Belkibolang

Belkibolang permette a un nutrito gruppo di esordienti (o quasi) indonesiani di confrontarsi con la regia per narrare la folle notte di Jakarta, capitale e cuore pulsante dell’intero sistema socio-economico indonesiano. Al Far East 2011.

Jakarta by Night

Un film a episodi interamente ambientato nella notte di Jakarta. “Umbrella” è una delicata sinfonia giocata su un tenero gioco di attrazione, tra incertezza, paura di fraintendimento e semplice offerta d’amichevole cortesia attorno all’oggetto del titolo, in una notte di pioggia tropicale. In “Chit chat” si assiste a una divertita dissertazione sui rapporti tra uomini e donne. “Mamalia” è un salace sketch basato sull’interessato passaggio offerto da un motociclista a una procace signorina. “Elephant Planet” è un collage d’immagini e musica incentrato su una relazione romantica. “Gecko” è un vero tripudio di folle invenzione cinematografica che descrive con efficacia le frustrazioni causate da uno degli improvvisi blackout controllati che colpiscono i quartieri della metropoli indonesiana. “Peron”: un giovane alla stazione ascolta la selezione del suo iPod mentre osserva una ragazza in attesa al binario di fronte che pare muoversi al ritmo dei brani della playlist. “Ella”: l’ultima notte del mese di digiuno rituale una prostituta si prepara a tornare dalla madre a Surabaya, tra lavoro e conversazioni con un venditore di strada che cucina carne d’anitra. “Rollercoaster” è un gioco osé tra amici in una camera d’albergo. “Full Moon” si svolge la notte di Capodanno a bordo di un taxi e racconta di una coppia in crisi. [sinossi]

Ci sono molti modi per affrontare una crisi, artistica o produttiva che sia: ci si può rifugiare nella scontata prevedibilità del già visto (opzione spesso e volentieri presa in considerazione dalle nostre parti), inseguire nuovi stilemi nella disperata ricerca di un pubblico evaporatosi oppure cercare di trovare vie espressive finora non utilizzate, dando spazio ai registi più giovani. La scelta della rampante produttrice Meiske Taurisia, finora nota al pubblico indonesiano per aver portato sullo schermo Blind Pig Who Wants to Fly, esordio al lungometraggio di Edwin, è caduta proprio su quest’ultima possibilità: affiancandosi al lavoro di scrittura dell’apprezzata sceneggiatrice Titien Wattimena ha messo in piedi un set a bassissimo budget, puntando tutto sulla verve creativa dei primi vagiti di un gruppo di nove esordienti (o giù di lì), tra i quali il già citato Edwin. L’escamotage per cercare di collegare tra loro i nove frammenti visivi – tutti su per giù a ridosso dei dieci minuti di durata – Taurisia l’ha rintracciato nella vivida e accaldata notte di Jakarta, la mastodontica capitale, centro nevralgico e cuore pulsante dell’intera economia indonesiana.

Quel che ne viene fuori è un ritratto sincero, per quanto altalenante, della capitale, set vivente e itinerante, in cui si può rintracciare un’umanità imprevedibile, scorbutica ed esaltata, candida e maliziosa: i nove registi prendono di petto questa megalopoli, portando davanti agli occhi degli spettatori storie e ipotesi visive distanti tra loro. Eppure si può notare una certa uniformità, un trait d’union che assembla tra loro i vari episodi, neanche si trattasse di tasselli di un enorme e composito puzzle. Ovviamente il punto dolente dell’intera operazione risiede nell’inevitabile saliscendi espressivo del film: se alcuni episodi riescono a cogliere nel segno, altri girano a vuoto, incapaci di racchiudere al proprio interno il perché del loro stare al mondo.
Il film si apre su uno dei frammenti più convincenti, Umbrella di Agung Sentausa, minimale storia di avvicinamento e amicizia tra una bambina che presta il proprio ombrello durante gli acquazzoni torrenziali e un adulto: tra un silenzio significativo e l’altro, si fa largo persino una gustosa citazione de Il mio vicino Totoro, capolavoro di Hayao Miyazaki. A pochi passi dal geniale il successivo Chit Chat di Ifa Isfansyah, che si diverte a sovvertire l’ordine logico di un classico dialogo sul senso della vita di coppia trasformandolo in una sorta di esperimento palindromico, efficace e spassoso. Ancora più folle è Gecko, nel quale il già citato Edwin si diverte a passare dall’altra parte della barricata, recitando il ruolo del protagonista per il collega Anggung Priambodo: in un caleidoscopio di nonsense e lisergia, si tocca uno dei vertici dell’intero film. L’ultimo frammento che vale la pena annotare sul taccuino dei promemoria è senza dubbio Elephant Planet di Rico Marpaung, bella incursione nel romantico che non scade neanche quando si trova a tu per tu con i cliché più abusati.

Per il resto tanta buona volontà, ma poca capacità di dimostrare una reale urgenza espressiva: dopotutto non è detto che tutti e nove i registi coinvolti in questo progetto abbiano le capacità per riuscire a intraprendere il mestiere di cineasti. Anche perché la crisi non è finita, e non basterà certo Belkibolang a risollevare le sorti di una cinematografia che sta pagando dazio dopo un decennio di continua crescita. Quel che è avvenuto è né più né meno che una semina, dalla quale si spera prima o poi di raccogliere dei frutti. Si vedrà.

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