Black House – Dove giace il mistero più profondo
di Shin Terra
Remake del nipponico Kuroi ie (1999) di Yoshimitsu Morita, Black House riporta sullo schermo l’omonimo romanzo di Yūsuke Kishi, smarrendo sequenza dopo sequenza i buoni propositi di partenza.
Tra moglie e marito…
Jun-o, perito assicurativo, deve verificare una pratica che si rivelerà ben più complicata del previsto: incidenti e morti misteriose, una casa dal lugubre aspetto, una moglie seducente e un marito che per amore darebbe anche un braccio… nel vero senso della parola… [sinossi]
Black House (Geomeun jip, 2007) di Shin Terra aveva tutte le caratteristiche per essere una pellicola horror davvero sfiziosa: un ottimo cast, in primis il talentuoso Hwang Jeong-min (Happiness, You Are My Sunshine), la consueta perizia tecnico-artistica dell’industria cinematografica sudcoreana e un soggetto dalle interessanti potenzialità, pronto a mescolare suggestioni orrorifiche e riflessioni sociologiche. Remake del nipponico Kuroi ie (1999) di Yoshimitsu Morita, Black House riporta sullo schermo l’omonimo romanzo di Yūsuke Kishi, smarrendo sequenza dopo sequenza i buoni propositi di partenza: dopo un inizio dal ritmo compassato ma saturo di cattivi presagi (si veda la sequenza del ritrovamento del cadavere del ragazzino, presunto suicida che mette i brividi e spalanca, per il povero protagonista, le porte di un inferno privato), la pellicola imbocca una strada sbagliata, accumulando situazioni sempre più eccessive e soprattutto poco credibili, calpestando ripetutamente e maldestramente il concetto di minima verosimiglianza.
Shin Terra rinuncia nella lunga e insopportabile serie di doppi–tripli-quadrupli finali ad affondare realmente il coltello nelle ferite sociali che emergono, solo superficialmente, nel suo film: perché non approfondire il discorso sulle perverse logiche delle compagnie di assicurazione, sul malessere sociale che genera mostri o sulla morbosità e ambiguità di certi rapporti affettivi? Black House lascia solo intravedere quello che poteva essere, lasciandoci con l’amaro in bocca. Quello che rimane, oltre all’amaro retrogusto, è l’ennesima conferma dell’alto livello tecnico del cinema coreano di genere, sempre più – pericolosamente – simile a certo cinema hollywoodiano: una confezione di buonaottima fattura al servizio di un progetto senza reali ambizioni, preoccupato di catturare il pubblico ammucchiando senza pudore ripetuti (e quindi destinati a perdere efficacia) colpi di scena e scene madri.
Black House incarna perfettamente il tipo di prodotto che non contribuisce al consolidamento del cinema sudcoreano, indubbiamente tra i più interessanti negli ultimi dieci anni. Stupisce, in questo senso, che tra le tante pellicole sudcoreane di sicuro valore e interesse, proprio il lungometraggio di Shin Terra abbia trovato una distribuzione italiana, seppur estiva. Molto meglio, giusto per rimanere nella filmografia del già citato Hwang Jeong-min, un lungometraggio sicuramente imperfetto ma ricco di sincera tensione melodrammatica come You Are My Sunshine (2005) di Park Jin-pyo; ma di ottimi se non straordinari film sudcoreani potrebbero essere pieni gli scaffali delle nostre videoteche. Potrebbero.
Info
Il trailer originale di Black House.
Black House sul sito del Kofic.
- Genere: horror, thriller
- Titolo originale: Geomeun jip
- Paese/Anno: Corea del Sud | 2007
- Regia: Shin Terra
- Sceneggiatura: An Jae-hoon, Kim Sung-ho, Lee Young-jong
- Fotografia: Choi Ju-young
- Montaggio: Nam Na-young
- Interpreti: Hwang Jung-min, Jung In-gi, Kang Shin-il, Kim Seo-hyung, Yoo Seung-Mok
- Colonna sonora: Choi Seung-hyun
- Produzione: CJ Entertainment, Kadokawa Pictures
- Distribuzione: Ripley's Film
- Durata: 104'
- Data di uscita: 25/07/2008