Sayonara

Sayonara

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Presentato all’International Film Festival Rotterdam nella sezione Voices, Sayonara segna un salto di qualità produttiva del regista Koji Fukada, ben noto ai frequentatori dell’IFFR, che può raccontare una storia di fantascienza sui generis, avvalendosi dell’apporto di attori internazionali.

Sayonara, Japanese goodbye

Il Giappone dopo un disastro nucleare. Tanya è una malata terminale e sta aspettando i risultati di una sorta di lotteria governativa per l’evacuazione. Dal momento che è una migrante, le sue possibilità di vincere sono basse. Passa quindi i suoi giorni con Leona, un androide femmina su una sedia a rotelle che è la sua unica, vera amica. [sinossi]
Whisper sayonara but you mustn’t cry
Sayonara, if it must be so
Whisper sayonara, smiling as we go
No more we stop to see pretty cherry blossoms
No more we ‘neath the tree looking at the sky
Sayonara, sayonara
Goodbye
Berlin Irving, colonna sonora del film Sayonara del 1957

Il giovane regista indipendente giapponese Koji Fukada è uno di quelli che il Festival di Rotterdam segue meritoriamente da vari anni. I suoi primi film, Hospitalité e Au revoir l’été (entrambi con titolo internazione in francese come esplicito omaggio del regista alla Nouvelle Vague), infatti ebbero poca eco nei festival internazionali a parte la manifestazione olandese.
Sayonara nasce come uno spettacolo teatrale bizzarro, passato nella sua tournée internazionale anche in Italia, a Palermo, che si basa sulla rivoluzionaria idea di far recitare un vero robot, l’androide Geminoid F messo a punto dall’Università di Osaka. Un ‘replicante’ davvero simile in tutto e per tutto a un essere umano. Per la versione cinematografica, Fukada sviluppa quello che nello spettacolo era una semplice visione dipinta come finestra della scenografia, in un paesaggio brullo, collinare, dalle ampie distese disseminate di bianco da ciuffi di erbe, interrotti da radi abeti. Un mondo di spazi aperti e di silenzi, dove risuonano le poesie recitate nel testo. La dimensione urbana, la città abbandonata, si vedrà solo dopo molto tempo nel film, e rimarrà comunque sempre marginale. Una poesia visiva costruita secondo un senso fortissimo di pittoricismo. Fukada si rifà ai quadri realisti del pittore americano Andrew Wyeth, alla desolazione dei suoi paesaggi, per il contesto naturale, mentre la protagonista Tanya, bionda, occidentale, è esaltata nel suo volto e nella sua figura preraffaelitici.

Un quadro idilliaco che è in realtà un paesaggio lugubre, di morte in attesa. Un paesaggio contaminato dalla radioattività. In Sayonara siamo ancora nel pieno del cinema giapponese del post-Fukushima, che incarna le inquietudini legate all’esposizione nucleare. E in questo nuovo contesto Fukada riprende, attualizza e rielabora i temi classici della fantascienza. Il futuro distopico postatomico da un lato. Dall’altro il robot, il replicante, l’intelligenza artificiale che sembra acquistare coscienza quando non sentimenti, il senso di labilità dei confini tra vita e non vita. Si tratta di un approccio quasi tarkovskijano alla fantascienza, nel rifiuto degli stilemi del genere.
Quello che interessa a Fukada è creare un clima di quotidianità post-atomica, di serena rassegnazione, ma anche di freddezza dei rapporti umani e inumani e incomunicabilità, in un paesaggio autunnale come nell’autunno della vita, di una ragazza, di un androide, del genere umano. Un contesto che è anche culturale. In quel mondo di desolazione ai limiti della vita, si parla indifferentemente inglese, francese e giapponese.
Ma è con la sua lingua madre, con la parola “sayonara”, che stavolta Fukada vuole sancire il senso dell’addio. È la sensibilità occidentale del regista, il senso del mélange linguistico come incontro di culture, che era centrale in Hospitalité. E l’amore per il cinema francese torna nella breve apparizione, in un video, di Irène Jacob. Ma ancora, dopo Hospitalité, Fukuda torna a parlarci dei contrasti etnici, del clima di diffusa intolleranza nel suo paese, con degli accenni all’apartheid e ai cittadini coreani, tradizionalmente oggetto di discriminazione razzistica in Giappone.
E nel finale conflagrano i contrasti pittorici e poetici. Nella morte e nella decomposizione della carne, la figura di Tanya passa da un quadro preraffaellita a uno di Francis Bacon. Nascono i fiori proibiti, i fiori impossibili del bambù. E quella onnipresente finestra/quadro sguardo verso l’esterno, con la carrozza giocattolo sul davanzale, mostra delle nuvole in movimento, simbolo cardine nella cultura orientale del carattere mutevole, imprevedibile, impermanente della vita.

Info
La scheda di Sayonara sul sito dell’International Film Festival Rotterdam.

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