Beyond the Wall
di Vahid Jalilvand
Thriller dell’anima, Beyond the Wall di Vahid Jalilvand tiene lungamente il punto della suspense, avvalendosi di una scaltra e avvincente messa in scena. Alla distanza sconta però una certa ripetitività ed esilità di costruzione, così come un twist finale rischia di vanificare tutto il buono raccolto fino a quel momento. In concorso a Venezia 79.
Qui e ora (ma forse no)
Il tentativo di suicidio del solitario e pressoché non vedente Ali è interrotto da un’irruzione in casa sua, dovuta alle ricerche di una donna che ha partecipato ai disordini provocati da una protesta collettiva per i salari. Poco dopo la donna, Leila, si palesa in casa di Ali, disperata per aver smarrito il figlio nel caos della protesta di piazza. Ali cerca di aiutarla, mentre le visite e i controlli in casa dell’uomo a poco a poco s’intensificano… [sinossi]
Sarebbe immediato, fin troppo facile associare Beyond the Wall dell’iraniano Vahid Jalilvand al cinema di Asghar Farhadi. Una buona parte del cinema iraniano degli ultimi quindici anni, del resto, si è rapidamente trasformato in farhadiano, riproponendo incessantemente opere di vari autori in cui il fulcro narrativo è un enigma morale, dell’anima, una crepa dell’esistenza che a poco a poco si allarga spalancando abissi di indecifrabile. Anche il nuovo film di Jalilvand, già autore de Il dubbio – Un caso di coscienza, che nel 2017 raccolse ben due premi nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, ruota intorno a nodi esistenziali da sciogliere, a decisioni da prendere in favore o sfavore di altri. Ma di strettamente farhadiano Beyond the Wall conserva poco o niente. Conserva, probabilmente, l’intenzione di condurre anche un discorso socio-politico sull’Iran di oggi avvalendosi di strumenti mediati, di metafore e perifrasi. Un po’ per zigzagare probabilmente tra le inevitabili strettoie della censura interna, un po’ per amplificare il discorso da contingente a universale. A differenza della produzione farhadiana Beyond the Wall ricorre in modo più stringente ai metodi espressivi del cinema di genere, non tanto nella vicenda prescelta e narrata bensì nel linguaggio adottato. Messa giù molto semplice, nel film di Jalilvand c’è tanto più movimento di un qualsiasi film di Farhadi. Se Farhadi ricorre abbondantemente a lunghe sequenze e lunghi dialoghi, di contro in questa occasione Jalilvand non tiene letteralmente ferma la macchina da presa per un secondo. E si deve anche registrare che tale veste di racconto frenetico si attaglia perfettamente alle scelte narrative. Beyond the Wall si svolge infatti in tempi e spazi ristretti. È un dramma tutto concentrato nello spazio di un appartamento e nel presumibile volgere di poche ore, che percorre un crescendo di avvenimenti sempre più drammatici. In piena coerenza Jalilvand sceglie poi di rendere conto di tale universo di angoscia tramite inquadrature costantemente frammentarie, che praticamente mai danno interamente conto né dello spazio scenico né dei corpi dei protagonisti. Il coté politico è invece ben conservato (e non troppo dissimulato) nell’evocazione di un Paese in cui le proteste dei lavoratori sono severamente represse, così come l’amministrazione della giustizia è rapida, sommaria e decisamente lontana da orizzonti cosiddetti democratici.
Sempre ben lontano dal modello farhadiano è anche il sostanziale eccesso drammatico, più volte sprofondato nel più facile e conclamato melodramma. Non aiuta il contributo della coprotagonista Dayana Habibi, che tratteggia la madre disperata Leila su una sola e manierata nota espressiva, eternamente piangente e inconsolabile. Si finisce comunque lungamente irretiti da una scaltra messa in scena, tutta improntata a una suspense incessante e immediata. E resta piuttosto ammirevole soprattutto l’ingresso al racconto, affidato a una lunga introduzione quasi priva di parole, un’insistente registrazione di atti e movimenti in scena. Jalilvand sembra scegliere scientemente la superficie delle cose. Beyond the Wall è di fatto un dramma tutto esteriore, tutto esplicito, privo di sottintesi. Per questo si può parlare di espressività da cinema di genere, benché il film di Jalilvand non gli appartenga totalmente. L’adesione spettatoriale è comunque garantita. Lungamente trepidiamo per Ali e per il suo crescente tentativo di aiutare Leila, così come i flashback sono sapientemente centellinati secondo una consolidata struttura a mosaico. Più che a Farhadi, forse si potrebbe pensare a certi film di Iñarritu come diretti referenti stilistici. Quel che non giova a Beyond the Wall è però innanzitutto la lunghezza. Malgrado una certa solidità di impianto narrativo il gioco inizia a mostrare la corda alla distanza, tanto che le debolezze, raccolte per lo più nel personaggio di Leila, sembrano una combinazione tra recitazione monocorde e incapacità di irrobustire il profilo della donna. Alcune sue battute sono ripetute fino allo spasimo, mentre il film punta poi tutto su un twist finale che rischia davvero di vanificare il discreto lavoro condotto fino a quel momento. Certo, il twist rovescia tutto quel che si è visto fino a quel momento, ma sembra ridursi a un escamotage spettacolare per sorprendere lo spettatore, senza lasciare grandissime tracce di senso nell’economia del racconto. Certo si può speculare su espiazione e senso di colpa, ma l’impressione che rimane è quella di una sostanziale e autoreferenziale volontà di stupire.
Resta interessante, questo sì, la fisionomia di un cinema iraniano che in tale occasione sembra volersi aprire a nuove strade espressive, che esulino per l’appunto da un certo generalizzato monopolio di cinema farhadiano. Sul piano stilistico Jalilvand scarta con decisione da metodi consolidati, mentre conserva un tangibile impatto socio-politico anche nel finale, in quella lunga inquadratura sulle finestre del carcere, già di per sé un atto d’accusa a un intero sistema socio-culturale. Benché negli ultimi anni pure il cinema di Farhadi abbia mostrato qualche momento di stanca e difficoltà, il cinema di Jalilvand guarda comunque assai meno per il sottile. È solido, robusto, immediato, anche onestamente rozzo. Pronto per trasformarsi non soltanto in occasione di riflessione e accusa, ma contestualmente in immediato prodotto di consumo. Niente di male di per sé. Peccato che la costruzione non regga fino all’ultimo, e che un cinema concepito come tutto di superficie finisca poi per inghiottirsi qualsiasi altra possibile suggestione.
Info
Beyond the Wall sul sito della Biennale.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Shab, Dakheli, Divar
- Paese/Anno: Iran | 2022
- Regia: Vahid Jalilvand
- Sceneggiatura: Vahid Jalilvand
- Fotografia: Adib Sobhani
- Montaggio: Vahid Jalilvand
- Interpreti: Alireza Kamali, Amir Aghaee, Danial Kheirikhah, Diana Habibi, Navid Mohammadzadeh, Saeed Dakh
- Colonna sonora: Ólafur Arnalds, Mohammadreza Shajarian
- Produzione: Mehr Taha Studio
- Durata: 126'