The Dreamer

The Dreamer

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A un anno di distanza dall’uscita in sala di The Rainbow Troops, il film che sancì l’incoronazione di Riri Riza da parte del pubblico cinematografico indonesiano, il regista nativo di Makassar torna a confrontarsi con la penna di Andrea Hirata e di conseguenza con la storia dell’Indonesia degli ultimi venticinque anni. Al Far East 2010.

Sorbona Dreamin’

Ikal è ormai un adolescente e frequenta la scuola superiore di Manggar. Stringe amicizia con Arai e Jimbron; crescono insieme, con alti e bassi nella loro vita, cercando di far quadrare il bilancio, rendere felici i loro genitori e realizzare i loro sogni. La storia continua fin quando Ikal e Arai lasciano l’isola di Belitung e si stabilizzano a Bogor, dove studiano all’Università e continuano a sognare di andare a studiare alla Sorbona, in Francia. [sinossi]

A un anno di distanza dall’uscita in sala di The Rainbow Troops, il film che sancì l’incoronazione di Riri Riza da parte del pubblico cinematografico indonesiano, il regista nativo di Makassar torna a confrontarsi con la penna di Andrea Hirata e (di conseguenza) con la storia dell’Indonesia degli ultimi venticinque anni. The Dreamer è infatti il secondo capitolo della trilogia letteraria nella quale Hirata ha condensato le proprie memorie e le proprie nostalgie. Così, mentre in The Rainbow Troops si operava una regressione fino all’infanzia del romanziere, raccontata con sguardo elegiaco eppur mai eccessivamente condiscendente, The Dreamer trascina gli spettatori fino all’adolescenza del protagonista Ikal. I primi amori, le disavventure scolastiche, l’utopico desiderio di riuscire a raggiungere l’Europa per proseguire gli studi nelle aule prestigiose della parigina Sorbona; tutto vissuto insieme agli immancabili compagni di bisbocce Arai (che dopo essere rimasto orfano è stato praticamente adottato dalla famiglia di Ikal) e Jimbron. Riri Riza subisce, com’era forse persino inevitabile, il fascino discreto del coming of age, racconto di formazione che per buona parte del suo naturale sviluppo segue in maniera a tratti persino pedissequa la prassi del genere: quello che era con ogni probabilità l’unico “difetto” – il virgolettato è d’obbligo – di The Rainbow Troops, ovvero l’incapacità di quando in quando, di non lasciarsi assoggettare da pratiche narrative letteralmente abusate nel corso degli anni dalla storia del cinema, torna dunque a mostrare il proprio volto anche nel corso di The Dreamer. Non che ci sia nulla di particolarmente sbagliato in questo, ma è indiscutibile che Riza sembri vivere non sempre a proprio agio la necessità di portare a termine un prodotto strettamente popolare. C’è, nascosto tra le pieghe del suo approccio registico, uno scarto ulteriore, impeto di rivolta che è quello a ben vedere che si può rintracciare negli occhi di Ikal e dei suoi amorevoli scherani, quasi che il successo clamoroso raggiunto in patria dal primo capitolo della trilogia (si sta parlando del più grande incasso degli ultimi dieci anni a Jakarta e dintorni) sia stato digerito solo in parte. Non è certo un caso che The Dreamer abbia incassato in patria molto meno del suo predecessore, pur registrando un risultato finale tutt’altro che trascurabile, con due milioni e passa di indonesiani a invadere le sale sparpagliate nell’arcipelago: The Rainbow Troops parlava, con la messa in scena di un universo infantile e il suo sguardo nostalgico all’educazione musulmana, tanto agli abitanti di Giava quanto a quelli di Sumatra, Kalimantan e Sulawesi. Un racconto edulcorato e positivista, che poteva facilmente far leva sui sentimenti di un popolo che sta ancora cercando di riprendersi, a distanza di un decennio dalla sua caduta, dai trentadue sanguinosi anni di dittatura di Haji Mohammad Suharto (che dopo aver preso il potere nel 1967 iniziò una guerra interna contro tutti gli elementi intellettuali, sociali e politici vicini al pensiero comunista, che portò all’atroce sterminio di più di un milione di persone).

Diverso il discorso per The Dreamer: coerente con la crescita del suo protagonista, il secondo capitolo è un bildungsroman decisamente meno incline alla rappacificazione a ogni costo. Il terzetto di amici si confronta finalmente con il mondo adulto, iniziando a comprenderne ipocrisie, contraddizioni e vizi; Riza non si nasconde dietro il falso velo del buonismo, ma affronta di petto gli umori di questi adolescenti che credono nel potere della poesia e sognano l’Africa e l’Europa come se stessero parlando della terra di Bengodi. Ed è proprio sotto questo aspetto che il film acquista un valore che lo eleva, a conti fatti, anche al di sopra dell’episodio precedente: colto da afflato lirico, Riza si allontana ogni tanto dal rigore che caratterizza l’evoluzione narrativa della vicenda, per soffermarsi su dettagli apparentemente superflui del mondo che circonda i protagonisti. Memore della propria esperienza come assistente di set di Garin Nugroho – il massimo cineasta indonesiano contemporaneo –, Riza mescola la ricostruzione d’epoca a vere e proprie pratiche di vagheggiante surrealismo. E non si sta qui necessariamente facendo riferimento alla palese e divertita citazione felliniana che accompagna una delle sequenze più significative della pellicola – l’incontro del protagonista con il sesso, ma ancor più con le annaspanti costrizioni della morale – quanto a quelle improvvise stasi del racconto in cui la macchina da presa abbandona la sua apparente missione popolare per raccontare ciò che troppo spesso è reso invisibile agli occhi dello spettatore. Un apparentemente inutile campo lungo sulla campagna indonesiana, o un tuffo nello stordente azzurro del mare. The Dreamer non è un film perfetto, ma l’impressione è che la trilogia stia crescendo tassello dopo tassello, raccontando con sempre maggior forza quel mondo che non è tangibile, ma esiste nel furore (adolescente?) dell’immaginazione. Alcuni lo chiamano sogno, per Riza è cinema. Tanto di cappello.

Info
Il trailer di The Dreamer.

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