Marinheiro das montanhas

Marinheiro das montanhas

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A due anni di distanza dal successo internazionale ottenuto con La vita invisibile di Eurídice Gusmão Karim Aïnouz torna al Festival di Cannes – tra le Séances spéciales – con Marinheiro das montanhas, un viaggio alla scoperta delle sue origini algerine. Una riflessione sulla famiglia, sulle origini, sul colonialismo e sulla rivoluzione.

La vita invisibile degli Aïnouz

Gennaio 2019. Il regista Karim Aïnouz decide di attraversare il Mediterraneo via nave allo scopo di intraprendere il suo primo viaggio in Algeria. Accompagnato dalla sua videocamera e dal ricordo della madre Iracema, Karim Aïnouz traccia un resoconto dettagliato del viaggio nella terra natale di suo padre, dalla traversata marittima al suo arrivo sulle montagne dell’Atlante in Cabilia, fino al ritorno, mescolando presente, passato e futuro. [sinossi]

Se è sempre opportuno ragionare sul valore politico dell’immagine (e sempre più spesso nel mondo critico internazionale si tende a tralasciare questo passaggio all’interno dell’analisi), il discorso si fa ancora più inevitabile quando ci si trova di fronte a opere come Marinheiro das montanhas, la nuova regia di Karim Aïnouz. Il regista ha scelto la platea di Cannes, dove il film è stato presentato tra le “séances spéciales” per lanciarsi in una dura reprimenda nei confronti della presidenza Bolsonaro: “Grazie ancora al festival per l’invito. Tempo fa, durante la pandemia, temevo che momenti come questo di condivisione di un film al cinema sarebbero stati relegati solo nel passato. La felicità di essere qui stasera è ancora più grande. Marinheiro das montanhas è un film intimo, forse il mio primo vero film. Il film che ho sempre sognato di fare. La storia d’amore tra i miei genitori è stata nella mia immaginazione fin da quando mi sono interrogato su me stesso. In qualche modo, il desiderio di farne un film è stato ciò che mi ha portato al cinema.
Devo ricordare che ci sono centinaia di migliaia di brasiliani morti a causa dell’assoluta negligenza del governo nel gestire la pandemia. La democrazia brasiliana è in una situazione critica, respira con l’aiuto di dispositivi. Parlare del Brasile oggi è come parlare di una persona amata che si trova tra la vita e la morte. È necessaria un’azione urgente per fermare questo governo, di cui una delle caratteristiche principali è la distruzione e l’uccisione deliberata. Oltre alle oltre 500.000 vittime de Covid ci sono molte altre vite perse come risultato diretto di questa amministrazione genocida.
Come risultato di questo governo, l’arte, la scienza e le università pubbliche sono le prime a essere colpite. Un’enorme catena di produzione cinematografica in Brasile sta lottando per sopravvivere in questo scenario. La produzione culturale in tutto il paese è quasi completamente paralizzata dai calcolati atti di distruzione imposti dal governo. Durante la realizzazione di Marinheiro das montanhas ero in contatto con l’atmosfera degli anni ’60, sia nell’Algeria rivoluzionaria che in Brasile, in resistenza alla dittatura. Non parlo di nostalgia, ma di vitalità, di capacità di sognare. Tornare a quei momenti mi ha mostrato come non si possa negare la possibilità di pensare al futuro. Spero che questo film possa aiutarci in qualche modo a entrare in contatto con queste esigenze. Dobbiamo sognare di nuovo il nostro futuro, con gioia e furia”.

Non esistono con ogni probabilità parole migliori per approcciarsi a un’opera così intima e allo stesso tempo universale, e non è casuale che Aïnouz lo consideri alla stregua di un vero e proprio esordio. Vissuto in un luogo ignoto allo stesso regista, Marinheiro das montanhas si apre e si chiude su un lungo, lunghissimo viaggio per mare, quello che permette al regista di lasciare Fortaleza, la città natale nel nord-est del Brasile, per raggiungere le coste algerine (facendo tappa a Marsiglia), primo passaggio indispensabile per poi inoltrarsi sulle montagne dell’Atlante e trovare Cabilia, la terra berbera da cui provengono gli Aïnouz. Non esistono parole migliori perché pur essendo in essenza un racconto familiare, il tentativo di un uomo di ritrovare infine le tracce del padre, Marinheiro das montanhas è a tutti gli effetti la riflessione filmata su due società colonizzate dall’Europa, e che hanno vissuto vagiti di rivoluzione mai davvero tramutatisi in un cambio di prospettiva reale della nazione. Non è certo casuale che nel film il regista, che lo narra tanto per immagini quanto attraverso le parole che recita rivolgendosi idealmente alla madre Iracema (“con te questo viaggio sarei stato costretto a farlo in aereo”, afferma quasi all’inizio), faccia riferimento a Frantz Fanon e a quel I dannati della terra che ha insegnato a un intero continente a prendere coscienza del significato universale della rivoluzione dei popoli colonizzati.Proprio come la rivoluzione anche Marinheiro das montanhas è in realtà un film indefinibile, impossibile da classificare e incasellare in percorsi irregimentati: non è un film-saggio, ma fa ampio ricorso alla saggistica; non è un film di viaggio, ma il regista viaggia eccome in questo Paese sconosciuto e misterico; non è un film di famiglia, ma il cuore pulsante dello stesso è proprio la sua famiglia; non è un agit-prop, eppure lo scopo intimo è esattamente quello della disseminazione delle idee, nella concezione sovietica del termine propaganda.

Come la popolazione berbera anche questo film sembra arroccarsi sui monti, far parte di una società e allo stesso tempo tenersene a distanza, presupponendo una rinascita (rivoluzione, per l’appunto) che chissà se avverrà mai ma per la quale occorre prepararsi, essere pronti. Come gli Aïnouz si sono dispersi in giro per il mondo – è da ricordare come lo scorso anno alle Giornate degli Autori a Venezia abbia esordito la sorella di Karim, la quasi omonima Kamir, creando confusione in almeno uno degli accreditati stampa che al momento della presentazione in sala con l’articolazione delle frasi al femminile proruppe in un fragoroso (e sgraziato, oltre che ridicolo) “È un uomo!” urlato a squarciagola – così la videocamera non può saper mettere a fuoco tutto, ma deve cercare di racchiudere al proprio interno le schegge di quelle verità in sommovimento, di quei popoli che nessuno ha voluto o saputo raccontare, di quelle parti del cosmo che combattono nel disinteresse internazionale una battaglia quotidiana. Marinheiro das montanhas, pur se inclassificabile, è in questo un’opera potentemente e consapevolmente politica, e riesce attraverso la magia dell’immagine registrata instillare nell’occhio dello spettatore quella riflessione che il regista ha tenuto anche a ribadire a voce, ma che – come in ogni opera cinematografica compiuta che si rispetti – è già tutta sullo schermo. Basta aprire gli occhi, atto di per sé già rivoluzionario.

Info
Marinheiro das montanhas sul sito del festival di Cannes.

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