchi, ora Milo scrive in forma anonima alla sua compagna, sperando di risvegliare il desiderio di lei verso di lui.

Questo il motore dell’azione che dalle pagine del romanzo di Bussola deve trasformarsi in immagine tra le mani di Ceron. Un’operazione solo all’apparenza semplice, perché il regista rimane forse in parte troppo succube del testo di partenza, e così L’invenzione di noi due viene gravato da una letterarietà eccessiva, in particolar modo proprio nella dimensione epistolare cui si faceva cenno dianzi; l’impianto resta dunque statico, come se l’azione dovesse vivere nella parole, nelle voci narranti, in uno spazio mai davvero reale, quasi a sottolineare il desiderio che è ancora privo di concreta forma che sta alimentando l’azione di Milo. Sarebbe una suggestione interessante, non fosse che per sopperire al suddetto immobilismo si creino personaggi secondari pressoché impalpabili nella loro reale concretezza, nonostante un dichiarato riferimento metaforico – la malattia come contraltare di una crisi relazionale – e la presenza di alcuni volti senza dubbio utili alla causa (l’apparizione di un sempre apprezzabile Paolo Rossi ridesta l’attenzione, ad esempio). Il film diventa dunque un gioco a due, ed è in gran parte per merito delle ottime interpretazioni di Lino Guanciale e Silvia D’amico che lo spettatore resta avvinto, in quanto il magnetismo che i due mettono in scena è quantomai credibile, persino sincero, scardinando quel muro di scrittura che appesantiva la visione.

La regia di Ceron vive di belle intuizioni, mostra una fluidità notevole, si dimena tra passato e presente tentando di rivitalizzare l’opera e comprende a sua volta di doversi incollare ai volti dei suoi protagonisti, lasciando che siano loro a determinare la centralità dello sguardo. L’invenzione di noi due vive in qualche modo di invenzioni estemporanee, come stesse lo stesso film vivendo una crisi dalla quale riesce a emergere solo occasionalmente; in quei momenti si respira l’aria di un cinema libero, che non ha timore – rarità, in Italia – del sesso e dei corpi, e che potrebbe ambire anche a un discorso universale. A questi momenti però rispondono stasi improvvise, scelte facili, dialoghi che non hanno la pregnanza necessaria per restare incollati nella memoria, e immagini che a loro volta scivolano via dalla retina con eccessiva rapidità. Si resta così sospesi nel vuoto, a metà tra altezze degne del miglior cinema romantico europeo e cadute nell’anonimato espressivo, in un saliscendi registico che è forse da attribuire a un cineasta ancora alla ricerca della propria voce, e di un immaginario maggiormente originale.

Info
L’invenzione di noi due, il trailer.

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