Freakbeat

Freakbeat

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In Freakbeat Luca Pastore, accompagnato nel percorso da Freak Antoni, ripercorre attraverso le coordinate del mockumentary l’epopea del Beat italiano in una commedia divertita, aggraziata, e anche vagamente surreale. In Italiana.doc al festival di Torino.

Per i musei c’è sempre tempo

Il nastro perduto della mitica session tra l’Equipe84 e Jimi Hendrix è all’origine di una spedizione su un vecchio furgone Volkswagen attraverso l’Emilia guidata da Freak Antoni insieme alla figlia Margherita, alla quale il musicista cerca di trasmettere i valori su cui si è fondata un’intera generazione e che ora sembrano esser stati soppiantati da cinismo e sterilità. Durante il viaggio, la coppia incontrerà i protagonisti della stagione del Beat italiano, giungendo finalmente al cospetto dell’unico uomo che forse conosce la verità: Maurizio Vandelli. [sinossi]

Il Freakbeat fu un movimento musicale deflagrante e sotterraneo, i cui maestri di cerimonie erano gruppi spesso dimenticati e ingiustamente abbandonati alla polvere del tempo come i gloriosi Pretty Things, i Move, i Sorrows, i Creation e i Primitives: le loro ritmiche furibonde, le voci squillanti e poderose, la poetica della rivalsa nei confronti di una società priva della spinta dell’Ideale fecero breccia, sul finire degli anni Sessanta, su un’intera generazione in tumulto, pronta a sovvertire l’ordine mondiale in nome dell’abolizione delle disuguaglianze sociali e della critica al capitalismo occidentale. Ma da oggi freakbeat è un termine che va ricordato anche per un bizzarro quasi-documentario musicale diretto da Luca Pastore e presentato nella competizione di Italiana.doc alla ventinovesima edizione del Torino Film Festival.

Protagonista di questo particolare road-movie per le strade dell’Emilia – ma non solo – è Roberto Antoni, uno che del termine “Freak” ha fatto persino il suo nome d’arte fin dai tempi punkeggianti della Cramps e degli Skiantos: a sentir lui nel 1999, insieme alla figlia dodicenne Margherita (interpretata dalla piccola Sofia Fesani), si sarebbe messo in testa di rintracciare il nastro di una leggendaria jam session che avrebbe visto protagonisti l’Equipe 84 insieme niente di meno che a Jimi Hendrix, per l’occasione in trasferta italiana. Padre e figlia si mettono dunque in viaggio, durante un fine settimana breve e interminabile, alla ricerca disperata di questa reliquia per collezionisti: un’occasione per conoscersi più a fondo – i genitori di Margherita sono separati e lei è affidata alla madre – e per rispolverare dalle nebbie del tempo un’epoca di ribellione e buona (ottima) musica. Freak Antoni trascina la ragazzina dalla bocciofila di Modena gestita da un incallito rockettaro al ristorante il cui proprietario da ragazzo spendeva tutta la sua paga giornaliera della domenica (2.100 lire per dare una mano come cameriere) per comprarsi tre vinili, fino a condurla a Milano a casa di Maurizio Vandelli, frontman proprio dell’Equipe 84. Un viaggio tra cascine immerse nella Pianura Padana, balere e altri luoghi che sembrano sopravvivere (come la stessa mitologia rock) a un mondo che non nutre più alcun interesse verso di loro: il percorso compiuto da Pastore nel documentario è efficace e intelligente, capace di mescolare la fiction al documentario, attraverso un utilizzo sempre spiazzante del materiale di repertorio: proprio dall’archivio delle immagini è possibile estrapolare alcuni dei passaggi più esilaranti del film, come l’anziano padre che è andato al ritrovo dei beatnik solo per poter incontrare il figlio e picchiarlo selvaggiamente, o il programma televisivo che presenta i beat come persone dedite esclusivamente all’ozio e alla sporcizia.

Fermi immagini dell’Italia del tempo che fu ma in parte, forse, anche di quella attuale. Ma, non è con ogni probabilità neanche doveroso sottolinearlo, il vero mattatore di questo viaggio musicale, filosofico e profondamente surreale è proprio Roberto “Freak” Antoni, personaggio impossibile da allineare a chicchessia, che non a caso ama definirsi alla figlia attraverso l’utilizzo abusato dell’ossimoro: teppista soffice e intellettuale demenziale, due denominazioni che inquadrano con una certa precisione un artista borderline, autoironico e dissacrante. La sua giocosità iconoclasta si sposa alla perfezione sia alla varia umanità che incontra sulla sua strada sia ai calembour visivi studiati da Pastore, intenzionato a far rivivere nelle sue inquadrature toni, timbri, luci e geometrie dei sixties. Si ride di gusto, durante Freakbeat, calati in uno spazio-tempo apparentemente fuori dalla quotidianità. Come ogni disco beat che si rispetti, e come la leggenda di un incontro musicale improbabile al gusto di erbazzone.

Info
Freakbeat sul sito del TFF.

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