The Young Girl
di Souleymane Cissé
The Young Girl è il titolo internazionale con cui è conosciuto Den Muso, il film con cui esordì al lungometraggio nel 1975 Souleymane Cissé; il regista maliano, narrando di una giovane ragazza muta violentata dal ragazzo con cui si vede, traccia il resoconto di un’Africa che uscendo dalla colonizzazione non riesce a trovare una propria forma precisa. Tra brutale realismo e poesia, Cissé schiaffeggia apertamente la propria nazione attraverso l’immagine, e per questo venne anche arrestato. Alla Quinzaine des cinéastes 2023.
La parola è muta
Sékou viene licenziato dalla fabbrica di biciclette gestita da Malamine Diaby perché ha osato chiedere un aumento. Esce con Ténin, una ragazza muta, che non sa essere la figlia del suo ex capo. Un giorno, durante un’uscita con amici, Sékou la violenta. Ténin si ritrova incinta e subisce l’ira dei suoi genitori. Viene quindi a confrontarsi brutalmente con la morale della sua famiglia e la codardia di Sékou che rifiuta di riconoscere il bambino. [sinossi]
Quando Souleymane Cissé nasce a Bamako, il 21 aprile 1940, lo Stato è conosciuto come Sudan Francese; il futuro regista ha diciotto anni quando Mali e Senegal (conosciute insieme come “Federazione del Mali”) ottengono lo status di repubbliche autonome all’interno della Comunità Francese, e venti quando diventano in tutto indipendenti. Nel settembre 1960 viene eletto presidente Modibo Keïta, poi rovesciato otto anni più tardi dal golpe militare capitanato da Moussa Traoré; a questo punto Cissé è un adulto, ha studiato per diventare proiezionista a Mosca (al prestigioso VGIK, vale a dire l’Istituto S. A. Guerassimov: nella scuola Cissé può anche approfondire la conoscenza della storia del cinema, e della sua tecnica), e al ritorno in patria viene assunto come cameraman e primo operatore per il dipartimento di cinematografia del Ministero dell’Informazione. A poco più di trent’anni Cissé ha già visto la colonizzazione, il suo disfacimento, il tentativo – a partito unico – di una direzione prossima al realismo socialista e poi un colpo di Stato comandato dall’esercito: l’immaginario con cui si è trovato a confrontarsi ha condensato in pochi decenni il positivismo ottocentesco e la furia del secolo breve, un privilegio – e allo stesso tempo un onere – concesso a pochi. Nel 1975 Cissé esordisce infine alla regia di un lungometraggio di “finzione” (l’uso delle virgolette non è un vezzo, e troverà spazio più avanti nella disamina), dopo aver diretto un pugno di corti e mediometraggi tra i quali Fête du Sanké e Cinq jours d’une vie, fondamentali per lo sviluppo della sua poetica espressiva.
È molto interessante che Den muso – questo il titolo originale dell’esordio di Cissé, conosciuto a livello internazionale con l’inglese The Young Girl – venga proiettato alla Quinzaine des cinéastes 2023, in occasione della consegna al grande regista maliano della Carrosse d’Or, il premio alla carriera della più anziana delle sezioni collaterali del Festival di Cannes. Interessante non solo perché permette a una generazione che non ha alcuna dimestichezza con il cinema della decolonizzazione di approcciarsi a uno dei suoi titoli fondativi, per di più in una forma collettiva e sul grande schermo del Marriott, ma anche perché l’impressione è che in questi tempi progressisti si sia perso contatto con tutta quella storia del cinema che l’azione politica l’ha fatta attraverso l’obiettivo, utilizzando lo sguardo sulla realtà come un’arma, la più impropria, potente, irrefrenabile delle armi. La Quinzaine des cinéastes ha giustamente chiesto a Cissé di tenere anche una masterclass, perché l’impressione sempre più forte è che l’insegnamento più grande di determinati registi debba necessariamente oramai passare per il confronto dialettico. Rivedere sul grande schermo The Young Girl certifica la morte oggigiorno di quel tipo di cinema, di quella forma dialettica dell’immagine, di quella ricerca del senso attraverso lo sguardo.
Cissé affronta in modo triplice il suo racconto, che è in maniera basica il classico dramma incentrato su una giovane che viene abusata, resta incinta, e deve pagare tanto l’insopportabile e violenta dabbenaggine del coetaneo che l’ha violentata e che nulla vuole sapere del nascituro quanto la retriva posizione reazionaria della propria famiglia, che a sua volta preferisce non avere a che fare con chi li ha esposti alla vergogna. Il triplice modo di affrontare The Young Girl sta nella volontà di costruire una narrazione che non venga meno alla necessità di documentare la realtà maliana, società in rapidissimo sviluppo industriale ma ancorata a una visione ancestrale del ruolo del maschile e del femminile: in questo scontro a essere deturpato è il diritto della donna a determinarsi, ovviamente, ma non solo. Il ragazzo che la violenta ad esempio è stato licenziato in tronco dal suo padrone – che è, per puro caso, proprio il padre della protagonista – solo perché ha osato chiedere un aumento. Nel Mali sotto dittatura il popolo è vessato in ogni modo possibile e immaginabile, tanto nelle prospettive salariali quanto e ancor più nella gestione del proprio corpo, e del proprio desiderio. Alla brutalità documentaria Cissé però contrappone il volo pindarico della poesia, e il potere del cinema come rappresentazione: ecco dunque che Ténin, la “young girl” del titolo, è muta, una scelta che sottolinea com’è ovvio l’impossibilità data alle donne di esprimersi, ma che è anche la rivendicazione del potere dell’immagine, che non ha bisogno della parola per raggiungere i propri obiettivi e dichiarare il punto di vista. Mescolando mélo e documento Cissé si toglie di dosso qualsiasi vezzo “colonizzante” e ribadisce l’indipendenza dell’occhio maliano dalla condiscendenza europea. Cionondimeno vede già le crepe di una società maliana ingiusta, incapace di porre fine a un sistema sociopolitico che annienta qualsiasi reale velleità indipendente. Cissé, come dimostrerà anche nei film successivi (si pensi in particolar modo a Finyé, ma anche ai più noti capolavori Yeelen e Waati), sa riprendere come pochi la bellezza femminile, e la contrappone a una grettezza sociale collettiva che invece non può che muoversi in direzione della distruzione, del possesso fine a se stesso. La metafora politica è fin troppo chiara, e perfino dalle parti del Ministero se ne accorsero, al punto da accusare di varie – e finte – malefatte Cissé, imprigionandolo e vietando la proiezione di questo film doloroso e sovversivo, che fa dell’immagine l’elemento di lotta e spinge il popolo a liberarsi da tutto, perfino dalle proprie convinzioni. Per tre anni Cissé marcirà in prigione, prima di essere liberato e di tornare dietro la macchina da presa con Baara, fermo immagine della crisi della classe operaia. L’occhio evade. Sempre.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Den muso
- Paese/Anno: Mali | 1975
- Regia: Souleymane Cissé
- Sceneggiatura: Abdoulaye Sidibé, Cheik Hamala Keita, Marc, Souleymane Cissé
- Fotografia: Mariselen Jara
- Montaggio: Andrée Davanture
- Interpreti: Adulayi Jara, Balla Moussa Keita, Dounamba Dany Coulibaly, Fanta Diabate, Gogo Danba, Omou Diarra, Yaya Jakite
- Colonna sonora: Wandé Kuyaté
- Produzione: Cissé Films
- Durata: 88'