Le sac de farine

Le sac de farine

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Presentato ad Alice nella città di Roma 2012, Le Sac de Farine rimane a metà tra un certo gusto per il melodramma – la parte più riconoscibile e tipica nella narrazione – con la protagonista munita di vero spirito di abnegazione e bontà a non finire, e un certo realismo materico che sta nella descrizione delle persone del posto, dei paesaggi rocciosi e impervi, dei lavori manuali che accompagnano ogni angolo del villaggio e delle case.

Volevo i pantaloni

Alsemberg, Dicembre 1975. Sarah ha 8 anni e vive in un collegio cattolico. Un giorno il padre biologico, che lei non ha mai incontrato, arriva in città e la prende per portarla un fine settimana a Parigi. Ma Sarah si risveglia in Marocco, in un piccolo paese nel bel mezzo dei monti dell’Atlas. In più, molto presto suo padre la abbandona senza dare alcuna spiegazione. Sarah inizia così a entrare nella sua nuova vita di bambina marocchina, la cui unica formazione è quella del lavoro a maglia. 9 anni dopo, nel 1984 (nel bel mezzo della Rivolta di Awbach), Sarah ha 17 anni ed è ormai una teenager come molte altre.. o quasi. Il padre non le ha mai mandato dei soldi che aveva promesso e la famiglia con cui sta vivendo, non riesce più a sostenere una bocca in più da sfamare. Così Sarah deve trovare un modo per guadagnare al più presto. E poi c’è Nari, un bellissimo studente impegnato politicamente.. Allo stesso tempo però, c’è il suo desiderio di partire, di tornare nel Belgio della sua infanzia, con i libri, la scuola e quell’idea di vita libera che lei sogna… [sinossi] 

Ci sono alcuni film che, a prescindere da come sono scritti e girati, raccontano delle realtà che vale la pena di conoscere. È il caso de Le sac de farine, presentato ad Alice nella città di Roma 2012, lungometraggio d’esordio per la belga Kadija Leclere. La realtà in questione, quella della condizione femminile nel Marocco degli anni Ottanta, è raccontata dal punto di vista dell’adolescenza, ma filtrata anche da altre importanti scelte narrative. Lo sguardo della Leclere è infatti appositamente interno ed esterno alla dura vita nelle zone povere dell’Atlante; la protagonista infatti si sente privata dei propri sogni, della propria libertà in un contesto di vita fatto di stenti e obblighi,e cerca nell’Europa e nella metropoli la fuga ideale, mentale prima che fisica, quel posto in cui far avverare tutti i propri desideri. Anche perché Sarah è stata strappata dal Belgio all’età di sei anni e portata nella terra del padre. Il distacco della bambina poi ragazza rispetto al suo contesto, è però quello tipico del racconto d’iniziazione, dunque universale. Il Marocco potrebbe benissimo essere l’Italia della prima metà del Novecento dove le ragazze erano costrette a lasciare la scuola per andare a lavorare e aiutare così la famiglia attraverso lavori manuali. Si ripercorrono dunque schemi narrativi già visti, con la ragazza con l’individualità più spiccata, aiutata dal suo passato in Europa rispetto alle sue coetanee, che vorrebbe ribellarsi e raggiungere l’emancipazione.

Le Sac de Farine, il cui titolo richiama chiaramente l’indigenza che colpisce la sua e altre famiglie povere, rimane a metà tra un certo gusto per il melodramma – la parte più riconoscibile e tipica nella narrazione – con la protagonista munita di vero spirito di abnegazione e bontà a non finire, e un certo realismo materico che sta nella descrizione delle persone del posto, dei paesaggi rocciosi e impervi, dei lavori manuali che accompagnano ogni angolo del villaggio e delle case. Il film riesce così a non sbilanciarsi troppo, mantenendo una certa sua canonicità, forse per paura di essere letto come troppo antropologico nel descrivere il contesto marocchino e quindi troppo particolare. Tuttavia l’aspetto migliore del film è proprio l’abbandono di un certo esotismo nell’affrontare la realtà marocchina e l’approdo a uno sguardo più interno. La protagonista non si uniforma mai del tutto alla mentalità del posto, per cui la donna di ceto medio-basso deve lavorare a maglia e avere come massima aspirazione un marito ricco, buono e onesto, tuttavia scorgiamo nella sua solidarietà con le altre persone, con chi è nella stessa barca, compreso un ragazzo di cui s’invaghisce che manifesta contro le ingiustizie sociali nel paese, la vera vitalità del film. Il Marocco negli anni Ottanta sta vivendo un periodo particolarmente difficile in cui la soppressione militare cerca di arginare le proteste, la più clamorosa quella sull’aumento del pane che getta nello sconforto la popolazione. Alla fin fine Sarah rimane legata a quella terra pur desiderando andarsene, alle unioni che la povertà riesce a far nascere. Il film della Ledjiere pur percorrendo le facili strade del feuilleton, ha tutto sommato molti pregi, e chissà potrebbe anche mettere d’accordo la giuria anche perché nel concorso della sezione dedicata all’infanzia latita ancora il capolavoro.

Info
Il trailer de Le sac de farine.

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