Un altro pianeta

Un altro pianeta

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Il convincente esordio nel lungometraggio di Stefano Tummolini, Un altro pianeta: nessun edulcorante politically correct,  nessuna sensazione plastificata davanti alle sue immagini, ma semmai un certo sapore del vero, sempre più raro da trovare nel nostro cinema.

Una giornata al mare

Un giovane omosessuale rozzo e solitario, Salvatore, decide di trascorrere una tranquilla giornata al mare. Prima consuma un veloce e anaffettivo rapporto sessuale con uno sconosciuto, quindi fa la conoscenza di tre donne e un ragazzo. Il confronto con questi ultimi costringerà Salvatore a riflettere su se stesso e sulla sua esistenza… [sinossi]

La spiaggia. Uno di quei luoghi che a ripensarci riportano immediatamente alla memoria l’ossatura della nostra commedia cinematografica; una location scolpita nell’immaginario di un cinema che almeno a partire dal neorealismo ne ha fatto lo scenario chiave dove calare suggestive tranche de vie dell’effimero, racconti qualunque ma proprio per questo potenzialmente universali, storie di crescita, bildungsroman, episodi sentimentali, che valgono ancora oggi (due film per tutti, di due maestri recentemente scomparsi: La calda vita di Florestano Vancini e L’ombrellone di Dino Risi). Un luogo, nonostante tutto, che col passare del tempo ha finito con l’accartocciarsi su se stesso, dando origine a una deriva balneare/vacanziera stancante e senza più cose da dire o da dare.
La sfida – diciamolo subito, riuscita – di Stefano Tummolini è stata quella di ridare credibilità e spessore a questo limbo di sabbia e mare, facendone uno spazio di relazioni da tessere, dove inscenare – con l’unico filtro di un costume da bagno (e a volte neanche con quello) – una giornata qualsiasi di un giovane omosessuale andato lì per rimorchiare e rilassarsi. E il film è il resoconto di questa giornata, fatta di attimi preziosi, incontri, casualità, scambi di esperienze, confidenze.
Senza budget e con enorme passione – il regista spiega di aver fatto persino il microfonista in una giornata particolarmente critica della lavorazione – Un altro pianeta è riuscito a sfondare la cortina di nebbia che avvolge chi fa cinema indipendente in Italia, ottenendo una prima decisiva patente di visibilità grazie all’invito veneziano alle “Giornate degli autori”, per poi sbarcare meritevolmente in sala, con poche copie, potendo contare sull’unica forza del passaparola tra gli spettatori.

Ottimo lavoro per la Ripley’s Film, dunque, la celebre label di DVD che da qualche tempo sta portando avanti un importante lavoro di distribuzione nel circuito delle sale, sfociato ultimamente anche nella produzione: prima con il documentario di Giuseppe Bertolucci, Pasolini prossimo nostro (2006), poi con questo lavoro di Stefano Tummolini, che segna al tempo stesso l’esordio nel lungometraggio di finzione per il regista e per la società produttrice (subentrata comunque solo in post-produzione, occupandosi della lavorazione da HDV a pellicola). E ottimo anche il lavoro dei realizzatori, a cominciare dagli sceneggiatori: lo stesso regista e il protagonista Antonio Merone, che hanno tessuto una meravigliosa drammaturgia, lungo anni di revisioni e tentativi andati a vuoto, fatta di personaggi dal disegno psicologico mai scontato e dialoghi sempre coinvolgenti e vivi,
Le occasioni d’amore, l’incontro con l’altro, un certo piacere della condivisione, sono le materie del film, che cuoce le parole come Rohmer e gioca con una dolcezza e una grazia quasi truffautiane. Da non scambiarsi con leggerezza: Tummolini si tiene alla larga anni luce dal film “carino”, o “divertente”; non compiace, ma piace. Nessun edulcorante politically correct,  nessuna sensazione plastificata davanti alle sue immagini, ma semmai un certo sapore del vero, che lascia trasparire una condizione di urgenza del set, la necessità di fare di ogni cosa virtù, con gli attori perfettamente aderenti ai loro ruoli (su tutti Antonio Merone, una fisicità e un volto che non si dimenticano facilmente, e Lucia Mascino, che ci conferma così tutto il suo enorme talento); e non c’è niente di più coinvolgente, in un film così, di un corpo vivo immerso in un paesaggio vero.
Davanti all’imbarazzo provato di fronte a tanti filmoni italiani firmati dalle major, questa è l’ennesima conferma che l’indipendenza produttiva può avere un suo peso ed essere in grado, nei casi migliori, di fornire al film un impatto in più, un palpito e – perché no? – un’imperfezione che non si può non amare. Ed è, davvero, tutto “un altro pianeta”.

Info
Il trailer di Un altro pianeta.
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