La femme et le pantin

La femme et le pantin

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Presentato in Piazza Maggiore per il Cinema ritrovato, La femme et le pantin di Jacques de Baroncelli è uno dei tanti adattamenti dell’omonimo romanzo di Pierre Louÿs. Questa versione, del 1929, restituisce in modo incredibile l’erotismo, il desiderio di cui è oggetto la conturbante ballerina andalusa Conchita.

L’ultimo flamenco a Parigi

Il donnaiolo Don Mateo aiuta una ragazza in un treno mentre viene aggredita da un’altra donna. Questa ragazza, Conchita, fa presto visita al ricco Don Mateo nel suo palazzo di Siviglia. Lui si innamora di lei, ma a lei piace giocare con lui. A volte incoraggia le sue avance, poi lo rifiuta. Inoltre c’è un ritratto di un giovane nella sua stanza, evidentemente il suo fidanzato. Don Mateo le offre dei soldi e dei regali che lei accetta per poi scappare. Alcuni mesi dopo Mateo la scopre mentre balla il flamenco in uno squallido locale. Lei lo nota, flirta con altri clienti, poi con il giovane del ritratto, prima di riprendere a parlare con lui. Ma il gestore le chiede di prepararsi per il prossimo numero, in una stanza riservata dove balla nuda per ricchi turisti. [sinossi]

Il romanzo del 1898 La donna e il burattino (La femme et le pantin) di Pierre Louÿs, è stato adattato più volte nella storia del cinema dando luogo a capolavori come Capriccio spagnolo (The Devil Is a Woman) di Josef von Sternberg, dove la bella femme fatale andalusa prende le fattezze di Marlene Dietrich, o Quell’oscuro oggetto del desiderio di Buñuel, dove invece questa figura viene sdoppiata nelle due attrici Carole Bouquet e Ángela Molina. Quello di Jacques de Baroncelli, nel 1929, è già il secondo adattamento del testo dopo quello del 1920 di Reginald Barker. De Baroncelli vi approda dopo un percorso lungo di adattamenti di opere letterarie.

La femme et le pantin è stato presentato in Piazza Maggiore per il 34° Cinema ritrovato, nell’ambito della sezione Ritrovati e restaurati, nel restauro recente, del negativo originale, della Fondation Jérôme Seydoux-Pathé che restituisce il montaggio della versione per il pubblico francese e le didascalie flash dei cartelli originali. Sono state perse invece le riprese a colori, testimoniate dalla documentazione dell’epoca, ottenute con la cinematografia Keller-Dorian. La femme et le pantin è la storia di un’ossessione amorosa spasmodica per una femme fatale rappresentata dalla sensuale e conturbante ballerina andalusa Conchita, evidentemente modellata sulla Carmen, ancora una sigaraia. Il José è incarnato dal ricchissimo Don Mateo che vive in un sontuoso palazzo a Siviglia. Con quest’uomo Conchita ingaggia un gioco di tira e molla, sempre concedendosi per poi respingerlo, e senza nascondergli di avere un fidanzato la cui immagine campeggia in un quadretto che Mateo vede subito entrando nella casa della donna.

Jacques de Baroncelli mette in scena una magniloquenza estrema, un’opulenza figurativa che non sfigura di certo rispetto al successivo film di von Sternberg. E La femme et le pantin si costruisce figurativamente sulle due coordinate dei sontuosi palazzi nobiliari di Siviglia e dei vicoletti dei quartieri poveri della città dove vive Conchita. La prima scena, magniloquente, del ballo di palazzo ha un sapore fiabesco dove la ragazza seduttrice gioca il ruolo di una, non più ingenua, Cenerentola. E potrebbe ricordare benissimo anche la scena della danza di corte nel Lago dei cigni. L’ossessione malata, folle e l’uomo ridotto a burattino vengono allegorizzati da de Baroncelli richiamando il quadro Il fantoccio (El pelele) di Goya che raffigura quattro ragazze che tengono un lenzuolo per i lembi facendo saltare ripetutamente un pupazzo di stoffa. Il film è incorniciato dalla ricostruzione filmata, fedelissima, di quel dipinto, rappresentando la scena iniziale, richiamata ancora nel film, e poi quella di chiusura dove Don Mateo, assistendo impotente a un’ultima sfrenata e lasciva danza della ragazza, viene fatto combaciare con la figura del fantoccio. L’enunciazione e il prologo danno anche il senso illustrativo, pittorico che è anche la dimensione di scopofilia che domina la condizione di Don Mateo che spesso è costretto a contemplare, a vedere un quadro bellissimo senza riuscire a entrarci. Fin da una inquadratura della prima scena, su un treno che sfreccia in un paesaggio innevato, ripresa dall’esterno – con il finestrino che incornicia l’immagine della contesa tra le due danzatrici di flamenco, una delle quali è Conchita – de Baroncelli fa uso frequentissimo di questo effetto quadro interno che rappresenta una distanza. La barriera che spesso si frappone tra Mateo e Conchita, è resa con una lunga serie di elementi di separazione, inferriate, griglie che a volte creano degli effetti surcadrage. La raffinatezza stilistica che il regista esibisce non è fine a se stessa.

Quando Mateo arriva per la prima volta a casa di Conchita vede prima la sua immagine frammentata dall’inferriata della sua finestra, un reticolo che viene riprodotto dai disegni sul vestito stesso della donna, che poco dopo si sdraierà sul pavimento, segnalandosi così come disponibile. Il ritratto del fidanzato sul comodino di Conchita sarà un segnale narrativo nel film e farà il paio con il ritratto immaginario che Mateo visualizza dentro la collana di perle, che funziona così da cornice, e ancora con un’altra proiezione mentale, stavolta su un ventaglio. Sublime anche il momento di danza di Conchita, nella parte ambientata a Cadice, vista da un punto di vista interno alla chitarra di un musicista attraverso la buca, estremo voyeurismo, con un’alternanza focale che mostra a tratti la donna e a tratti le corde dello strumento. La composizione dell’immagine gioca spesso su geometrie che sottolineano gli incroci narrativi, mentre le scene di danza nei teatri suggeriscono ancora un effetto palcoscenico.

L’apice del film è rappresentato dalla scena vertiginosa in cui Conchita balla nuda nel privé di un locale, a tratti coperta o semicoperta da un drappo che lascia intravedere offuscando l’immagine, a tratti con la sua silhouette danzante in un gioco di ombre che si moltiplicano o che creano una composizione con la figura di una testa di bue appesa alla parete, a tratti con un’esibizione diretta del suo corpo nudo di spalle davvero ardita per l’epoca. Un momento di tensione erotica altissima che prende la forma di quella bottiglia sul tavolo, evidentemente un’erezione, su cui sempre si proietta l’immagine della donna che danza. Mateo la spia dalla finestra per poi irrompere, impazzito, nel locale proibito. Uno dei pochi momenti del film in cui le barriere si aprono, e che in questo caso ha il senso dell’interruzione di un coito, come dell’uomo geloso che scopre la donna a letto con l’amante. L’apice della messa in scena di un testo incentrato sul desiderio carnale, che già in una versione teatrale, nel 1910 al Théâtre Antoine per la regia di Firmin Gémier, diede scandalo per la danza di Régina Badet che ne suggeriva le nudità.

Info
La scheda di La femme et le pantin sul sito del Cinema ritrovato

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