Arca Russa, cinema senza montaggio – Terza parte

Arca Russa, cinema senza montaggio – Terza parte

Il 27 marzo 2013 il regista russo Aleksandr Sokurov ha tenuto un workshop su Arca Russa, cinema senza montaggio nell’ambito dell’iniziativa L’immagine e la parola promossa dal Festival del Film di Locarno. Poco più di un’ora e mezza, con traduzione consecutiva di Aliona Shumakova, nella quale il cineasta è partito dall’idea di “vincere la dittatura del tempo” sul cinema per arrivare al momento della proiezione del film Arca russa al Festival di Cannes 2002. Questa è la trascrizione integrale dei miei appunti scritti del suo intervento.

Arca Russa, cinema senza montaggio
Workshop di Aleksandr Sokurov

Terza parte

Il cinema in una sola sequenza è un’azione e un movimento. Per capire cos’è il tempo, ho chiesto ai protagonisti di percorrere tutto il percorso dentro il museo. I diversi spazi erano come delle sfere per entrare in un’altra dimensione temporale. Avevo deciso che il film doveva durare esattamente 89 minuti. E cosa può fare una videocamera in questo tempo? Nel 2001 l’HD non era perfezionato come adesso, una cassetta HD poteva registrare solo 20 minuti di filmato. E avevo bisogno di un’immagine non compressa, che corrispondesse 1:1 a quello che filmavo, perché l’immagine compressa non dava la qualità desiderata sulla pellicola. Così ho cercato delle persone pazze come me per trovare una soluzione, finché una società americana ha creato un computer locale con grande durata di batteria e la memoria adatta per fare la ripresa senza stacco. Così abbiamo pensato a un treno composto di tre blocchi: la camera, il computer e il registratore del sonoro. L’operatore doveva portarsi addosso 21 kg, di cui solo 12 di videocamera, a spalla, senza binari, senza nulla. Come una steadycam, soltanto che un operatore steady usuale non lavora più di 7-8 minuti di seguito e poi si stende a riposare, mentre volevo uno che lo tenesse per 92 minuti: gli 89 di film più il tempo a indossarla e levarsela. Per fare questa cosa mai fatta abbiamo cercato un operatore in Germania, dove ci sono ragazzi forti di fisico, preparati e non capricciosi. Abbiamo trovato Tilman Büttner: quando l’ho incontrato mi ha chiesto due mesi di tempo per allenarsi in palestra, gli ho detto ok e un problema era risolto. Però il problema grande era comporre la troupe. Per tutto il tempo del film dovevano lavorare gli attori, che andavano vestiti e truccati, avevo un reparto regia molto grande, con 28-30 assistenti principali. Avevo diviso il percorso in piccoli settori e in ogni tappa c’erano gli attori e gli assistenti con un walkie-talkie. Era come muoversi dentro un teatro di posa. Per ogni episodio c’erano gli attori pronti in una certa posizione e, quando sapevano che stavamo arrivando, si buttavano in scena. Facevano quel che dovevano e, quando avevano finito, si spostavano e andavano a cambiarsi per essere pronti per gli episodi successivi. In ogni punto c’era qualcuno che comunicava i nostri passaggi, eravamo un gruppo di transito con l’operatore e chi portava le cose necessarie. Nelle settimane prima avevano provato parecchie volte, in teatro avevano ricostruito il percorso con le tappe principali, tutti sapevano tutto quello che dovevano fare.

La videocamera non si poteva mai spegnere, non ci si poteva fermare o rigirare. Alla fine, nella scena del ballo, bisognava avere più di mille comparse. Mentre nel resto del percorso ho predisposto un gruppo di attori di transito pronti a intervenire ed entrare in scena se fosse successo qualcosa, per riempire l’inquadratura in caso di emergenze. Gli attori, non potendo provare prima nel museo, sono arrivati alle 23 del 22 dicembre e alle 12.35 del 23 abbiamo detto ciak. La parola stop era bandita, avremmo perso il lavoro di mesi. Alcune persone si sono anche sentite male per la stanchezza. Il tratto da percorrere era di 1.300 metri, solo una parte dell’Hermitage. E bisognava recitare benissimo, senza fermarsi e senza far precipitare tutto nel caos. Avevamo previsto tutto. Per ogni settore avevamo tempi stabiliti al secondo. A un certo punto ci siamo trovati in ritardo di 3 secondi sulla tabella prevista, perché gli attori andavano lunghi ma erano anche bravi e non si poteva bloccarli. Dovevamo recuperare il ritardo, altrimenti gli attori più avanti non avrebbero avuto il tempo per cambiarsi e arrivare al ballo finale. Eravamo in emergenza. Allora ho rinunciato a uno degli episodi che doveva seguire, ho mandato dentro gli attori di transito con una delle cinque cose che avevano preparato. In quel modo, anche se complicato, abbiamo recuperato i secondi persi. In quel lavoro c’erano troppe possibilità di compiere uno sbaglio fatale, di quelli che rovinano tutto e non sono imputabili a nessuno.

Un altro problema da risolvere era quello della luce. Quel giorno la temperatura all’esterno era -27 °C e molti impianti di illuminazione non funzionano a quella temperatura. E l’inverno russo significa anche niente Sole. Abbiamo costruito impalcature di 10 metri d’altezza all’esterno, in strada, per fissare le luci con le quali illuminare i locali dalle finestre. Abbiamo fatto delle prove e la durata massima delle luci in quelle condizioni era di 35 minuti. Abbiamo dovuto creare delle minicentrali esterne, perché l’impianto dell’Hermitage non poteva reggere. In più le sale enormi non potevano essere illuminate solo da fuori. Non volevo che si vedessero ombre nel ballo finale: anche nei teatri di posa, le luci gettano delle ombre e si capisce da quelle che è finzione, che è un film. Se guardate film molto belli e ben fatti come Guerra e pace di Bondarchuk o Il Gattopardo di Visconti vedete le ombre. Mentre io dovevo garantire la migliore qualità. Abbiamo trovato il modo di usare dei palloni pieni d’aria con delle luci dentro che illuminavano dall’alto senza fare ombre. In una sala invece c’eravamo accorti che alcune luci entravano in campo inevitabilmente nel percorso che doveva fare l’operatore: ho risolto il problema mandando in campo un gruppo di attori di transito che hanno coperto le luci. Ma non abbiamo mai potuto fare una prova completa dentro l’Hermitage, avevamo fatto molte prove in teatro ricostruendo tutto. Al museo potevamo andare solo il lunedì, giorno di chiusura, a provare con piccoli gruppi e prendere le misure. Nel foyer abbiamo improvvisato un camerino per più di mille attori, del resto era un film in costume.

Alla fine abbiamo girato il film, non avevamo alternative. Ho visto il girato due giorni dopo le riprese e mi sono disperato. Ero preparato a una delusione, ma non mi aspettavo così tanto. Per cosa credete che sia rimasto deluso? (Dal pubblico: il suono?) Il suono avevamo già deciso di rifarlo in post-produzione. (Dal pubblico: qualcuno ha guardato in macchina?) Solo uno ha guardato in camera e gli abbiamo girato le pupille in post produzione. La delusione è stata per la qualità delle immagini. Büttner è un ottimo operatore, ma non sa lavorare con le luci. E in quelle condizioni bisognava essere anche un direttore della fotografia. Dopo che mi sono calmato dalla delusione, siamo andati a Berlino e là abbiamo fatto una color correction certosina, intervenendo su tutti i frame, un po’ aggiungendo e un po’ togliendo. Volevo arrivare a farlo vedere in pellicola per dimostrare che la pellicola è più bella.

Fu uno sbaglio farlo vedere a Cannes, che era interessata anche per via del mio coproduttore francese, perché non era un film da Cannes. Un regista perde il 90% del tempo a riappacificare la gente, convincere, trasmettere energia, insistere. Un regista non si occupa solo di cose artistiche. L’altro problema fu stampare il film su pellicola partendo da un hard disk. Bisognava dividere l’ora e 29 minuti in rulli da 20 minuti o 600 metri. Non tradite la pellicola! Se c’è la possibilità di vedere un film in pellicola usatela, su pellicola un film mantiene la qualità della vita. Da DCP un film è pura elettricità e l’elettricità è morte, non presume la vita. Per Cannes era necessario un proiettore che potesse reggere tutti i rulli attaccati. Ci fu un’ottusa resistenza da parte della direzione del festival per la proiezione, alle prove che abbiamo fatto di notte i tecnici erano svogliati. Ci rimasi male anche perché era un film fatto in un museo. Ma l’ambiente dei cineasti è conservatore. Credo che da molti sia stato sottovalutato e non guardato come andava guardato a Cannes.

La cosa più importante in una macchina da presa è la lente. L’ottica è l’occhio, è il 40% del lavoro. In molti casi l’opera è l’opera di ingegneri, non del regista. L’obiettivo decide la composizione dell’immagine.

Creando Arca russa ho rischiato grosso. Però è stato un momento felice mentre facevamo il film, eravamo felici quando abbiamo spento la macchina da presa. Molti si sono congratulati e si diceva che molti altri registi avrebbero fatto film così. Ma visto dall’interno è così complicato farlo, servono etica, estetica, bisogna avere l’ispirazione. Io l’ho fatto perché amo pazzamente l’Hermitage. Per me è il posto più importante a San Pietroburgo e forse in Russia. Questo mi ha fatto superare tutti i problemi. L’amore per l’Hermitage è stato una centrale elettrica per fare tutto. Credo che qualunque idea folle la si possa realizzare se c’è questo amore. Ma non cercate di vincere il tempo!

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INFO
La scheda di Arca russa su Imdb.
Il trailer di Arca russa.
L’immagine e la parola sul sito del Festival di Locarno.

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