Stalker

Seconda opera di fantascienza per Andrej Tarkovskij, dopo Solaris, tratta da un romanzo dei fratelli Strugackij, Stalker mette in scena un pianeta di assoluto degrado, impregnato di umidità, governato dal ritmo del rumore dei treni, dove la misteriosa e inaccessibile Zona rappresenta una speranza che si rivelerà aleatoria. Un’opera meditativa e metafisica, una deriva esistenziale allegorica cupa, dove personaggi e paesaggi sono accarezzati e contemplati da una mdp fluida che li segue, e precede, nella loro odissea.

Odissea nella Zona

La Zona, territorio colpito in passato dalla caduta di un presunto meteorite, è interdetta dalle autorità, ma ci sono gli stalker, guide abusive, che riescono a infiltrarsi e condurre visitatori paganti, aggirando tutte le trappole pericolose di quel territorio proibito. Uno di questi, sposato e padre di una bambina disabile, si trova in una stamberga con uno scrittore e un professore prima di condurli nella Zona. Il loro obiettivo è arrivare nella fantomatica stanza, nel cuore del territorio proibito, dove si realizzano tutti i desideri. [sinossi]

Secondo film di fantascienza per Andrej Tarkovskij, dopo Solaris, Stalker è tratto da un romanzo dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, rinomati autori della SF sovietica, uscito nel 1971 con il titolo Picnic sul ciglio della strada. Il regista ha filtrato, distillato l’opera letteraria di base, scritta nella forma di dispacci e rapporti dei servizi segreti e ispirata all’evento di Tunguska del 1908, ovvero il probabile impatto in una zona remota della Siberia di un meteorite, o forse una cometa. Una collisione ancora oggi oggetto di studi e controversie, che negli anni Settanta generò una serie di ipotesi pseudoscientifiche, come una Roswell ante litteram, basate sulla suggestione che il misterioso oggetto schiantato fosse un’astronave extraterrestre. Tunguska rientrava in una mappa di luoghi misteriosi, insieme per esempio al triangolo delle Bermude, che tanto erano in auge e che non potevano non avere un eco nella settima arte. Incontri ravvicinati del terzo tipo, di due anni precedente a Stalker, si nutre avidamente di tutte quelle teorie ufologiche facendo ricomparire per esempio i presunti dispersi nel triangolo maledetto, restituiti dagli alieni che li avevano rapiti.

Il Professore, semplicemente chiamato con questo termine, come lo Scrittore, uno dei protagonisti di Stalker, non crede al triangolo delle Bermude. Lui è uno scienziato, un fisico, e reputa che i triangoli siano solo delle pure espressioni geometriche. L’universo, nella sua concezione, è governato puramente dalle rigide leggi meccanicistiche di causa ed effetto, e perciò è molto noioso. Le teorie pseudoscientifiche dell’epoca, sfruttate dai fratelli Strugackij per generare fascinazione fantascientifica e mistero, servono a Tarkovskij per creare una zona grigia, nel conflitto che è cruciale nel film, tra le due coordinate in cui si esprime il pensiero umano, quella scientifica e quella umanistica. Il conflitto continuo tra il Professore e lo Scrittore è quello universale e ancestrale di lettura della realtà che ha da sempre permeato il pensiero umano, fisica e metafisica, scienza e arte, razionalismo ed empirismo. Lo Scrittore è un letterato, dalle molte ambizioni ma anche frustrazioni, e rappresenta quella branca dell’arte che Tarkovskij considera come mediata dalla parola scritta, a differenza dell’arte che non ha mediazioni, come la musica e il cinema. E il vero artista non può che essere lo Stalker, che si eleva con superiorità, rispetto alle concezioni umane. I suoi lineamenti ricordano Van Gogh, considerato da Tarkovskij modello di un’arte che persegue la verità senza orpelli, ma anche oltre il naturalismo, a servizio del pubblico. E il suo è uno stato esistenziale di crisi, di angoscia di matrice dostoevskijana. Ed è portatore di una fede perduta, che manca ai due personaggi.

Solaris fu lanciato, nel 1972, dalla propaganda come la risposta sovietica di 2001: Odissea nello spazio. Ma forse la risposta autentica al capolavoro di Kubrick è Stalker, che è una risposta alla fantascienza tutta, Solaris compreso. Stalker termina con l’irrazionalità inspiegabile, nell’esibizione dei poteri telecinetici della bambina. Come interpretarli? Lei è una mutante, secondo il gergo della fantascienza classica, dotata di superpoteri dovuti alla contaminazione radioattiva della Zona, probabilmente trasmessa dal padre. Ma Tarkovskij, come Kubrick evita ogni didascalismo. L’astronauta David Bowman di 2001 giunge nella stanza rococò dove pure le leggi della fisica funzionano, come in tutto l’universo, e il bicchiere cade e si frantuma. Non così in quel mondo desolato popolato da derelitti, dove i bicchieri non cadono e si muovono con la forza di un pensiero infantile. Il percorso di Stalker vorrebbe simulare quello di Solaris: ritrovare il passato, i sogni e gli affetti della vita, la dacia nell’isola affiorante di un pianeta fluido. Ma i personaggi di Stalker non riescono a emulare quello che succede al protagonista del film precedente, lo scienziato Kris Kelvin, il loro movimento è a vuoto. Loro che cercavano nella Zona, e nella stanza nel suo cuore, il pianeta Solaris. La stanza finale della Zona è la meta del loro pellegrinaggio di un percorso dove ossessivamente si inquadrano porte e stanze successive. Ma non è uno stadio evolutivo ineluttabile come ancora la kubrickiana stanza rococò, e i tre personaggi preferiranno non affrontarla, ma nemmeno distruggerla, e tornare daccapo. Il movimento del film è circolare, fatto di stanze, porte e cunicoli, condotto con una mdp fluida che segue o precede i personaggi. Il regista voleva dare la sensazione che si trattasse di un’unica inquadratura per tutto il film.

Tarkovskij poi depura la fantascienza di navicelle e basi spaziali, pur presenti in Solaris. La sua è una science fiction dello spazio interno, ballardiano, uno spazio onirico richiamato anche dall’atto di giacere in cui sono colti più volte lo Stalker e gli altri personaggi. Pali della luce inclinati, rottami, casolari abbandonati. Il mondo del film è pesantemente degradato e contaminato dalla spazzatura di un Dio maleducato e incivile, che ha gettato i rifiuti dopo avervi banchettato in un picnic. Ed è così anche dentro la Zona, che illusoriamente ambiva a essere un’isola incontaminata, anche nel brusco stacco al colore, dal bianco e nero seppia del resto del film. Un mondo umido, allagato, con pozzanghere e piogge, ma non quasi completamente liquido come il pianeta Solaris, avvolto dal mare come un liquido amniotico. Un mondo disturbato di una civiltà ormai in stato di degrado postindustriale, continuamente ritmato dal “dodeskaden”, il rumore dei treni e le loro vibrazioni. L’Unione Sovietica decadente in cui si poteva vedere un’illusoria fuga nel mondo dei sogni di un colorato capitalismo oltrecortina, dove chi cercava di scappare rischiava di essere impallinato dai Vopos a guardia del muro di Berlino? L’Unione Sovietica che avrebbe poi effettivamente avuto una sua zona interdetta e contaminata dalle radiazioni, quella attorno al disastro nucleare di Černobyl’. Tarkovskij è stato profetico, anche nel delineare quel paesaggio degradato con i reattori di una centrale nucleare sullo sfondo. E il regista vi sarebbe fuggito, ma sarebbe riduttivo leggere il film in questa chiave. Stalker è un film sulla condizione umana, sul valore dei suoi sentimenti primordiali rappresentati dall’affetto della famiglia dello Stalker, che trascende i massimi sistemi rappresentati dai due personaggi, ritratto in quel quadretto a letto, nella cui camera la mdp fa fatica a entrare per poi accarezzare dolcemente con un carrello madre, padre e figlia.

Info
La scheda di Stalker sul sito del Palazzo delle Esposizioni.

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