The Brat

The Brat

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In Venezia Classici, tra i vari restauri in digitale del 2016, è apparso anche The Brat, scatenata commedia antiborghese diretta da John Ford nel 1931.

Sotto giudizio

Uno scrittore di romanzi a sfondo sociale decide di dare ospitalità a una giovane e insolente trovatella con lo scopo di trarre ispirazione per il suo nuovo libro. I familiari dell’autore sono messi in subbuglio dalla presenza della ragazza, ma il suo comportamento li indurrà a cambiare per sempre i loro modi snob… [sinossi]

The Brat irrompe al Lido, nella piccola Sala Volpi, e in poco più di un’ora spazza via gran parte del “nuovo” che ha preso corpo sugli schermi della Mostra durante le prime giornate di programmazione. Un gioco facile, senza dubbio, quello che prevede di nascondersi all’ombra dei grandi maestri del passato, ma che nel caso di The Brat consente anche di riscoprire un piccolo grande classico del cinema hollywoodiano, e forse a qualcuno di aprire gli occhi su un regista storicizzato, analizzato e studiato eppure in parte ancora oggi (a più di quarant’anni dalla sua morte) clamorosamente incompreso. Sotto questo punto di vista l’ottimo restauro in digitale lavorato dal MoMA – il museo possiede gran parte dell’eredità cinematografica di Ford, e The Brat era finora l’unico titolo della filmografia sonora del regista a essere rimasto fuori da un lavoro di recupero – si dimostra di un’utilità a dir poco rara. Non solo il film smarca Ford dall’idea, largamente diffusa per quanto paradossale, che il regista abbia lavorato in forma quasi esclusiva sul western, ma permette di togliere la sabbia dagli occhi di chi ancora oggi sia convinto della natura reazionaria, di “destra” nell’accezione politica europea, del suo pensiero.
The Brat, film dell’epoca pre-code del cinema hollywoodiano, il periodo più libero e liberal della produzione della Mecca del Cinema, è anche e soprattutto un’opera pre-New Deal. Girato nell’annus horribilis 1931, con il repubblicano Herbert Hoover alla Casa Bianca impegnato a “risolvere” la crisi finanziaria non andando incontro alle esigenze delle masse lavoratrici ma cercando di allentare lo stress dai grandi gruppi finanziari (non poche le similitudini con quanto sta accadendo oggi in Europa, a ben vedere), John Ford mette le mani su un dramma teatrale di Maude Fulton già rappresentato al cinema nel 1919 con Herbert Blache dietro la macchina da presa e Alla Nazimova a interpretare la protagonista, e lo fa scompaginando completamente le carte.

L’idea di un remake di un classico del passato – si parla di appena dodici anni prima, ma in realtà si tratta di un tempo non indifferente se si calcola la breve vita della Settima Arte all’epoca e il fatto che nel giro di pochi anni fosse apparsa una novità tecnologica sconvolgente come l’avvento del sonoro – faceva parte di un piano della Fox per tirarsi fuori dalle acque limacciose che preludevano a un eventuale tracollo finanziario; Ford ne approfitta per fare di The Brat una commedia sfrenata, affidata a un’attrice oramai dimenticata come Sally O’Neil, ma all’epoca sulla cresta dell’onda, trascinata dalla fama che aveva nell’epoca del muto. Il sonoro fu un avversario spietato della O’Neil, che pure in The Brat sfodera un’interpretazione impeccabile, a metà tra reale e onirico; come si trattasse del Puck di shakespeariana memoria, la trovatella del titolo irrompe nella magione del ricco scrittore e intellettuale MacMillan Forester per mettere a soqquadro l’ordine borghese.
È la “vendetta” del proletariato, quella popolazione ridotta alla fame – la stessa trovatella si ritrova in tribunale all’inizio del film per aver mangiato in un ristorante senza potersi permettere il conto finale – che viene vista e trattata dalle classi più abbienti come animali da studiare al microscopio. Se MacMillan si trascina nella sua splendida casa di campagna la ragazza non è per pena, e nemmeno per un senso etico, ma solo per poterne cavare del materiale vivido con cui irrobustire la trama del suo prossimo romanzo. Pochi anni dopo, tra il 1934 e il 1936, i fedelissimi di Roosevelt Frank Capra e Gregory La Cava, affronteranno il tema del conflitto di classe con Accadde una notte (viaggio nell’America dei derelitti compiuto da una miliardaria viziata) e L’impareggiabile Godfrey (un’altra miliardaria viziata si porta a casa per gioco un barbone, e lo assume come proprio maggiordomo), ma potranno muoversi su un terreno molto più agevole. Il New Deal sarà già in piena attivazione, il Partito Democratico al governo, e in entrambi i casi Capra e La Cava sceglieranno una ricomposizione del quadro sociale – la miliardaria sposa il giornalista squattrinato, mentre il maggiordomo si svela come ex aristocratico che ha perso tutto nel crollo di Wall Street ma sa perfettamente come tirarsi fuori dalla palude.
Per The Brat di John Ford si giocano altre carte: il suo film aspira a una ristrutturazione totale del sistema sociale che è però ancora di là da venire – un paio d’anni –, e non prevede comunque alcun tipo di reale compattamento sociale. La trovatella non può vivere in un ambiente ipocrita e vuoto come quello dell’intellettuale MacMillan, e d’altro canto la madre di quest’ultimo preferirebbe un ictus a un matrimonio tra classi sociali diverse. “Sono contraria all’innalzamento di una persona da una classe a un’altra”, sono le parole chiare della genitrice, che d’altro canto guarda con disprezzo il figlio minore, del tutto distante da qualsiasi infatuazione per il Capitale. Proprio con lui, il giovane Stephen, la trovatella può incamminarsi verso una vita comune, probabilmente non ricca ma onesta.

Se l’ideale cui protende Ford è fin troppo esplicito, il modo in cui questo prende corpo sullo schermo lascia a distanza di ottantacinque anni a bocca aperta. Basta la sequenza iniziale in tribunale per rendere evidente la modernità di The Brat: il dialogo, incessante e brioso, non evita temi che potrebbero apparire scabrosi – la prostituzione, il furto, la violenza domestica –, trattati però con il sardonico ghigno irlandese che sarà tratto distintivo di Ford anche nelle sue opere più cupe. A questo fuoco di fila di battute al vetriolo si somma una regia inventiva, che si confronta con le innovazioni delle avanguardie europee (il campo controcampo tra la piccola trovatella e il massiccio poliziotto che le occlude la visuale ha il nitore dell’espressionismo tedesco – e Murnau è riferimento più che esplicito durante l’intero corso della pellicola) ma le declina sempre a favore di una narrazione fluida, che si fa beffe dei salti temporali perché in realtà procede tutta nello sguardo, nelle inclinazioni e nell’insubordinazione congenita della protagonista.
Spassoso ai limiti delle lacrime, The Brat è un film politico che testimonia la scelta di campo di Ford, sempre dalla parte del popolo, mai in fiducia verso l’elitarismo di classe. Lo stesso slancio che lo porterà, nel 1940, a dirigere una struggente versione di Furore di John Steinbeck, guidata da un afflato profondamente sincero nella sua visione socialista. Dopotutto quando nei truci anni del Maccartismo Cecil B. DeMille, a capo di una nutrita fazione del Directors Guild of America, propose all’assemblea di cacciare dalla presidenza Joseph L. Mankiewicz, accusato di essere un comunista, il sempre timido e riservato John Ford prese la parola per affermare: “My name’s John Ford. I make Westerns. I don’t think there’s anyone in this room who knows more about what the American public wants than Cecil B. DeMille – and he certainly knows how to give it to them…. But I don’t like you, C.B. I don’t like what you stand for and I don’t like what you’ve been saying here tonight”. La trovatella sarebbe stata fiera di lui…

Info
Il documento del MoMA in cui si presentano i film degli esordi di John Ford, tra i quali The Brat.
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