La canzone del mare

La canzone del mare

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Dopo le atmosfere persino cupe di The Secret of Kells e le suggestioni klimtiane di On Love, Moore confeziona con La canzone del mare una deliziosa e commovente fiaba sulle difficoltà della vita, sull’elaborazione del dolore ma anche sulla sua necessità, sulla vitalità dei sentimenti, delle emozioni. Abile narratore di storie che pescano a piene mani nella tradizione irlandese, Moore realizza un’opera seconda seducente e sinuosa come una ballata. Presentato al Festival di Roma nella sezione Alice nella città e finalmente nelle sale grazie a Bolero Film.

Nelle tue storie e nelle tue canzoni

La piccola Saoirse e il fratello Ben, appena un ragazzino, vivono col padre in un faro a due passi dal mare, in cima a una collina. La madre è scomparsa da anni e il padre non si è mai ripreso dalla perdita, mentre la nonna insiste per portare i due bambini in città, per farli crescere in un ambiente più sano e sicuro. Un giorno, per caso, Saoirse trova un flauto fatto con una conchiglia che apparteneva alla madre. Dal quel momento, i due fratellini saranno catapultati in un’incredibile avventura tra creature misteriose, giganti pietrificati e altre magie… [sinossi]
Il cielo d’Irlanda si sfama di muschio e di lana
Il cielo d’Irlanda si spulcia i capelli alla luna
Il cielo d’Irlanda è un gregge che pascola in cielo
Si ubriaca di stelle di notte e il mattino è leggero.
Fiorella Mannoia – Il cielo d’Irlanda

A pochi giorni di distanza da Kahlil Gibran’s The Prophet, lungometraggio col pregio/difetto di passare dall’animazione di Roger Allers a quella di Bill Plympton e soci, il Festival di Roma ci ha regalato un secondo graditissimo vis-à-vis con l’arte certosina dell’irlandese Tomm Moore, illustratore che cerca di impreziosire ogni singolo fotogramma de La canzone del mare (Song of the Sea).
Una rivelazione, un talento consacrato dalla nomination all’Oscar con l’opera prima The Secret of Kells, tra le pellicole d’animazione più significative degli ultimi anni. Insomma, Moore è un nome da seguire con attenzione, in speranzosa attesa di una sacrosanta distribuzione nel Bel Paese.

Perché tanto entusiasmo? Difficile spiegarlo a parole, visto la complessità grafica che Moore costruisce immagine dopo immagine, e il fertile contrasto tra la composizione rigorosamente geometrica di buona parte delle inquadrature, la semplicità quasi fanciullesca del character design e l’attenzione fuori dal comune per dettagli, linee, sfumature, accostamenti cromatici. L’animazione de La canzone del mare non è suddita della prospettiva, della profondità di campo, delle logiche estetiche e narrative delle pellicole commerciali, come non lo è l’animazione di The Secret of Kells e del segmento On Love di Kahlil Gibran’s The Prophet. L’animatore irlandese capovolge a proprio favore l’assenza di prospettiva, liberandosi dalle catene del fotorealismo, reinventando una verosimiglianza che poggia le proprie fondamenta sulla coerenza e ricorrenza delle figure geometriche.
Moore, con Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol (Une vie de chat), Jean-François Laguionie (La tela animata) e il trio Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner (Ernest & Célestine), è il capofila europeo di una rinnovata animazione tradizionale che guarda con profondo rispetto al pubblico più giovane, alla centralità della storia, al côté grafico e artistico.
La valenza pittorica delle pellicole di Moore e la solidità narrativa dei suoi racconti ci riportano alla mente alcune piccole perle della Tōei Dōga come The Little Prince and the Eight-Headed Dragon (1963) di Yūgo Serikawa e Taro, the Dragon Boy (1979) di Kiriro Urayama, quel capolavoro di stilizzazione e sottrazione che è Tales of the Street Corner (1962) di Eiichi Yamamoto e la creatività di Genndy Tartakovsky (Samurai Jack), capace di oltrepassare i limiti imposti dal piccolo schermo.

Dopo le atmosfere persino cupe di The Secret of Kells e le suggestioni klimtiane di On Love, Moore confeziona con La canzone del mare una deliziosa e commovente fiaba sulle difficoltà della vita, sull’elaborazione del dolore ma anche sulla sua necessità, sulla vitalità dei sentimenti, delle emozioni. Abile narratore di storie che pescano a piene mani nella tradizione irlandese [1], Moore realizza un’opera seconda seducente e sinuosa come una ballata, prendendo per mano i piccoli spettatori e accompagnandoli verso un finale agrodolce. Tra i tanti passaggi significativi, le onde del mare che sembrano una variante irlandese di quelle di Hokusai, il risveglio del gigante Maclir, che pianse un oceano intero per poi tramutarsi in pietra, e le sequenze nel bosco, con quei campi dorati, i colori del tramonto, i fili d’erba, i mille elementi che compongono le tavole di Moore.

Note
1. Le selkie sono creature mitologiche che nelle notti di luna piena possono trasformarsi da foche a donne.
Info
Il blog de La canzone del mare.
La canzone del mare sul sito di Alice nella città.
Il trailer de La canzone del mare.
La canzone del mare sul sito del TIFF.
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