Un ponte per Terabithia

Un ponte per Terabithia

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Un ponte per Terabithia non è un fantasy. O, meglio, lo è solo in parte, una parte narrativamente trascurabile. Nel romanzo il magico regno di Terabithia rimane sullo sfondo, sfumato, accessibile solo ai due protagonisti e negato persino ai lettori. Non è la fantasia di Jess e Leslie a essere messa nero su bianco dalla Paterson, ma i loro sentimenti, le paure, le scoperte, le gioie assaporate.

Keep your mind wide open

Jess Aarons, ragazzino introverso e con una grande passione per il disegno, stringe amicizia, dopo le iniziali diffidenze, con la nuova arrivata Leslie Burke, biondina fuori dagli schemi e dall’irrefrenabile fantasia. I due ragazzini, anche per sfuggire alla solitudine e alle difficoltà che vivono sia a scuola che in famiglia, si rifugiano in un regno immaginario, creato dalla loro fervida mente: Terabithia sarà il loro segreto, il luogo dove giocare e dove ritrovare se stessi… [sinossi]
E quando ebbe finito,
le mise dei fiori tra i capelli e la condusse oltre il ponte,
il grande ponte per Terabithia,
che a qualcuno incapace di vedere la magia
sarebbe potuto apparire come un mucchio di assi inchiodate insieme
sopra un torrente quasi in secca.
Da Un ponte per Terabithia di Katherine Peterson

Una premessa: il trailer di Un ponte per Terabithia è quanto di più fuorviante si possa immaginare. Overdose di fantasy e ritmo elevato. Strani esseri ed effetti speciali. Giganti, castelli e mondi incantati. Tutto questo, ovviamente, è presente nel lungometraggio, ma è solo una piccola parte, in fin dei conti secondaria. Chi già conosce il romanzo da cui è tratto il film, l’omonimo Un ponte per Terabithia di Katherine Paterson, avrà storto il naso di fronte all’ingannevole filmato promozionale. Una reazione comprensibile che merita subito una rassicurazione: l’adattamento cinematografico rende giustizia al libro, un classico della letteratura per ragazzi, e non si prende troppe libertà. La componente fantasy, praticamente assente nel romanzo, trova maggiore spazio nella trasposizione per il grande schermo ma non muta assolutamente lo spirito e il significato dell’opera originale: inevitabile che i produttori (gli stessi, particolare ben evidenziato nel trailer, del meno ispirato Le cronache di Narnia), ben consci delle attuali fortune del genere fantastico, calcassero un po’ la mano.

Un ponte per Terabithia non è un fantasy. O, meglio, lo è solo in parte, una parte narrativamente trascurabile. Nel romanzo il magico regno di Terabithia rimane sullo sfondo, sfumato, accessibile solo ai due protagonisti e negato persino ai lettori. Non è la fantasia di Jess e Leslie a essere messa nero su bianco dalla Paterson, ma i loro sentimenti, le paure, le scoperte, le gioie assaporate. La versione diretta con estrema professionalità da Gabor Csupo apre una finestra su questo mondo incantato, ma senza eccessi: è una scelta apprezzabile, che sfrutta con ponderatezza le differenti potenzialità del mezzo cinematografico e che, probabilmente, riesce a sottolineare con maggior forza l’importanza della fantasia (e dell’arte) nella crescita dei ragazzi.
Un ponte per Terabithia, sia chiaro, non è un film per ragazzi (definizione che spesso sminuisce e ghettizza film di notevole livello) ma è un’opera che racconta un’età delicata, di passaggio, un film sui ragazzi. Tornano alla mente due ottimi lungometraggi che rendono perfettamente il concetto: Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro, una delle perle di questa stagione, e Je m’appelle Elisabeth di Jean-Pierre Améris, altro gioiellino, visto alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma, che meriterebbe quantomeno una distribuzione italiana. Quasi una sorta di trilogia, un viaggio nell’infanzia che andrebbe visto a qualsiasi età.

Il film di Csupo, oltre a essere un gradevolissimo prodotto di intrattenimento, suggerisce, senza insistenze e indigesti eccessi didascalici, alcuni temi pedagogici fondamentali e largamente condivisibili: Jess e Leslie, come molti ragazzini della loro età, non hanno un facile rapporto con i compagni di scuola, e trovano nella letteratura, nel disegno e nella loro capacità di sognare a occhi aperti un valido sostegno. L’arte come mezzo per conoscere il mondo e se stessi, per esprimere i propri sentimenti e sfogare la propria immaginazione. In questo senso, la trasposizione cinematografica sembra più efficace della versione cartacea: i disegni di Jess e il tema scritto da Leslie (Immersioni subacquee), ben sorretti dalle sequenze nel bosco magico, sono un inno colorato e vivace alla fantasia. Un inno che ci ricorda il misconosciuto ma pregevole mediometraggio animato Bennys badekar, realizzato dal danese Hastrup nel 1971: in una semplice vasca da bagno il piccolo protagonista riusciva a vivere incredibili avventure subacquee, tra sirene e bizzarri animali marini. La fantasia e il gioco sembrano ai nostri giorni così distanti, soffocati da una tecnologia spesso ingombrante e da uno sviluppo urbano che nega spazi ampi e verdi: il bosco di Jess e Leslie, anche spogliato della componente fantasy, sembra un luogo irraggiungibile per i ragazzini di oggi, soprattutto se intrappolati nelle grandi città.

Altro tema fondamentale è il primo, terribile, contatto con la morte e la conseguente elaborazione del lutto, processo psicologico ancor più complesso per un adolescente: fu proprio la morte di una piccola amica del proprio figlio a spingere la Paterson a scrivere Un ponte per Terabithia nel 1977. Un passaggio delicato, descritto con sensibilità ed evidente cognizione di causa dalla scrittrice, che sulla pellicola assume toni quasi strazianti, emotivamente spiazzanti per uno spettatore impreparato: il regista Gabor Csupo, pur con meno tempo (rispetto alle pagine) a disposizione, riesce nell’impresa di non scivolare nel patetico, confezionando un finale assai riuscito e commovente.
Un ponte per Terabithia è una piacevolissima sorpresa, un prodotto di ottimo livello: è, se vogliamo, il perfetto esempio di come portare con solida professionalità sullo schermo un romanzo di discreta fattura. Ogni aspetto, tecnico e artistico, è ineccepibile: convince, infatti, l’esordio dietro la macchina da presa dell’ungherese Csupo, nome conosciuto nel campo dell’animazione (produttore, supervisore dell’animazione, creativo e via discorrendo per alcuni episodi delle serie televisive I Simpson e per I Rugrats, sia nella versione televisiva che cinematografica), ben coadiuvato da un cast tecnico di primo livello. Fondamentale l’apporto del direttore della fotografia, Michael Chapman (Toro scatenato, Hardcore, Il fuggitivo), e dei maghi degli effetti speciali della Weta, compagnia neozelandese fondata tra gli altri da quel geniaccio di Peter Jackson e responsabile degli effetti speciali della trilogia tolkeniana. Lodevole anche la scelta degli attori, soprattutto i due giovani protagonisti: Josh Hutcherson (Innamorarsi a Manhattan, Zathura), che ricorda un po’ il disperso Fred Savage (l’indimenticabile Kevin Arnold della serie cult The Wonder Years), e AnnaSophia Robb (La fabbrica di cioccolato, I segni del male) sembrano avere un futuro assicurato e, soprattutto, non sono “insopportabili” come molte piccole star. AnnaSophia Robb interpreta con voce e talento la canzone Keep your mind wide open. Bravo, ovviamente, Robert Patrick ed ennesima conferma del fascino della bella Zooey Deschanel (Guida galattica per autostoppisti, Almost Famous).

Info
Il trailer di Un ponte per Terabithia.
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