The Last Wolf

The Last Wolf

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Upi Avianto dirige con The Last Wolf un gangster movie che guarda all’epica hollywoodiana e hongkonghese senza però possedere la capacità di reggere con forza l’impianto narrativo. Un lavoro in ogni caso interessante, anche per comprendere la crescita del cinema indonesiano. Al Far East 2010.

Quei (bravi?) ragazzi

In una periferia di Jakarta cinque ragazzi crescono secondo un patto di fratellanza. Sono Ale, Jarot, Jago, Lukman e Sadat. I cinque formano una gang guidata da Ale, il più carismatico del gruppo. Giurandosi eterna fedeltà e fratellanza, combattono senza tregua le bande rivali per acquisire il controllo del territorio. Tra scontri a cazzotti e bastonate, la loro scalata al potere sembra davvero inarrestabile. Poi, un giorno, in uno scontro particolarmente violento generatosi durante una partita di calcio, Jarot colpisce a morte con una pietra un avversario, per salvare la vita ad Ale. Viene dunque arrestato e finisce in prigione, dove deve fare i conti con le pesantissime angherie degli altri galeotti. [sinossi]

Passano gli anni, ma la carriera cinematografica di Upi Avianto continua a rappresentare un’anomalia decisamente interessante per quel che concerne lo sviluppo produttivo della settima arte in Indonesia. Se a Jakarta e dintorni non è poi così difficile imbattersi in film diretti o sceneggiati da donne (in questo senso esemplare la scelta dello scorso anno del Far East di ospitare nella selezione il film a episodi interamente virato al femminile Chants of Lotus), c’è da dire che Upi sta facendo di tutto per impedire al sistema produttivo di ridurla al mero ruolo di donna/regista; già il suo episodio nel suddetto Chants of Lotus faceva intuire come la scelta estetica e contenutistica della giovane cineasta si distaccasse in modo piuttosto netto da quello della maggior parte delle sue colleghe, la pluripremiata Nia Di Nata in testa. A rincarare la dose era poi venuto Radit & Jani, corrosivo e slabbrato viaggio in un universo punk, disadatto a facili moralismi – nei quali pure, a essere onesti, la pellicola incappava nel finale – e lontano dalla prassi drammatica del cinema indonesiano.

Partendo da premesse simili non è stata dunque una gran sorpresa l’incontro con The Last Wolf, ultima creatura partorita dalla mente fervida di Upi – che come d’abitudine cura anche la sceneggiatura, pratica con la quale aveva esordito nell’industria cinematografica con l’horror Tusuk jelangkun (2003), esordio alla regia di quel Dimas Djayandiningrat passato poi allo spassoso Quickie Express (2007). Dopo aver trascinato di forza il furore iconoclasta del punk britannico nell’afoso clima di Jakarta, Upi sperimenta lo stesso percorso con il gangster movie: prendendo di petto uno dei generi che più hanno segnato in profondità l’immaginario hollywoodiano, Upi dimostra di voler osservare da vicino anche la rilettura che la poetica gangsteristica ha avuto nel sud-est asiatico nel corso degli ultimi trenta anni. Quel che ne viene fuori è un film a dir poco bizzarro, tanto abbarbicato ai luoghi comuni del genere quanto allo stesso tempo spiazzato da un’ibridazione culturale non sempre ben calibrata: se la prima metà del film vola veramente in alto, con la messa in scena che si fa leggera e inafferrabile come l’agile divincolarsi dei cinque protagonisti tra le maglie della polizia e delle bande avversarie, nella seconda parte The Last Wolf finisce per incancrenirsi, perdendo in smalto a favore di una lettura fin troppo abusata e prevedibile dello sviluppo narrativo. Questa mancanza di linearità pesa senza dubbio sull’opera, soffocandone gli spunti più libertari e andando a omologare quello spirito ribelle e vagabondo che agitava le acque crespate di Radit & Jani. Un vero e proprio peccato, senza dubbio, perché da un punto di vista formale Upi (ribattezzata a Udine con una certa incoscienza “la Kathryn Bigelow indonesiana”) dimostra di avere una perfetta padronanza del mezzo cinematografico: alcune sequenze, come l’infernale scontro tra bande sotto la sopraelevata o, soprattutto, la violenta partita di calcio che segnerà l’ingresso definitivo e incontrovertibile di Jarot nel mondo della criminalità, dando inizio di fatto al disgregamento della gang di amici, sono istanti di cinema d’azione che non sono facili da dimenticare.

Ma forse la “colpa” delle imperfezioni di The Last Wolf è da affibbiare alla giovane età del cinema indonesiano: nel muovere i primi passi in generi finora letteralmente disabitati nell’arcipelago, è inevitabile che si corra il rischio di cadere nella trappola del già visto, lasciandosi rinchiudere nella protettiva prigione del cliché. Si è infatti certi che una volta che Upi, e con lei gli altri registi della nuova generazione, saranno in grado di affrancarsi da modelli stranieri preconfezionati (in tal senso si dovrebbe prendere ispirazione da autori come Mamat Khalid e Mouly Surya, o da operazioni quali Monga di Doze Niu), ci sarà davvero da divertirsi.

Info
The Last Wolf, il trailer.

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