Righteous Ties

Righteous Ties

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Rispetto a Guns & Talks, gangster movie dal tono più scanzonato, Righteous Ties calca la mano sul ribaltamento dei generi, dei toni e delle situazioni, piuttosto che su una coesistenza armoniosa di comico e drammatico. La sequenza iniziale, soprattutto letta in una successiva analisi, svela le intenzioni del regista…

Le regole di Chi-sung

Eravamo preoccupati, e non poco, dopo l’ultima opaca prova del cineasta coreano Jang Jin, quel Murder, Take One (2005) che era passato al Far East 2006: dove era finita la capacità di scrittura, unita alle competenze registiche, che aveva partorito i gioielli Guns & Talks (2001) e Someone Special (2004)? Jang, che si era contraddistinto per la non comune abilità di far coesistere toni comici e drammatici, aveva clamorosamente fallito col suddetto poliziesco, suo terreno prediletto, apparso eccessivamente macchinoso e inconcludente. Righteous Ties, lungi dall’essere una prova d’appello, rappresentava un passaggio importante, un ulteriore tassello che avrebbe permesso una più completa valutazione dell’opera del prolifico regista, nonché sceneggiatore e produttore. Una maligna pulce nell’orecchio, infatti, ci tormentava anche alla luce del blockbuster Welcome to Dongmakgol dell’esordiente Kwang-Hyun Park (2005), scritto e prodotto da Jang: una resa, pur di non disprezzabile qualità, a un cinema commerciale senza sorprese e reali spunti di interesse?

Righteous Ties, in verità, non risponde in maniera definitiva a tutti i nostri quesiti, ma riporta il cinema di Jang su binari più consoni: nonostante delle perplessità sul reale valore della pellicola, è confortante constatare il funzionamento del meccanismo narrativo, unito a delle invenzioni comiche di sicuro effetto. Rispetto a Guns & Talks, gangster movie dal tono più scanzonato, Righteous Ties calca la mano sul ribaltamento dei generi, dei toni e delle situazioni, piuttosto che su una coesistenza armoniosa di comico e drammatico. La sequenza iniziale, soprattutto letta in una successiva analisi, svela le intenzioni del regista: il confronto tra il killer e la vittima, faccia a faccia intorno a un tavolo, è il terreno ideale per mettere in scena una serie di capovolgimenti, di mutamenti di equilibrio che spiazzano volutamente lo spettatore. Un doppio capovolgimento che mescola le carte in tavola: il killer diventa vittima e poi si riappropria del ruolo di carnefice, mentre il gangster movie diviene commedia, per tornare sui suoi passi. La struttura dell’incipit ricalca, nel suo piccolo, le dinamiche narrative dell’intero lungometraggio, compresa l’immancabile trovata comica (in questo caso, il coltello reso meno letale dal nastro isolante: il killer, seguendo la linea della sua banda, non vuole uccidere ma “solo” ferire, per ben sette volte, la gamba del malcapitato).

Righteous Ties, come molte altre pellicole coreane, propone una visione romantica dei gangster, trasformando il malvivente di turno in un novello eroe, spesso dotato di un cuore e un’integrità invidiabili: il personaggio di Chi-sung (il bravissimo Jung Jae-young, fedelissimo di Jang Jin) è, in questo senso, emblematico e le sue esplosioni di violenza finiscono per trovare una giustificazione morale assolutamente condivisibile. Considerando anche l’evidente rimpianto per un codice “cavalleresco” che sta scomparendo, Righteous Ties assume i toni di un inno, triste e nostalgico, a una generazione di fuorilegge in via di estinzione. La malavita viene dipinta come un mondo a parte, con le sue leggi non scritte e i suoi regolamenti di conti interni: l’ingiustizia, semmai, è il coinvolgimento di innocenti, fossero anche stretti parenti dei criminali (non a caso il protagonista esclama, in una battuta chiave del film, con sgomento e incredulità: “Pugnalati? Ma i miei genitori non sono gangster!”), o il vile tradimento di un compagno o del proprio capo. Efficace, ben realizzata e commovente una sequenza che sottolinea il rigore etico del protagonista: Chi-sung, pugnalato nella schiena dal suo protetto, spegne la luce e sussurra al ragazzo “Non ti vedo. Tiralo fuori e vattene”.

Come detto, Righteous Ties alterna dramma e commedia, con toni anche vagamente demenziali: merita una citazione la trascinante gag del muro della prigione abbattuto a spallate! Il numeroso gruppo di carcerati, uniti e decisi, che si scaglia ripetutamente contro la parete di cemento è un vero spasso: ancor più incredibile, e divertente, in realtà, è la capacità di Jang di trovare più di un appiglio narrativo per prolungare, e rendere logica e credibile, questa strampalata intuizione comica.
La coesistenza–alternanza–ribaltamento dei toni comico-drammatici lascia il posto, come era ampiamente prevedibile, a un finale teso, a una sanguinosa resa dei conti: segnaliamo, del lungo epilogo, la sequenza che mette di fronte il protagonista e l’amico d’infanzia Joo-jong (Jung Jun-ho). Coltello contro pistola. La tradizione e l’onore, se così vogliamo chiamarlo, di fronte alla nuova criminalità che avanza. Il passato, intriso di amicizia, contro un presente e un futuro che sembrano non conoscere nessuna etica. Nonostante il fiume di retorica, un bel finale, da vedere.

Info
Righteous Ties sul sito del Kofic.
Il trailer di Righteous Ties.
Righteous Ties sul sito del Far East.
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