Number One

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Da molti anni ritenuto disperso e irrecuperabile, Number One di Gianni Buffardi è stato fortunosamente ritrovato e restaurato dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale in collaborazione con Cine34. Riproposto al Torino Film Festival nella sezione Back To Life, è un instant-movie dedicato ai loschi traffici dei locali notturni italiani anni Settanta. Di natura ibrida, popolato da decine di personaggi, dispersivo e a tratti letteralmente incomprensibile, costituisce un documento d’epoca che mescola disinvoltamente generi cinematografici e scrupoli di cronaca.

C’è del marcio in Italia (ma proprio tanto)

Roma, primi anni Settanta. Il night-club «Number One» è frequentato da una nutrita schiera di rappresentanti del jet-set romano e internazionale. Molti di loro sono coinvolti in traffici poco puliti, a cominciare dai furti d’arte e dallo smercio e consumo di stupefacenti. La morte per overdose di Deborah Garner, moglie del facoltoso americano Teddy, trasferitosi da tempo nella capitale italiana, è camuffata dal marito come suicidio con la complicità di alcuni amici. A indagare sulla morte della donna è chiamato un assennato commissario di polizia, successivamente coadiuvato da un capitano dei carabinieri… [sinossi]

Singolare figura, quella di Gianni Buffardi. Figliastro di Carlo Ludovico Bragaglia, diventato genero di Totò in seguito al matrimonio con Liliana De Curtis (unione, peraltro, che durò pochi anni), produttore di diversi film interpretati dal Principe della Risata, nella sua carriera Buffardi diresse una sola pellicola, Number One (1973), per anni considerata perduta e tornata adesso alla luce grazie al ritrovamento del negativo e al restauro condotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale in collaborazione con il canale televisivo Cine34. Non appare casuale, anzi, che Cine34 si sia mostrato interessato a questo recupero. Premesso che qualsiasi reperimento di film dispersi della nostra cinematografia costituisce opera meritoria, è altrettanto vero che Number One appartiene decisamente al nostro cinema di genere, ambito espressivo al quale il canale tematico facente capo al gruppo Mediaset è sostanzialmente dedicato. Va pur detto, d’altra parte, che il film di Buffardi appartiene sì al cinema di genere ma sfuggendo al contempo alle cornici dei generi, costruito com’è per assemblaggio di ispirazioni diversificate e articolato in modo singolare intorno a una brulicante coralità narrativa. Presentato nella sezione Back to Life al Torino Film Festival 2021, il film sembra infatti seguire alcune delle tendenze commerciali italiane dell’epoca, ma in direzione di una spiccata dispersività e libertà di racconto. Da un lato, è ben evidente il doppio modello del noir e del poliziottesco all’italiana, che giusto nel volgere dei primi anni Settanta guadagnavano visibilità nel panorama del nostro cinema – sia Milano calibro 9 (Fernando Di Leo), sia La polizia ringrazia (Steno, che in questa occasione si firmò come Stefano Vanzina) appaiono nelle nostre sale nel 1972. Da Di Leo Buffardi eredita soltanto l’interesse per il sottobosco umano che si annida in locali notturni apparentemente lussuosi; da Steno, e da tutto quel che ne seguì nell’ondata di film dedicati a poliziotti senza macchia e senza paura, discende il racconto di un’indagine secca e asciutta, dal taglio appuntito e spigoloso.

Tuttavia, a dominare sulla secchezza di tratto e a inglobarne stile e stilemi, s’innalza un’ulteriore intenzione, prevalente su tutto il resto: la struttura dell’instant-movie, che vuol dar conto della cronaca recente mascherando appena (anzi, lasciandoli volutamente ben riconoscibili) i riferimenti a personaggi molto noti per la cronaca del tempo. Il Number One del titolo allude infatti a un locale notturno che nel volgere di pochi anni ebbe più vite, inaugurato prima a Milano, risorto a Roma e di nuovo chiuso per storiacce di malavita e stupefacenti, e infine andato incontro a una terza e più longeva resurrezione. Tipico esempio di night-club italiano anni Sessanta/Settanta dove il jet-set struscia palesemente con la criminalità, nel film di Buffardi il «Number One» assurge a metafora di tutto il male dell’Italia dell’epoca. Con atteggiamento arrembante Buffardi getta di tutto dentro a un calderone scopertamente moralistico, dall’alta società, ai riccastri stranieri di stanza nel nostro Paese, ai discendenti di casate reali, a rappresentanti della nobiltà nostrana, alla politica, al clero, a vari appartenenti di più o meno degradata malavita. I riferimenti ai fatti di cronaca del tempo abbondano, a cominciare dai richiami decisamente riconoscibili a Paul Getty jr e alla morte di sua moglie Talitha per overdose. Per una migliore lettura del film sarebbe anzi necessario condurre una sorta di mappatura dei riferimenti alla cronaca, inevitabilmente perduti nel corso degli anni. È conseguenza diretta, del resto, della natura stessa degli instant-movie. I film nati a strettissimo giro sulle suggestioni del presente sono tra i maggiormente a rischio di perdere senso, intelligibilità e in ultima analisi necessità non appena interviene su di essi l’effetto spietato del tempo. Come buona parte degli instant, Number One è anche scandalistico, sensazionalistico, pronto a lanciare con furore qualunquista un’accusa incattivita al bel mondo delle alte sfere sociali e istituzionali. Talmente incattivita, moralistica e didascalica da far sospettare, in ultima analisi, della sincerità del suo intento. E se spesso si è dibattuto sulla natura reazionaria di una parte del nostro cinema di genere anni Settanta, rinnegandone a posteriori le derive autoritarie, stavolta c’è da stare tranquilli e sereni alla prima occhiata. Nel suo furore qualunquistico, nelle sue intemerate alla buona il film di Buffardi ha tutti i tratti inequivocabili del pamphlet reazionario e populistico.

È altrettanto vero, infatti, che come molto cinema coevo di exploitation italiana anche Number One non si risparmia in termini di effetti ed effettacci per sconvolgere platee ben pettinate. Si tratta di effettacci rozzi, scagliati in faccia al pubblico per destarne lo sdegno, ma utilizzando strumenti talmente sensazionali da tramutare la presunta accusa etica in puro sfruttamento commerciale. Si pensi almeno a un frammento arditissimo e sgradevole, quasi irricevibile per il politicamente corretto di oggi: quelle vistosissime tracce di sperma lasciate sul petto di una donna violentata. Dopo la proiezione del film, Antonello Buffardi De Curtis, figlio del regista e nipote di Totò, ha dichiarato che Number One subì numerosi tagli e che la stessa copia mostrata al Torino Film Festival non è comunque completa. C’è da credergli, visto il tenore di alcune scene, e c’è anzi da gridare al miracolo se quel dettaglio sul petto femminile sia riuscito a salvarsi dalle forbici dei censori. Ma magari è stato reinserito successivamente, chissà… Come spesso accade con il più ardito cinema di genere italiano, specie con quello anni Settanta, le copie dei film più disturbanti presentano notevoli oscillazioni, e curarne edizioni filologiche è un’impresa decisamente ardua. D’altra parte, la struttura narrativa del film di Buffardi è talmente sconclusionata e proteiforme, affidata a un uso decisamente disinvolto del flashback, da permettere paradossalmente scomposizioni e ricomposizioni senza che se ne avverta troppo lo scarto. Lo script è a firma (un po’ incredibilmente) di Alessandro Continenza, sceneggiatore di lunghissimo corso che si occupò perlopiù di film costruiti intorno ad attori comici, da Totò ad Alberto Sordi, a Lando Buzzanca. La traccia più evidente del contributo di Continenza è anche qui da rilevarsi in qualche frammento inaspettatamente comico – altrove emerge in diacronia anche un certo ridicolo involontario, ma questa è un’altra storia. A livello macrostrutturale, invece, Number One mostra la consueta costruzione per accumulo che è frequente riscontrare negli instant-movies. Sequenze brevissime, dati cronachistici che si affastellano e si disperdono, spesso senza chiudere mai, un andamento narrativo sostanzialmente farraginoso in cui, specie da metà in poi, è quasi impossibile orientarsi. Forse è anche un effetto voluto, magari poi vistosamente sfuggito di mano. Buffardi sembra infatti voler narrare un inestricabile e indecifrabile groviglio in cui il sistema-Paese affonda tutto intero in un baratro di corruzione, perdizione e malaffare. Coerentemente, l’insieme del racconto si fa sempre più impenetrabile, avviluppato intorno ai mutevoli interessi di un numero enorme di personaggi, tutti coinvolti nelle stesse malefatte.

Adottando qua e là la fisionomia di un docudrama dove si variano appena i nomi dei personaggi reali, il film affida il compito di tenere strette le fila di cotanto guazzabuglio all’indagine condotta da un commissario di polizia (Renzo Montagnani) e da un capitano dei carabinieri (Luigi Pistilli). La figura di Montagnani è anzi protagonista da inizio a fine, mentre il carabiniere di Pistilli subentra a metà del percorso a dare manforte. Tuttavia, sconfessando le aspettative del pubblico e le convenzioni del genere, polizia e carabinieri appaiono qui accomunati dall’incapacità di incidere sul racconto. Benché mossi dalle migliori intenzioni, i designati sbrogliatori della matassa finiscono per arrendersi di fronte a essa. Non hanno le prove per incastrare i malfattori, ma non sono nemmeno convintissimi di aver capito tutto quel che c’è da capire – e poveretti, c’è da comprenderli, davanti a un racconto tanto attorcigliato e involuto. Si tratta anche di un film realizzato in evidenti ristrettezze, al punto da presentare, ricorda sempre Antonello Buffardi De Curtis, sequenze girate in tutta fretta poiché realizzate senza permessi.

Valeva dunque la pena recuperare e restaurare Number One di Gianni Buffardi? Certo che sì, non foss’altro per la lunga fama di film maledetto che si porta appresso da anni. Rapidamente sequestrato e ritirato dalle sale alla sua comparsa, poi introvabile, disperso, mai edito né in VHS né in DVD, e adesso fortunosamente ritrovato. La sua riproposizione farà felici decine di appassionati. Opera non memorabilissima per meriti artistici, ma sicuramente oggetto interessante per una moltitudine di ragioni extrafilmiche.

Info
Number One sul sito del TFF.

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