From Inside

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Il possibile sviluppo di From Inside viene castrato da una struttura troppo rigida, e dalla stessa atmosfera plumbea che è anche il suo massimo punto di forza.

Il Galaxy Express ha fischiato

Buoni Auspici: mettere solo esemplari di specie estinte nella giostrina sopra la culla.

Schopenhauer è un umorista. Ovvero, è anche un umorista, e se non ci credete leggetevi i numerosi estratti dal mare magno delle sue carte trasformati in libelli di pubblicazione postuma, i vari L’Arte di … (Ottenere ragione, di insultare, di trattare le donne, et al.). Ebbene, in riposta all’assoluta , diperante, insensata oscurità che impesta tutto From  Inside, viene da pensare al grande tedesco nella sua incarnazione letteraria più lieve, sperando che anche l’autore del film ivi recensito, talora, la smetta di tentare di suicidarsi con un cucchiaio di plastica. Forse ho esagerato. Le tenebre, grafiche e metafisiche, non coprono in effetti la totalità di questo primo lungometraggio di John Bergin, già autore di corti pluripremiato, Graphic Novelist e musicista per  altri allegroni quali Trent Reznor e James O’Barr. No, sprazzi di luce, baleni di sensibilità positiva, illuminano in almeno due occasioni, una più breve, l’altra quasi un possibile finale, questo lavoro cupo; è solo che fanno le veci degli improvvisi, inutili miglioramenti esperiti da un tumorizzato con metastasi prima della morte definitiva. Comunque, ecco il referto, ehm, il tramino: Cee, futura  madre senza un compagno, viaggia su un treno di disperati attraverso i resti, insanguinati, lutulenti e inevitabilmente disastrati di un mondo post apocalittico; mari di plasma (ovviamente non solare…) in cui galleggiano a centinaia cadaveri, palafitte disabitate sopra di essi, praterie in cui si accalcano semi vive mandrie di bisonti, come in gigantesche macellerie self service a cielo, grigio, aperto, e ancora gallerie più simili a smisurati antri delle streghe che a miracoli dell’ingegno umano, sono queste le uniche fermate possibili. Ed è nella rappresentazione grafica delle infermità di un tale , sconfinato, paesaggio in rovina che il film trova il suo perché: la composizione, frutto di una miscela ben dosata di animazione 3d e semianimato 2d, rende perfettamente la desolazione spirituale affrontata da Cee nel suo viaggio.

Il problema di From Inside è un altro: l’eccessiva linearità dell’esposizione, e della sceneggiatura in primis, funzionale certamente alla materia ferroviaria trattata, rende però il film talora scontato, prevedibile, già visto. Certo, a Bergin questo modus operandi, nel raccontare una metafora di un tentativo di parto, deve essere risultato naturale, quasi indispensabile nella sua inarrestabile corsa verso l’entropia; e però l’adesione totale al modello treno impossibilita l’insorgere, nello spettatore, di quei saliscendi emotivi ed intellettuali basilari per non fossilizzare i suoi pensieri e addormentarne l’attenzione. La depressione, interrotta solo raramente nel racconto, “setta” il tono del film sulla monotonia, e, mi dispiace, il mio nichilismo lo preferisco più immaginifico, più movimentato. In conclusione, non si può certamente affermare che From Inside sia un primogenito brutto, o sciatto, o superficiale. Eppure il suo possibile sviluppo come film viene castrato da una struttura troppo rigida, e dalla stessa atmosfera plumbea che è anche il suo massimo punto di forza. Visto il finale, però, non sono sicuro che a Bergin queste parole dispiacerebbero…

Ciuf Ciuf! Fece il trenino piombato che portava gli orsetti del cuore ebrei ad Auschwitz.
Info
Il sito ufficiale di From Inside.
Il trailer di From Inside.
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