Come fratelli – Abang e Adik

Come fratelli – Abang e Adik

di

Ambientato in un quartiere povero ed emarginato della capitale malaysiana Kuala Lumpur, Abang Adik (Come fratelli – Abang e Adik) di Jin Ong prende le mosse da consueti schemi di realismo orientale per poi addentrarsi in un lancinante noir esistenziale, in cui essere umano, psicologia e contesto sembrano inestricabilmente intrecciati uno con l’altro.

L’amore è una zattera

Orfani senza documenti, forse anche fratelli di sangue, i due giovani Abang e Adik vivono ai margini nella capitale malaysiana di Kuala Lumpur cercando di sbarcare il lunario in modi diametralmente opposti. Muto fin dalla nascita, Abang lavora e si dà un sacco da fare tentando di migliorare le proprie condizioni di vita sulla strada della legalità. Adik invece è abbondantemente avviato alla criminalità, traffica con migranti e documenti, ha a che fare con la malavita e si prostituisce. Profondamente legati uno all’altro, i due ragazzi vedono vacillare il loro rapporto quando si ritrovano entrambi invischiati in un omicidio. [sinossi]

Ancora emarginazione. Ancora disagio sociale. Ancora rapporti umani minati alla radice, determinati da condizioni socio-culturali degradate. Già produttore musicale e cinematografico, il malaysiano Jin Ong esordisce alla regia con Abang Adik (Come fratelli – Abang e Adik), presentato in concorso al Far East Film Festival di Udine 2023. Della capitale malaysiana Kuala Lumpur, Jin Ong sceglie innanzitutto di raccontare un quartiere, Pudu Pasar, zona dell’antico mercato della città ridotta a puro degrado, brulicante di vita e malavita compressa in spazi psicofisici tremendamente angusti. Sono due giovani i protagonisti della storia, gli Abang e Adik del titolo, orfani senza documenti, forse fratelli forse no, comunque affezionati a doppio filo l’uno all’altro. I loro destini sono inestricabilmente intrecciati, più di quanto si direbbe di prima impressione. Entrambi privi di carta d’identità, vivono un’esistenza ai margini senza alcun tipo di tutela o protezione. Cercano di sbarcare il lunario seguendo percorsi diametralmente opposti. Muto dalla nascita, Abang lavora e si dà un sacco da fare, tentando di migliorare la propria condizione tramite l’assennata strada della legalità. Adik invece è già ampiamente proteso alla criminalità; traffica con migranti e documenti, struscia con la malavita locale, si prostituisce. Per entrambi (per Abang, soprattutto) si aprono poi prospettive di svolta, possibilità di cambiare vita e uscire dal cono d’ombra in cui si dibattono. Eppure quel legame tra i due sembra più importante di tutto, fino oltre alla soglia della patologia. È un aggrapparsi uno all’altro più forte di qualsiasi altra necessità o ragionevolezza, prigionieri di un sottile e ricattatorio meccanismo di gelosia reciproca che impedisce qualsiasi passo veramente libero.

Aprendo sulle note di un consueto realismo di marca orientale, in realtà Come fratelli – Abang e Adik cambia pelle lungo il suo percorso. In prima battuta Jin Ong introduce a un consueto quadro sociale ricco e allarmante, fatto di violente peripezie quotidiane e di figure marginali palpitanti di umano calore e affetto – la transgender Money, che si è presa lungamente cura dei due ragazzi. A poco a poco il quadro però procede a restringersi, escludendo sempre più decisamente il contesto per chiudersi nel racconto della lancinante prigionia psicologica tra Abang e Adik, accentuata da un ulteriore giro di vite tramite un’inaspettata svolta noir. Benché non sempre Jin Ong riesca a rendere fluido il proprio discorso, l’intenzione sembra quella di legare deterministicamente il contesto sociale alla struttura psicologica dei suoi due protagonisti, ai quali, privati di tutto negli anni più giovani della loro esistenza, non resta che il possesso (e il rifugio sicuro) dell’altro. Così, per lunghi tratti Jin Ong racconta finemente l’altra faccia dei legami e degli affetti. In tutta la prima parte il film è punteggiato di sottili e intelligenti notazioni sulla gelosia di Adik nei confronti di Abang. È una gelosia di varia natura; a volte è una pura e semplice invidia narcisistica, dovuta al fatto che tramite la sua vita corretta Abang riesce a farsi amare e rispettare da tutti anche se privo della parola. È ancora invidia a determinare in Adik l’ironia scoraggiante sui progetti di vita e d’amore del sodale. Ma al fondo è ben percepibile anche una pura e semplice gelosia di possesso. Spavaldo e disinvoltamente proiettato alla criminalità, in realtà Adik è fragilissimo e infantile, e ha un profondo bisogno di avere Abang al suo fianco. Sono entrambi vittime e carnefici uno dell’altro, a ruoli alterni, e la sorpresa sta semmai nello scoprire che anche Abang è assoggettato al medesimo incastro psicologico.

Come fratelli – Abang e Adik è articolato dunque su due macro-sezioni narrative che trascolorano una nell’altra senza eccessivi traumi percettivi. Se tutta la prima parte è dedicata all’inserimento dei due protagonisti in un preciso contesto socio-culturale, la seconda fa piazza pulita della cornice scendendo nelle profondità dei due ragazzi. La terza anima del film è infine un melodramma di redenzione, dove in qualche modo il sentimento che lega due persone finisce per liberare una delle due tramite il dono della propria vita da parte dell’altro. Espiazione e sacrificio, dove la necessità di espiazione è dovuta a imperscrutabili debiti morali scaturiti da una forma estrema d’amore. Più avanti, Jin Ong scopre ancor più platealmente tutte le proprie carte aderendo a un conclamato melodramma fatto di precisi appuntamenti narrativi – il leit-motiv delle uova sode mangiate insieme, pronto a ritornare e deflagrare in un lacrimoso prefinale. Sottotraccia resta l’ipotesi di un melodramma sottilmente psicologico e sociale, che indaga cautamente forme distorte di possesso là dove l’idea del possesso materiale (inteso anche come possesso integrale della propria vita) è un privilegio del tutto negato. A chi non possiede niente, nemmeno un’effettiva identità riconosciuta dallo Stato, non resta che possedere disperatamente la vita degli altri, delle persone assoggettate al proprio amore. Abang e Adik si assoggettano uno all’altro e lo fanno con estrema dolcezza, con atto di totale concessione di sé. Se dunque la sostanza di Come fratelli – Abang e Adik appare densa e corposa, il film resta forse meno convincente per gli strumenti espressivi adottati. A Jin Ong sfugge spesso di mano, specialmente nella seconda parte, la misura dell’enfasi, non tanto per gli accenti melodrammatici ai quali si accennava ma per l’uso eccessivo di musica a commento e di pensose parentesi narrative. Per un racconto così denso di motivi sarebbe stata forse necessaria una regia più accorta, più puntuale e meno propensa a disperdersi in mille rivoli lasciati inesplorati. Tuttavia, il doppio ritratto dei ragazzi va a segno, colpisce e fa pure un po’ male. Muoversi in modo penetrante in mezzo ai sentimenti è una risorsa trasversale a molto cinema dell’Estremo Oriente. E il viluppo tra Abang e Adik, forse omoerotico forse no, lascia più di una traccia significativa.

Info
Come fratelli – Abang e Adik sul sito del Far East.

  • abang-adik-2023-jin-ong-01.jpg
  • abang-adik-2023-jin-ong-02.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Far East 2023 – Presentazione

    Con il Far East 2023, in programma dal 21 al 29 aprile, il festival udinese festeggia le venticinque edizioni, e lo fa confermando la propria struttura, e preparandosi dunque di nuovo ad aprire le porte del Teatro Nuovo e del Visionario al cinema popolare dell'estremo oriente e del sud-est asiatico.
  • AltreVisioni

    Sultan Mahmud Mangkat Dijulang

    di Presentato in una retrospettiva della Cinémathèque un’opera del cinema classico di Singapore, basata sulla figura storica dell’ultimo Sultano di Malacca. Grande sfarzo ed eleganza formale che lasciano tra le pieghe scene estremamente disturbanti.
  • Far East 2009

    takut: faces of fear recensioneTakut: Faces of Fear

    di , , , , , , Nonostante la presenza come produttore e mentore di una figura fondamentale dell'horror mondiale come Brian Yuzna, Takut: Faces of Fear si segnala come un buco nell'acqua, un insieme di episodi che non possiedono la forza per spaventare, o anche solo turbare, lo sguardo dello spettatore.