Il posto delle fragole

Il posto delle fragole

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Terzo titolo proposto dalla rassegna Bergman 100, organizzata al Palazzo delle Esposizioni da CSC-Cineteca Nazionale e La farfalla sul mirino, Il posto delle fragole è una delle pellicole più note del cineasta scandinavo, un road movie catartico e intriso di rimpianti per una giovinezza e una felicità oramai lontanissime, per una vita che sta inevitabilmente volgendo al termine. Il viaggio esistenziale del professor Isak Borg (un commovente Victor Sjöström), così intrinsecamente rivolto al passato, rivela ancora oggi una inscalfibile vitalità narrativa ed estetica.

Dissolvenze

L’anziano e illustre professor Isak Borg viene insignito di un prestigioso riconoscimento accademico e dovrà recarsi a Lund per ritirarlo. La festosa giornata inizia però con un incubo: Borg sogna di trovarsi da solo in una città sconosciuta, con orologi privi di lancette, un uomo che cade a terra afflosciandosi su se stesso, un carro funebre che sbatte contro un lampione e un cadavere col volto identico al suo. Al risveglio, dopo aver chiesto la colazione alla governante, decide di non affrontare il viaggio in aereo bensì in automobile: lo accompagnerà la nuora Marianne… [sinossi]
Lei non è altro che un vecchio egoista.
Non ha riguardo per nessuno e in vita sua non ha ascoltato che se stesso.
Si cela dietro una maschera, un paravento di bonarietà e di modi molto raffinati,
ma è solo un perfetto egoista.
Marianne – Il posto delle fragole
Forgiai una personalità esteriore che aveva ben poco a che fare con il mio vero io.
Non riuscendo a tenere separate la mia maschera e la mia persona,
ne risentii il danno fin nella vita e nella creatività dell’età adulta.
Ingmar Bergman – Lanterna magica

Le note di Erik Nordgren anticipano il tono drammatico che affiora timidamente nella presentazione dell’anziano professore Isak Borg. Un incipit sussurrato, eppure a suo modo implacabile, una calamita emotiva. Una vita raccontata in due minuti, con l’affabulazione della voce del protagonista – con gli annessi e connessi emotivi suscitati dal monumentale interprete, Victor Sjöström, uno dei pilastri del cinema svedese e maestro di Bergman. I titoli di testa arrivano dopo una dissolvenza in nero e Il posto delle fragole (ri)comincia con un incubo. Con una maschera che inizia a incrinarsi.

Il sogno, l’incubo. Le lancette mancanti, il tempo che continua comunque a scorrere. Il tempo implacabile, come la Morte che raggiunge il professore, lo agguanta. Il simbolismo bergmaniano è affascinante, volutamente semplice, intelligibile. Così come il lungo battibecco con la governante, burbera e amorevole, o gli sguardi distolti e le parole non dette nel breve dialogo tra Borg e la nuora Marianne (Ingrid Thulin). Poi la partenza, il road movie racchiuso in una lunga e decisiva giornata, le parole che si fanno taglienti. Macigni, verità: «…e per questo mi rispetta», «sì, certo. Ma la odia, anche…». Isak Borg è un «egoista che si cela dietro una maschera di bonarietà e modi raffinati», è uno dei possibili Bergman, come lo potrebbe essere il figlio Evald (Gunnar Björnstrand).

Dissolvenze incrociate. Quattro piccole ellissi ci accompagnano dolcemente verso la macchina del tempo congegnata da Bergman. Il road movie s’interrompe, lascia il posto ai ricordi del professore, ai fantasmi, a una dimensione onirica, quasi fantastica. La giovinezza, la villeggiatura, il posto delle fragole. «Fino all’età di vent’anni venivo a villeggiare qui, eravamo dieci figli tra fratelli e sorelle». Altre dissolvenze, una dietro l’altra. Il Tempo regala al professore frammenti di quello che è stato, di quello che poteva essere, i riflessi di una vita senza maschera. Il Tempo inclemente e la paura della morte tornano in un altro riflesso, in uno specchio, nel volto anziano di Borg. Dissolvenze e figure ricorrenti. Il posto delle fragole è un film straziante, immenso nel suo minimalismo, nell’immancabile rigore bergmaniano.

In questo viaggio da Stoccolma a Lund che scoperchia amarezze e rancori, le uniche parole gentili rivolte a Borg, ma di stima professionale, arrivano dal benzinaio (Max von Sydow), mentre il mosaico ricomposto tassello dopo tassello attraverso i confronti con gli altri personaggi, persino con la madre (Naima Wifstrand), ci restituisce un ritratto diverso, una vita sentimentale gettata al vento, arida. Il viaggio serve anche a questo, a rendere visibile il solco scavato da Borg nei suoi settantotto anni. Ma la fine del viaggio ha un’altra meta, quella redenzione che permette di gettare la maschera e di farla gettare anche a Evald. Ancora Vita e Morte; il confronto infinito tra fede e ateismo nell’acceso dialogo tra i due amici di Sara (Bibi Andersson); quella redenzione che aveva trovato anche il cavaliere Antonius Block ne Il settimo sigillo.

Io sono il simbolo della vita che continua.
Desidero tanto questo bambino.
Impazzirò se non si sbriga a crescere.
Stina – Alle soglie della vita

Nel paragrafo Paesaggio d’autore e il paesaggio come «stimmung» del corposo saggio Il cinema e le arti visive, Costa parte da alcuni punti fermi – Bergman, Kurosawa, Ford – per individuare e riassumere il ruolo del paesaggio nel cinema d’autore e di genere: «un particolare sentimento del paesaggio può costituire uno degli elementi essenziali di un universo figurativo» [1]. Stimmung. L’eterno ritorno al posto delle fragole. La disposizione dell’animo e il rapporto simbiotico, intimo, vitale e doloroso col paesaggio, fonte primaria dei ricordi, di questo viaggio nel tempo che ha una fine già scritta (la morte di Isak, sempre più vicina) e un possibile nuovo inizio (il ravvedimento di Evald, così ostinatamente uguale al padre).
Il biennio 1957-58 è il più fertile e produttivo per Bergman: Bakomfilm Smultronstället, Il settimo sigillo, Herr Sleeman kommer e Il posto delle fragole, realizzati nel 1957; Venetianskan, Alle soglie della vita, Rabies e Il volto, usciti l’anno successivo, tra grande e piccolo schermo [2]. La pioggia di premi, il successo internazionale, una nuova fase della carriera. I fili rossi che percorrono l’intera filmografia del cineasta di Uppsala attraversano anche questo biennio e sono lampanti nel dittico della consacrazione critica e festivaliera Il settimo sigillo & Il posto delle fragole, ma anche nel meno noto Alle soglie della vita ritroviamo quella circolarità che permea la filosofia bergmaniana, il susseguirsi e quasi sovrapporsi della Vita e della Morte. Ritroviamo nelle parole e nella tenacia di Stina («io sono il simbolo della vita che continua») la forza d’animo di Marianne, il suo restare avvinghiata a un figlio non voluto e a un marito sempre più distante. La vita e la morte si sfiorano, arrivano persino a scambiarsi i ruoli in Alle soglie della vita, con Stina che perde il bambino, mentre Hjordis partorisce, rinunciando all’aborto. Slittamenti non dissimili da Il posto delle fragole, col ravvedimento di Evald e il suo nuovo inizio, il (possibile) passo in avanti rispetto al padre. Isak, Marianne, Evald e l’eterno ritorno al posto delle fragole, a quella stimmung che sgorga direttamente dall’esperienza personale di Bergman, dai suoi conflitti, dalle sue circolarità. In questa messa in scena di un’adolescenza oramai lontana, persa per sempre, si rispecchia il percorso umano e intellettuale di un artista che ha continuato ad analizzare se stesso, a proiettarsi sullo schermo, a utilizzare la lanterna magica come specchio rivelatore.

Who can forget such images?
Woody Allen.
Note
1. Antonio Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino 2002.
2. Senza contare l’intensa attività teatrale. In questi due anni, Bergman mise in scena Peer Gynt di Ibsen, Il misantropo di Molière, Gente di Värmland di Dahlgren e Urfaust di Goethe.
Info
Il trailer de Il posto delle fragole.
L’edizione blu-ray e dvd Criterion de Il posto delle fragole.
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