Berlinale 2014 – Presentazione
Inizia oggi la Berlinale 2014, sessantaquattresima edizione della kermesse germanica. Un’edizione all’insegna della tradizione, tra grandi maestri e scoperte delle sezioni collaterali.
Alla Berlinale 2014 non fa freddo. È questa la prima, principale notizia che circola, come un virus informatico, tra gli accrediti stampa della kermesse tedesca: Berlino ha accolto il popolo cinefilo con una temperatura mite, primaverile (non fosse per le improvvise buriane ventose che fanno accapponare la pelle), e questa novità è stata accolta con una certa enfasi, in attesa che il festival prenda realmente corpo. Perché sarà finalmente la volta di Wes Anderson – a cui è toccata in sorte l’apertura con The Grand Budapest Hotel, che ospita uno dei cast più ricchi e sorprendenti visti in giro negli ultimi anni –, Lars Von Trier, Tsai Ming Liang, Richard Linklater, Alain Resnais e via discorrendo. Toccherà al cinema, come sempre, prendere il sopravvento su gossip, rumori di corridoio, speculazioni più o meno consapevoli e interessanti sul ruolo della settima arte nella contemporaneità. In questo senso un festival come Berlino, che segue da vicino un evento ancora poco riconosciuto dal microcosmo cinematografico italiano come Rotterdam, permette di aprire il fianco a una discussione sul rapporto tra i festival e le città in cui si sviluppano. Laddove realtà consolidate come Cannes e Venezia faticano e non poco a relazionarsi con il tessuto umano, sociale e politico che li circonda, la Berlinale spalanca da sempre le porte alla città: in un periodo storico in cui la cultura viene sovente abbandonata al proprio destino, una risorsa indispensabile per non essere messi da parte, relegati in un cantuccio ben poco confortevole. Berlino è la dimostrazione di come un festival cittadino non debba necessariamente scendere a compromessi con il proprio pubblico per riempire le sale.
E se American Hustle approda sulle sponde dello Sprea quando oramai ha già trovato distribuzione in tutto il mondo, e la conclusione affidata alla bella e la bestia versione Christophe Gans corre il rischio di far ansimare il festival proprio a pochi metri dal traguardo, universi sommersi come la selezione di Forum permettono di accontentare anche il più intransigente e schizzinoso dei cinefili. Si obietterà che il concorso non rappresenta il fulcro d’interesse della programmazione (per quanto presenti al suo interno titoli particolarmente attesi come il già citato Anderson, Aimer, boire et chanter di Alain Resnais, Boyhood di Richard Linklater – già applaudito al Sundance pochi giorni fa –, The Little House di Yoji Yamada, Blind Massage di Lou Ye), ma questo non può in fin dei conti che sottolineare l’eccellente lavoro di selezione che nella maggior parte dei casi caratterizza i palinsesti di Forum e Panorama. Cinema a trecentosessanta gradi che non si cura di fare distinzione di nazionalità, genere, estetica o poetica espressiva: da Hollywood all’estremo oriente, passando per il Vecchio Continente e persino per la derelitta Italia (Winspeare, Amelio e poco altro, a dimostrazione di come il nostro cinema stia perdendo sempre di più la bussola all’interno delle traiettorie cinematografiche mondiali), senza dimenticare l’America Latina. Il grande assente semmai dovrebbe essere considerato il cinema africano, presente a Berlino solo in Panorama Dokumente con Difret dell’etiope Zeresenay Berhane Mehari, ma questo discorso sarebbe da allargare alla maggior parte delle kermesse mondiali, che si limitano a snobbare ancora oggi la stragrande maggioranza delle produzioni provenienti dalle terre a sud dell’Europa.
In attesa di scoprire quali opere avranno maggiori chance di successo nella battaglia per la conquista dell’Orso d’Oro, e preparandoci a giornate di intense visioni nella zona di Potsdamerplatz, lasciamo che a concludere queste poche righe sia il sottofondo pulsante ma mai inutilmente rumoroso di una delle poche, vere, capitali europee, in grado di riflettere l’oggi ragionando sul domani e senza lasciar macerare il passato. Come il Cinema, dopotutto, arma del quotidiano che è futuro e passato nello stesso istante, senza essere realmente nessuno dei due…