Reversal

Reversal – La fuga è solo l’inizio cerca maldestramente di scimmiottare l’estetica di David Fincher e la cattiveria dei vari Saw: ma il risultato rivela un evidente vuoto, di idee e di soluzioni estetiche.

Escape and revenge

Eve, prigioniera in uno scantinato e legata a un materasso, riesce a liberarsi e a sottomettere il suo carceriere. Minacciandolo, lo costringe così ad accompagnarla dalle altre sue vittime, e a liberarle una per una. Ma, nel corso del suo viaggio, la ragazza avrà più di una sorpresa… [sinossi]

Guardando questo Reversal – La fuga è solo l’inizio (in originale Bound to Vengeance, ovvero “legato”, costretto, alla vendetta) viene da pensare per un attimo di aver fatto un piccolissimo salto indietro nel tempo, giusto di un paio di mesi. Difficile, infatti, non immaginare che l’horror di José Manuel Cravioto (regista messicano al suo esordio negli USA) fosse stato inizialmente previsto per il periodo estivo, data la tradizionale usanza italica di relegare a quella finestra temporale questo tipo di uscite. E inoltre, diciamolo pure senza tema di smentite, nessuno si sarebbe scandalizzato se (nel caso specifico) il film di Cravioto fosse rimasto inedito, o magari fosse approdato direttamente nel mercato del direct-to-video. Stupiscono (e come al solito ne sfugge la ratio) le logiche che portano a far uscire in sala prodotti come questo, e a lasciare inedito tanto cinema di genere valido, magari dal potenziale commerciale più forte. Un vecchio, vecchissimo discorso, su cui ora non è il caso di addentrarsi.

Il film presenta la più classica delle storie di vendetta al femminile, mutuata dalla tradizione del rape and revenge e filtrata attraverso l’ottica dei moderni thriller alla Saw (e derivati): una giovane donna, fatta prigioniera dal maniaco di turno (l’incipit col furgone, e l’ingresso nella casa, sono praticamente una dichiarazione di intenti) riesce a sfuggire alla prigionia, sottomette il suo aguzzino, costruendogli un bel collare da accalappiacani, e lo costringe ad accompagnarla presso le varie abitazioni in cui l’uomo tiene prigioniere le sue vittime, per liberarle. Fin qui, non ci sarebbe nulla da eccepire, pur in un plot che non brilla certo per inventiva.
Il primo problema, tuttavia, è la consistenza dei pretesti che il film usa per giustificare i suoi snodi di trama. Il carceriere torna dalla sua vittima, e viene da questa colpito con un mattone, finito nella stanza in cui è prigioniera (evidentemente) per caso. Poi, la donna si libera e pensa bene, innanzitutto, di andarsi a fare una doccia, lasciandosi però indosso la biancheria intima (in un pudicismo addirittura surreale); infine, una volta appurata l’esistenza di altre ragazze prigioniere, costringe il carceriere ad andarle a liberare (senza neanche ipotizzare di lasciarlo fare alla polizia). Che in un prodotto del genere un certo grado di pretestuosità sia da mettere in conto, è indubbio: che, però, non si faccia neanche il minimo sforzo per dare una parvenza di credibilità al tutto, è molto meno scontato.

In più, questo Reversal fa uso di un montaggio schizofrenico, che, lungi dal trovare una qualche giustificazione narrativa, non fa che complicare inutilmente la visione. La narrazione principale è costantemente inframezzata dalle immagini di filmini amatoriali che ritraggono la protagonista col suo ragazzo, o con una coetanea di cui inizialmente non viene svelata l’identità; gli intermezzi, piazzati in modo apparentemente casuale nella vicenda, hanno l’unico scopo di preparare alle due (inutili, e telefonatissime) rivelazioni finali, che coinvolgeranno i rispettivi personaggi. Nel film viene sovente fatto uso, in modo altrettanto gratuito, di un montaggio discontinuo, giocato su piani temporali sfalsati (magari solo di pochi secondi); mentre altri espedienti visivi si accumulano, senza apparente senso o soluzione di continuità, nel corso della visione (primo tra tutti un uso del tutto gratuito, nella fotografia, dei colori). I maldestri tentativi di scimmiottare un’estetica debitrice ai thriller di David Fincher, filtrata da una cattiveria più dichiarata che reale (il tasso di violenza ed emoglobina resta nella norma) coprono in realtà un evidentissimo vuoto, di idee e di soluzioni estetiche.

Gli 80 minuti scarsi di film (durata, se non altro, adeguata all’esilità del materiale rappresentato) accompagnano così lo spettatore tra svolte narrative ingiustificate, azioni di cui si perde presto il senso, dialoghi involontariamente grotteschi, e interpretazioni sostanzialmente anonime: la protagonista Tina Ivlev prova da par suo a indurire lo sguardo, ma il risultato lascia alquanto a desiderare. Quando la vediamo, nei minuti finali, alzare il cappuccio (non crediamo di fare un grande spoiler, visto che l’immagine è anche nella locandina) il rimando al recente, e superiore, Kristy (visto giusto un paio di mesi fa) è inevitabile. E, con esso, il ritorno al discorso iniziale, e gli interrogativi sulle insondabili logiche che muovono la distribuzione italiana. Ma questa, dobbiamo purtroppo ripeterlo, è un’altra e diversa storia.

Info
Reversal, il trailer.
  • reversal-la-fine-e-solo-linizio-2015-04.jpg
  • reversal-la-fine-e-solo-linizio-2015-03.jpg
  • reversal-la-fine-e-solo-linizio-2015-02.jpg
  • reversal-la-fine-e-solo-linizio-2015-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • In Sala

    Kristy

    di Con la produzione esecutiva di Scott Derrickson, Kristy è un thriller/horror solido, nonostante lo spunto pretestuoso e qualche ingenuità, che sfrutta abbastanza bene le potenzialità della sua ambientazione.