Rembrandt’s J’accuse
di Peter Greenaway
Rembrandt’s J’accuse si dimostra un ottimo saggio teorico sulle potenzialità dell’arte come veicolo della riflessione dell’uomo sull’universo che lo circonda, sulla realtà apparente e sulla possibilità di nasconderla a occhi profani in modo sibillino.
L’arte (è) politica
Con Rembrandt’s J’accuse Peter Greenaway non fa che confermare uno dei nodi cruciali della sua poetica cinematografica: l’arte come atto politico, coacervo di mystery, giallo e thriller destinato a colpire mai troppo in profondità. Un’idea che Greenaway ha perseguito in molte delle sue opere, a partire dall’esordio nel lungometraggio I misteri del giardino di Compton House fino a esperimenti più recenti come The Death of a Composer e, ovviamente, Nightwatching, di cui l’ultimo parto dell’artista inglese rappresenta l’appendice.
Tutto si muove nuovamente intorno al capolavoro di Rembrandt La ronda di notte, considerato da Greenaway il “quarto dipinto più famoso del mondo” (per la cronaca, i primi tre sarebbero La Gioconda e L’ultima cena di Leonardo Da Vinci e Il giudizio universale di Michelangelo); stavolta però a essere scelta non è la via della fiction, come in Nightwatching, ma bensì quella del documentario, a suo modo anche pienamente didattico. Greenaway, facendo sfoggio di tutta l’apparecchiatura digitale alla quale sembra aver consacrato la propria arte – sarebbe da rimarcare come l’elogio delle nuove tecnologie applicate al cinema fu portato avanti dal cineasta britannico in tempi decisamente non sospetti -, disseziona letteralmente il dipinto di Rembrandt, mettendone in luce i punti che ritiene fondamentali per riuscire a dipanare la complessa matassa del mistero che si agita alle spalle di questo capolavoro della pittura mondiale. Questi punti, ci informa Greenaway, sarebbero cinquanta: noi, nel corso dell’ora e mezza di Rembrandt’s J’accuse, veniamo edotti soltanto su trenta, ma di carne al fuoco ce n’è, e non poca.
Chiunque abbia avuto modo di vedere Nightwatching – privilegio toccato purtroppo solo agli addetti ai lavori, visto che il film, proiettato alla Mostra di Venezia nel 2007, non ha mai ricevuto la doverosa distribuzione sul suolo nazionale – non è spinto a oh di stupore durante l’analisi dettagliata proposta da Greenaway. Ciononostante, o forse addirittura a maggior ragione, Rembrandt’s J’accuse si dimostra un ottimo saggio teorico sulle potenzialità dell’arte come veicolo della riflessione dell’uomo sull’universo che lo circonda, sulla realtà apparente – La ronda di notte fu un dipinto a soggetto, con i protagonisti della vicenda come modelli – e sulla possibilità di nasconderla a occhi profani in modo sibillino. Il grande crimine alle spalle de La ronda di notte, l’omicidio del capitano della milizia di Amsterdam a seguito di un complotto organizzato dai suoi commilitoni, è interamente nascosto tra i chiaroscuri dell’opera di Rembrandt; è un J’accuse (il riferimento nel titolo è ovviamente alla celebre arringa giornalistica di Émile Zola, apparsa sulle colonne de L’Aurore il 13 gennaio 1898 e riferita alle irregolarità evidenziate durante lo svolgimento del processo contro Alfred Dreyfus) in piena regola, un atto d’accusa eterno contro la corruzione del potere e l’intoccabilità della milizia armata.
Greenaway ce ne rende partecipi, mettendo in scena allo stesso tempo l’ennesimo tassello di una riflessione teorica che procede oramai da decenni, e in cui il cinema diventa un oggetto di sempiterna speculazione filosofica. Come Rembrandt anche Greenaway non ci mostra mai la realtà nella semplice superficie del suo cinema: c’è bisogno di entrare in profondità, puntare l’occhio sui chiaroscuri, agire di zoom e di evidenziatore per riuscire a cogliere l’assoluta stratificazione della sua arte. E se altrove, soprattutto negli ultimi anni, il suo cinema sembrava realmente girare a vuoto, incapace di coniugare l’ambizione della teoria alla grammatica della pratica, notiamo con piacere come lo studio di Rembrandt stia rappresentando una nuova giovinezza per uno degli autori più controversi del cinema europeo.
Info
Il trailer di Rembrandt’s J’accuse.
- Genere: documentario
- Titolo originale: Rembrandt's J'accuse
- Paese/Anno: Finlandia, Germania, Olanda | 2008
- Regia: Peter Greenaway
- Sceneggiatura: Peter Greenaway
- Fotografia: Reinier van Brummelen
- Montaggio: Elmer Leupen
- Interpreti: Emily Holmes , Eva Birthirstle , Jodhi May , Jonathan Holmes, Martin Freeman, Michael Teigen, Natalie Press, Peter Greenaway, Toby Jones
- Colonna sonora: Giovanni Sollima, Marco Robino
- Produzione: ARTE, Submarine, Vrijzinnig Protestantse Radio Omroep (VPRO), Westdeutscher Rundfunk (WDR), Yleisradio (YLE)
- Durata: 86'