Quando eu era vivo

Quando eu era vivo

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L’horror spiritico di Marco Dutra, Quando eu era vivo, si muove tra paranoia e occultismo con una notevole cura formale. Nella sezione Mondo Genere al Festival di Roma 2014.

La mamma è sempre la mamma

Dopo avere divorziato e perso il lavoro, Junior torna a vivere da suo padre. La casa dove ha trascorso l’infanzia, però, non è più la stessa. L’ambiente domestico è diventato soffocante e ostile. Bruna, una giovane inquilina, vive in affitto in quella che era la sua stanza. Nel ripostiglio, Junior trova degli strani oggetti che appartenevano a sua madre. Tra questi anche un misterioso messaggio in codice. Convinto che la comprensione del messaggio possa aiutarlo a scoprire alcuni misteri del passato e illuminare il suo presente, Junior inizia ossessivamente a scavare nelle memorie della sua famiglia. Nel frattempo, intorno alla casa iniziano a verificarsi eventi misteriosi. [sinossi]

Una notte ventosa, l’urlo incessante, disperato, irrequieto di un uomo impazzito che i familiari hanno abbandonato in mezzo alla strada. Il ritorno a casa del protagonista di Quando eu era vivo (presentato alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma all’interno della sezione Mondo Genere) suona già dall’incipit come il rintocco di una campana a morto: “quando ero vivo”, risponde il quarantenne Junior a Bruna, la studentessa di musica che il padre a cui il padre dell’uomo ha affittato una stanza. Quando ero vivo… È un film di fantasmi, Quando eu era vivo, ritorno dietro la macchina da presa per il regista brasiliano Marco Dutra dopo Trabalhar cansa, all’epoca diretto insieme a Juliana Rojas (che qui si “limita” a dedicarsi al montaggio), ed è un film di paranoie e (p)ossessioni. Le ossessioni della defunta madre del protagonista, che da bambini coinvolse Junior e suo fratello Pedro nei suoi strani riti occulti, tra maschere di cera, candele a illuminare la casa e musiche più o meno sinistre e che continua a permeare l’appartamento con la sua presenza, nonostante il marito abbia deciso di voltare pagina gettando nel cassonetto (o nascondendo nei recessi più misteriosi della casa) ogni singola memoria fisica della consorte.

Il ritorno di Junior, depresso da un matrimonio finito in maniera burrascosa e alla ricerca – non particolarmente spasmodica – di un impiego, fa collassare in qualche modo lo spazio/tempo, tra memorie, ricordi, fantasmi presunti e reali, musiche ascoltate su un giradischi per bambini, quadri ricollocati su pareti spoglie, porte sfondate e via discorrendo.
C’è una violenza nascosta, misterica a sua volta e persino romantica che si muove nelle coordinate di Quando eu era vivo, retaggio di un mondo malato, disperso, immortale eppure destinato alla caducità. Il percorso compiuto dal film di Dutra non è solo quello di un film di genere, per quanto Quando eu era vivo non si vergogni di confrontarsi anche con gli aspetti più spudoratamente sovrannaturali della trama; al suo interno si cela un discorso sulla famiglia, sulla contrapposizione tra ritualità ancestrale e reiterazione borghese delle convenzioni, e si apre il fianco a una messa in scena in cui lo spazio acquista un valore ulteriore. L’appartamento in cui si svolge la quasi totalità del film (fa eccezione solo la sequenza in cui padre e figlio vanno a trovare Pedro, oramai impazzito e ricoverato in una casa di cura) assume a sua volta il ruolo di personaggio, con i suoi antri, le sue finestre, i suoi spazi occultati eppure completamente aperti. Una scelta di regia che conduce in maniera pressoché naturale ad accostare Quando eu era vivo al cinema di Roman Polanski e a quello di David Lynch, due dei più mirabili costruttori – e distruttori – di interni, in grado di far quasi respirare le pareti in cui sono costretti i propri personaggi.

Ciò che manca a Dutra per raggiungere le vette e la maturità dei suoi colleghi è la radicalità; a volte Quando eu era vivo sembra scegliere la strada più semplice, anziché continuare a problematizzare l’immaginario che si trova a maneggiare. Allo stesso tempo anche la narrazione vive, soprattutto nell’ultima parte, di ellissi e semplificazioni, come se il regista avesse la necessità di arrivare nel modo più rapido alla conclusione, che si dimostra comunque di una efficacia estrema. Un finale nel quale a Dutra basta un campo controcampo, con dialogo essenziale, per ribaltare completamente il senso del discorso, riconducendo a un grottesco (a Quando eu era vivo non manca certo il gusto del nonsense o dell’ironia, una dote da non sottostimare) fermo immagine sul valore degli affetti e sulla loro inestricabile ambiguità.

Info
Il trailer di Quando eu era vivo.
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