InHumane Resources

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Con InHumane Resources il regista veneto Michele Pastrello porta il cinema di genere nell’era della crisi economica e del lavoro.

Last (Wo)Man Standing

In una zona industriale, quattro giovani in camicia bianca e cravatta nera combattono gli uni contro gli altri, senza regole e a mani nude. Ognuno di loro indossa una minuscola videocamera che filma ciò che sta facendo. Solo uno di loro può sopravvivere. L’unico premio per il sopravvissuto è avere un futuro… [sinossi]

Il cinema di “genere” nell’era della crisi. Potrebbe essere intitolato così un saggio sul cinema di Michele Pastrello, giovane regista veneto che continua ad aggiungere mattoni a una poetica espressiva che già lo eleva al ruolo di promessa del cinema italiano contemporaneo. Se 32, il cortometraggio che ha sospinto il nome di Pastrello nei retaggi mnemonici degli addetti ai lavori, scavava nella realtà veneta lavorando con sottile utilizzo della metafora sull’apparentamento tra lo stupro della terra da parte dell’uomo e la minaccia eterna e insondabile del maschile sul femminile (rielaborando e portando a compimento la già travolgente suspense del precedente Nella mia mente), Ultracorpo virava su una fantascienza malata e disossata che diveniva, malgré lui, scandaglio della repulsione nei confronti del diverso, pericoloso in quanto impossibile da catalogare, ingabbiare, controllare. Lavori che evidenziano una regia controllata, che guarda senza reticenze dalle parti della New Hollywood trovando una propria collocazione precisa all’interno dell’ideale mappatura del thriller e dell’horror indipendenti italiani. Profondamente morale senza mai scendere a compromessi con il demone tentatore del moralismo spicciolo, il cinema di Pastrello sfrutta l’esca del genere per delineare un ritratto desolante dell’Italia. Ma sarebbe inadeguato leggere l’opera del giovane cineasta veneto esclusivamente nella sua concezione autoriale: in realtà Pastrello è anche un fine metteur en scène, la sua è una regia tattile, quasi materiale, in grado di scavare solchi negli occhi dello spettatore pur con un utilizzo a volte parcellizzato dei movimenti di macchina.

La sua sorprendente umoralità registica riesce a deflagrare una volta per tutte nel suo ultimo lavoro, InHumane Resources, cortometraggio non breve – come d’abitudine per Pastrello, che predilige un’evoluzione narrativa non sincopata, il che dovrebbe rendergli la vita più semplice qualora decidesse finalmente di confrontarsi con una storia sulla lunga distanza – che prende spunto da riflessioni orwelliane per gettarsi a corpo morto in un action senza vie di scampo o condotti d’aria in grado di deviarne il percorso. InHumane Resources è un film a perdifiato, incessante e ottundente, compatto fino all’inverosimile: un cortometraggio contro il quale non si può far altro che scontrarsi duramente, sperando di uscire indenni – o solo malconci – dall’impatto. La storia, basica, è quella già descritta nella breve sinossi che apre questo articolo: in uno scenario industriale dimesso e squallido, quattro giovani (due ragazzi e due ragazze) si danno la caccia gli uni contro gli altri, senza alcuna esclusione di colpi. Solo chi rimarrà vivo potrà ottenere il premio per la sofferenza patita: avere la possibilità di costruirsi un futuro. Potrebbe apparire come un semplice gioco stilistico, InHumane Resources, esperimento attraverso il quale Pastrello può veicolare alcune delle sue nuove idee visive, ma si tratterebbe di una lettura senza dubbio semplicistica, per quanto non troppo distante dalla verità: InHumane Resources permette infatti al regista di lavorare sul ritmo e sul montaggio come finora non aveva ancora fatto, traducendo in immagini un’angoscia più corporea delle suggestioni oniriche e degli incubi a occhi aperti di cui erano disseminati sia 32 che Ultracorpo. Il risultato da questo punto di vista è stupefacente, capace di rapire lo sguardo dello spettatore, asservendolo a una storia basilare eppure estremamente coinvolgente, reiterazone che si fa appassionata tensione emotiva, crudele e spietata.

Ma a ben vedere InHumane Resources è anche uno sdegnato pugno in faccia all’Italia contemporanea, dove il lavoro è visto come un traguardo da meritare e non come la base indispensabile che dovrebbe essere dovuta a ogni singolo cittadino. La visione di una generazione in cui tutti sono gli un contro gli altri armati potrà anche apparire apocalittica, ma fotografa la realtà con una nitidezza di sguardo e una purezza di messa in scena che manca a buona parte delle produzioni del cinema cosiddetto “impegnato”: e il finale, luciferino e beffardo, si imprime nella memoria sezionandola sadicamente. Giocando sul cromatismo con ludica consapevolezza – il sangue rosso vivo a macchiare la falsa limpidezza del candore bianco delle camicie indossate dai protagonisti – Pastrello firma un’opera che si inserisce con naturalezza nel percorso autoriale compiuto fino a questo momento.
Sempre in attesa che il mondo si accorga finalmente dell’arte di Pastrello, è giusto dedicare la chiusura alle interpretazioni di Mariasole Michielin, Isacco Tognon, Michela Virago e Alessandro Serio, quattro esordienti che convincono appieno alla loro prima esperienza davanti alla videocamera, trasudando da volti e gesti furia disperata e tremante.

Info
Inhumane Resources su Youtube.
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