Le mura di Bergamo

Le mura di Bergamo

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Presentato fuori concorso al Bergamo Film Meeting 2023, dopo l’anteprima berlinese in Encounters, Le mura di Bergamo è un documentario di Stefano Savona che torna a quei drammatici momenti del 2020 che videro nella città orobica l’apice del martirio della pandemia. Il film parte da lì per registrare il lento uscire dall’incubo, l’elaborazione del lutto in forma collettiva, cittadina.

L’eterno riposo

Nei primi mesi del 2020 vaste zone del Nord Italia sono state colpite dal nuovo virus. Le città di Bergamo e provincia sarebbero diventate l’epicentro di questa pandemia. Vediamo ospedali sull’orlo del collasso, famiglie sconvolte e bare portate via da convogli militari. Dopo l’abisso dei giorni più bui arriva una sfida ancora più grande: il lutto. Le persone si incontrano per cercare di capire cosa è successo e superare la loro paura e il loro dolore. [sinossi]

Rimarrà iconico simbolo della tragedia della pandemia quel convoglio di camion dell’esercito che lasciava Bergamo per trasportare altrove le salme dei morti di covid, visto che i cimiteri cittadini erano ormai intasati. Torniamo a quelle drammatiche immagini con Le mura di Bergamo, il documentario di Stefano Savona presentato fuori concorso nella sezione Visti da vicino del Bergamo Film Meeting 2023, dopo l’anteprima berlinese nella sezione Encounters. Savona però non si sofferma più di tanto con quelle riprese che hanno sconvolto il mondo. Ne mostra solo qualche frammento. A differenza di altri lavori in questo senso, su tutti Io resto di Michele Aiello uscito non a caso solo un anno dopo, a Savona i giorni più neri dell’epidemia interessano solo come punto di partenza. Il suo non è un instant documentary, come in effetti si prospettava inizialmente, ma un’opera dal respiro più ampio, volta a registrare gli stati d’animo della popolazione bergamasca dopo il picco pandemico, quando anche le restrizioni cominciavano molto timidamente ad allentarsi. Si vedono le messe, ormai consentite, nelle quali si radunano i fedeli per commemorare i defunti, e i cimiteri con tante tombe ancora posticce, da sistemare.

Il complesso monumentale della Bergamo Alta, medioevale e rinascimentale, che sovrasta dall’alto, circondato dalla natura delle Orobie, è diventato una sorta di scala al paradiso. Ancora avvolto nella foschia nonostante sia l’inizio di primavera. Nei suoi prati si ritrova un gruppo di volontari riunitosi con il compito di andare a trovare, per dare conforto, i famigliari delle vittime del virus. Tra loro ci sono persone che ci sono passate, che hanno contratto la malattia, che hanno avuto morti tra i famigliari, ma anche chi è scampato a tutto ciò. Rappresentano l’anima di quella Bergamo solidale, di quella città che è sempre stata culla del volontariato, tanto cattolico quanto laico. Sono persone normali, alcune un po’ “alternative”. Il loro trovarsi, il loro confrontarsi sulle proprie esperienze e su quelle delle persone incontrate, rappresentano un’elaborazione del lutto collettiva. Sono dei tipi di momenti che tornano nei documentari di Savona, si pensi ai bivacchi e alle lunghe discussioni dei manifestanti in piazza Tahrir nel film Tahrir. E il regista mantiene ancora una dimensione corale: non ci sono personaggi che monopolizzano, a ciascuno viene dato poco spazio.

La cittadinanza è come un organismo vivente di cui Savona registra il lento risveglio. Ci sono sacerdoti, medici, operatori di pompe funebri. C’è chi manifesta la propria rabbia, nelle dimostrazioni contro le autorità. Ma Savona dà spazio anche a chi non c’è più, attraverso le loro immagini di repertorio, i loro homemovies, rigorosamente in bianco e nero, nella grana della pellicola amatoriale. Un’intera generazione, di anziani, è stata cancellata. E il loro immaginario audiovisivo non poteva che essere ancora quello.

Info
Le mura di Bergamo, il trailer.

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