Kahlil Gibran’s The Prophet

Basterebbero i nomi e l’arte di Tomm Moore, Nina Paley, Joan Gratz e Bill Plympton per dare un senso compiuto alla visione di Kahlil Gibran’s The Prophet, lungometraggio d’animazione presentato al Festival di Roma 2014, in “comproprietà” tra le sezioni Gala e Alice nella Città.

L’arte degli altri

Almitra, la turbolenta figlia della bellissima domestica Kamila, si rifiuta di parlare da due anni, da quando ha perduto il padre. Dotata di una fervida immaginazione, Almitra incontra un gentile prigioniero politico, Mustafa. Tenuto agli arresti domiciliari, Mustafa viene liberato dopo sette anni e scortato al porto per imbarcarsi su una nave che lo attende per riportarlo a casa. Per Almitra e Mustafa, controllato a vista dallo scorbutico sergente e dalla gentile guardia Halim, inizia un viaggio fatto di soste e incontri, racconti e libertà… [sinossi]
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
Giorgio Gaber – La libertà

Usciti dalla proiezione di Kahlil Gibran’s The Prophet, lungometraggio d’animazione presentato al Festival di Roma 2014 e acquistato per il Bel Paese dalla Good Films, siamo accompagnati da impressioni contrastanti. Più dell’elaborazione degli scritti e del pensiero di Gibran, filtrato per una platea giovane e internazionale, ci interessa il lavoro sulle animazioni, il contributo dei singoli artisti e il risultato estetico complessivo.
Appare abbastanza chiaro, fin dalle prime sequenze, lo squilibrio tra la cornice narrativa e i frammenti affidati ai vari Moore, Paley, Gratz, Plympton e via discorrendo. Già indebolita da superflue parentesi comiche, da inevitabili animaletti mascotte e da un tono eccessivamente scanzonato, la prima parte di Kahlil Gibran’s The Prophet non riesce a nascondere alcuni limiti tecnici, amplificati dai campi lunghi, come la difficile coesistenza tra personaggi e fondali. E se le scelte di character design, quantomeno discrete per i personaggi principali (Almitra, Kamila e Mustafa), sono inevitabilmente legate al percorso artistico di Roger Allers (Il re leone, Boog & Elliot a caccia di amici)[1], è difficile sorvolare su un’idea di animazione troppo ancorata all’estetica disneyana degli anni Novanta. Una filiazione nordamericana che avevamo rimproverato in tempi recenti all’interessante e sanguigno Rio 2096 – Una storia d’amore e furia di Luiz Bolognesi, ma che per Kahlil Gibran’s The Prophet balza inevitabilmente agli occhi: le matite di Plympton e le geometrie di Moore smascherano le debolezze di un lungometraggio dall’anima divisa in due, costretto a far coesistere estetiche commerciali e l’afflato poetico e indipendente delle varie intrusioni autoriali.

La condanna di Kahlil Gibran’s The Prophet è però al tempo stesso la sua salvezza. Il film diretto da Allers e prodotto da Salma Hayek potrebbe essere un trampolino di (ri)lancio per una serie di animatori/registi di talento. Una vetrina valida sia a livello internazionale che, nella nostra ottica, nazionale: anche nel Bel Paese, ad esempio, potremo ammirare le certosine composizioni klimtiane dell’irlandese Toom Moore [2], l’ironia sagace e geometrica di Nina Paley (Sita Sings the Blues), la furiosa matita di Plympton (Idiots and Angels). Insomma, Kahlil Gibran’s The Prophet, forse non del tutto consapevolmente, finisce per celebrare non tanto la libertà di Gibran, ma la libertà creativa del cinema d’animazione, le infinite possibilità espressive offerte da tecniche, tradizioni, correnti e autori. Gli otto segmenti che sconquassano il rigido design della pellicola, soccorsa da un ricco parterre di doppiatori (Liam Neeson, Salma Hayek, Alfred Molina, Frank Langella) e musicisti (Gabriel Yared, Yo-Yo Ma, Damien Rice), vanno a comporre una sorta di manifesto artistico dell’animazione tradizionale, sempre più minacciata dalla computer grafica [3]. E così, un po’ paradossalmente, i numerosi difetti della ampia cornice narrativa di Kahlil Gibran’s The Prophet finiscono per esaltare l’utilizzo del nero e dei colori di Michal Socha (On Freedom), le linee sinuose e sensuali di Nina Paley (On Children), le metamorfosi pittoriche di Joan Gratz (On Work), i piccoli miracoli estetici e geometrici di Tomm Moore (On Love).

Note
1. Allers ha al suo attivo i soggetti e/o le sceneggiature di altri classici disneyani degli anni Novanta/Duemila, come La bella e la bestia (1991), Aladdin (1992) e Le follie dell’imperatore (2000). Il suo lavoro migliore per la Casa del Topo resterà probabilmente il cortometraggio The Little Matchgirl, scritto e diretto nel 2006
2. La sua sorprendente opera prima, The Secret of Kells (2009), diretta a quattro mani con Nora Twomey, è ancora inedita in Italia. Il secondo lungometraggio, Song of the Sea, è tra le pellicole selezionate da Alice nella città per Roma 2014.
3. Questi i titoli e i registi degli otto segmenti: On Love di Tomm Moore, On Freedom di Michal Socha, On Work di Joan Gratz, On Children di Nina Paley, On Marriage di Joann Sfar, On Eating and Drinking di Bill Plympton, On Good and Evil di Mohammed Saeeb Harib e On Death di Paul e Gaëtan Brizzi.
Info
Il sito ufficiale di Kahlil Gibran’s The Prophet.
Kahlil Gibran’s The Prophet sul sito di Alice nella città.
La pagina facebook di Kahlil Gibran’s The Prophet.
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