Fango sulle stelle
di Elia Kazan
Natura e cultura, stato di natura e stato di diritto, memoria e progresso. Fango sulle stelle di Elia Kazan è la tragedia del tempo, immersa in uno struggente crepuscolarismo esistenziale. Con Montgomery Clift e Lee Remick. In dvd per Sinister e CG.
Epoca rooseveltiana. Il funzionario governativo Chuck Glover è inviato nel Tennessee per convincere un’anziana signora a vendere il proprio terreno. La signora è l’unica rimasta con la sua famiglia a vivere in una zona destinata a essere inondata per la costruzione di una diga che limiti i disastri naturali provocati dal fiume Tennessee. Ma l’anziana Ella Garth è determinata a non vendere, legata a doppio filo alla terra alla quale il marito si è votato per una vita intera. Chuck s’innamora di Carol, nipote della signora Garth rimasta vedova da giovane con due bambini. A poco a poco la piccola comunità mostra tutto il suo lato oscuro e violento… [sinossi]
Il progresso è una benedizione, il progresso è una tragedia individuale e collettiva. Nonostante le sue dichiarate simpatie politiche (ancorché disconosciute in occasione della desolante vicenda personale relativa ai lavori della commissione McCarthy), Elia Kazan ha più volte mostrato nei suoi film un atteggiamento dubbioso e problematico rispetto alle magnifiche sorti garantite dalle migliorie dell’uomo alla propria esistenza. Ogni progresso è sinonimo di un mondo che sparisce per lasciare posto a un altro, corrisponde al graduale ma inarrestabile smantellamento di sistemi culturali per approdare ad altri, secondo un flusso esistenziale che (vivaddio) non conosce soste.
Accanto a opere più dichiaratamente edificanti (Barriera invisibile, 1947) resta dominante nell’opera di Kazan la dimensione del dubbio, dell’indecidibilità, delle convinzioni di individui che entrano in conflitto con quelle di altri. Fango sulle stelle (1960), riproposto in dvd per Sinister e CG, nasce sul terreno del dubbio e vi resta fino alla fine, in crepuscolare constatazione di un universo in via di sparizione. Kazan alza ulteriormente la posta gettando un’ombra proprio laddove l’uomo agisce indubitabilmente per il bene, e cade dalle nuvole se la risposta altrui è negativa. Come comprendere la rocciosa determinazione di chi rifiuta il bene, quando esso è platealmente conclamato?
Fango sulle stelle è un dramma rooseveltiano, epoca in cui Kazan si è formato e dalla quale ha probabilmente ricavato cultura e idee del progresso. È un dramma dell’uomo e della natura, profondamente radicato nell’ancestrale cultura americana, quella della terra conquistata come pionieri e coltivata in armonia con essa, secondo un’idea di stato di natura fondato sull’immortale fluire di tempo e stagioni. È a questa dimensione panica che appartiene l’anziana signora Ella Garth, vero fulcro narrativo del film, che si trova a difendere con le unghie e con i denti il suo pezzo di terra da un funzionario governativo venuto per farla sloggiare.
In realtà le intenzioni del governo federale sono delle migliori, dal momento che la signora Garth è rimasta con la famiglia e la sua manovalanza di colore a occupare un isolotto in mezzo al fiume Tennessee, unici reduci di una diaspora degli abitanti della zona a causa delle ripetute inondazioni mortali. Nelle vicinanze sarà costruita una diga per regolare il flusso del fiume, ma questo comporta la totale inondazione dei terreni della signora Garth. Il funzionario Chuck Glover cerca di far capire all’anziana signora che la sua posizione intransigente è priva di senso, dal momento che la famiglia rischia di rimanere in balia delle bizze imprevedibili del fiume. Ma in Ella Garth batte un vecchio cuore americano, impastato di fierezza, conquista e individualismo. A poco a poco Glover si scontra coi pregiudizi e le arretratezze della piccola comunità, fino al vero e proprio ostracismo quando intesse una relazione con la nipote della signora Garth. Ognuno ha le sue ragioni, nessuno ha ragioni assolute.
Elia Kazan sposa lo sguardo crepuscolare e ambiguo di chi non ha la presunzione di conoscere l’uomo, le sue contraddizioni, i suoi netti bianchi e neri. Fango sulle stelle è un dramma dai contorni morali decisamente sfumati, tanto innamorato della fierezza della signora Garth quanto delle giuste cause del probo Chuck Glover. Se da un lato è evidente lo scontro tra natura e cultura, tra stato di natura e stato di diritto, tra memoria e progresso, dall’altro è impossibile tracciare linee definitive nella spartizione dei valori morali messi in gioco. Glover ha sensatissime ragioni per caldeggiare l’abbandono delle terre da parte della signora Garth, ma dalla sua la signora Garth risponde con il comprensibile risentimento di chi vede il progresso trascurare le ricadute sul fattore umano. A sua volta la comunità e la cultura a cui la signora Garth appartiene mostrano il loro lato oscuro e violento, a cominciare dagli spietati meccanismi di inclusione ed esclusione sociale che sanciscono ancora un netto solco tra padroni bianchi e servitori/lavoratori neri. Ma non è l’unica violenza a increspare quegli orizzonti, poiché la comunità si chiude a riccio pure di fronte al volto progressista di Chuck Glover, cercando di coinvolgerlo e renderlo complice di collaudati meccanismi sociali (i notabili del paese rifiutano l’equiparazione delle paghe tra bianchi e neri, tra le altre cose). Di più: alla contesa e allo scontro d’interessi i villici rispondono ancora con le maniere forti, facendosi valere tramite la legge del più forte e il sopruso fisico.
A conti fatti sembra di percepire un’unica America che avvolge tutti i personaggi, siano essi contadinotti del Tennessee o ben educati funzionari governativi: è l’America dell’individuo, dell’interesse privato, o del bene collettivo che calpesta però l’integrità dell’individuo.
Cosicché pure il New Deal rooseveltiano, nel quale Kazan aveva probabilmente trovato terreno fertile alla propria formazione, mostra il suo rovescio drammatico tramite l’emersione della violenza sottesa a qualsiasi atto di cambiamento. Gli Stati Uniti di Fango sulle stelle sono malinconici e crepuscolari, ripiegati in un mesto rimpianto per un passato ideale, doppiamente sconsolato poiché quel passato è in realtà fondato a sua volta su soprusi e ingiustizie, a partire dallo schiavismo. Non resta che l’immanenza estatica della natura e del suo spettacolo, esaltato da Kazan con tutte le potenzialità del Technicolor e del Cinemascope. Alcune inquadrature tradiscono un gusto non comune per la composizione pittorica, mai gratuita o fine a se stessa bensì opportunamente inserita in una più ampia riflessione sul destino dell’uomo e il suo rapporto con la legge. Kazan conduce alle estreme conseguenze la tensione espressiva delle risorse del Technicolor, componendo inquadrature dense di lirismo tra fumi e vapori del fiume e raggiungendo i suoi massimi apici nella dispersione della figura umana su tali sfondi naturali: il dissolversi dell’uomo di fronte a qualcosa di più grande e indomabile, contro il quale si può solo vincere qualche battaglia grazie al progresso, ma mai una guerra. E mentre gli uomini si scontrano tra interessi privati, la natura resta là, testimone e traditrice, maestosa e infida, unica costante nell’universale transitorietà.
Volto tormentato della Hollywood di un tempo, Montgomery Clift è qui chiamato a incarnare la faccia onesta e ben educata delle istituzioni. Meno intenso e appassionante che altrove, Clift aveva già avuto l’incidente d’auto che lo sfigurò in parte, ma qui si nota assai meno che nell’appena precedente Improvvisamente l’estate scorsa (1959). Al suo fianco troviamo un’ottima Lee Remick, ma il personaggio che resta scolpito nella memoria è la rocciosa signora Garth, interpretata da un’eccellente Jo Van Fleet la cui collaborazione con Elia Kazan le aveva già fruttato un Oscar per La valle dell’Eden (1955). Sul suo volto fittiziamente invecchiato, sulle sue rughe ben evidenti sembra di ravvisare un canyon consumato dalle stagioni. Un canyon tanto più antico quanto destinato alla sparizione. È la tragedia del tempo.
Extra: trailer originale.
Info
La scheda di Fango sulle stelle sul sito di CG Entertainment.
- Genere: drammatico, sentimentale
- Titolo originale: Wild River
- Paese/Anno: USA | 1960
- Regia: Elia Kazan
- Sceneggiatura: Borden Deal, Paul Osborn, William Bradford Huie
- Fotografia: Ellsworth Fredericks
- Montaggio: William Reynolds
- Interpreti: Albert Salmi, Barbara Loden, Big Jeff Bess, Bruce Dern, David Ferrell, Donna Carnegie, Frank Overton, James Campbell, James Hampton, James Westerfield, Jay C. Flippen, Jo Van Fleet, John Dudley, Judy Harris, Lee Remick, Malcolm Atterbury, Mark Anthony, Mike Dodd, Montgomery Clift, Ross Apperson
- Colonna sonora: Kenyon Hopkins
- Produzione: Twentieth Century Fox
- Distribuzione: CG Entertainment, Sinister Film
- Durata: 110'