Satan’s Slaves 2: Communion

Satan’s Slaves 2: Communion

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Con Satan’s Slaves 2: Communion il regista indonesiano Joko Anwar torna a raccontare le gesta e gli incubi della famiglia Suwono dopo i terrificanti fatti che li videro protagonisti nel primo capitolo. Libero dai legacci del remake Anwar dirige uno dei suoi film più convincenti, palesando tutta la propria visionarietà.

Fratelli e sorella della famiglia Suwono

Giacarta, 1984. Sono trascorsi tre anni dall’orrore che vide protagonista la famiglia Suwono e ora Rini, Toni, e Bondi vivono con loro padre in un appartamento in un enorme edificio isolato da tutto in una zona periferica della città. Ma saranno davvero al sicuro dai demoni che li avevano presi di mira? [sinossi]

Uscito nell’agosto del 2022, Satan’s Slaves 2: Communion è il terzo più grande successo commerciale indonesiano di ogni tempo, subito dietro a Warkop DKI Reborn: Jangkrik Boss! Part 1 e al “capolista” KKN di Desa Penari, uscito a sua volta nel 2022 e in grado di vendere oltre 10 milioni di biglietti (anche se va detto che il film ha potuto contare su una doppia distribuzione in sala a causa dell’uscita a dicembre anche di una versione più lunga). Il secondo capitolo delle avventure orrorifiche che coinvolgono i membri della famiglia Suwono invece ha venduto quasi sei milioni e mezzo di biglietti, oltre due milioni in più rispetto a Satan’s Slaves, con cui nel 2017 Joko Anwar riprendeva un classico dell’horror indonesiano diretto nel 1980 dal grande Sisworo Gautama Putra, vero e proprio guru del genere a Giacarta e dintorni. Se sei anni or sono Anwar poteva ancora essere considerato un discepolo di Gautama Putra, oggi non si avverte alcun timore nel considerarlo uno dei più importanti nomi partoriti dall’industria nazionale nell’intera storia del cinema, un dato che non ha ovviamente nulla a che vedere con il successo commerciale dei film da lui diretti (al Far East di Udine 2023 si è visto anche Sri Asih, da lui prodotto e scritto per essere diretto da Upi e collegato al cosiddetto Bumilangit Cinematic Universe). Se Satan’s Slaves, pur mostrando già con forza l’immaginario di Anwar, si muoveva in un percorso già battuto, e per gli spettatori indonesiani già assurto al ruolo di culto, il secondo capitolo di quella che è probabile diventi una saga in piena regola – e il finale sembra proprio suggerire un’apertura verso un terzo film – scarta in modo deciso e decisivo, puntando lo sguardo in una direzione magari non nuova per quel che concerne le suggestioni cinefile ma di grande impatto, e in grado di garantire il giusto livello di divertimento e angoscia.

Basterebbe l’incipit per dimostrare la saldezza della mano e dello sguardo di Anwar nel maneggiare un materiale che correrebbe altrimenti il rischio di scadere nel ridicolo involontario, o addirittura di annoiare lo spettatore: nell’Indonesia del 1955 un giornalista viene condotto in gran segreto in un luogo nel bel mezzo del nulla che sembra un osservatorio astronomico. Lì il capo della polizia locale lo prega di entrare e vedere con i propri occhi ciò che è stato scoperto: decine di cadaveri esumati dal cimitero lì vicino e inguainati nei sacchi tradizionali della sepoltura musulmana giacciono inginocchiati di fronte all’immagine di una “madonna diabolica”, come stessero partecipando a un rito. Da lì la storia si trasferisce al 1984, e si riallaccia a quella di Satan’s Slaves, con i superstiti della famiglia Suwono (la venticinquenne Rini, che vorrebbe finalmente iscriversi all’università, il diciannovenne Toni, il tredicenne Bondi, e loro padre) che hanno abbandonato la casa in campagna dove vissero momenti di puro orrore perdendo la madre e vedendo scomparire il fratellino Ian, e si sono trasferiti in un enorme e inquietante caseggiato di ben quattordici piani completamente isolato in uno sterrato alla periferia di Giacarta. Come se la maledizione li dovesse perseguitare senza requie, iniziano ovviamente a verificarsi misteriose apparizioni, tra voci che sembrano uscire direttamente dalle pareti e allucinazioni di ogni tipo. Visto che le sfortune non vengono mai da sole sulla capitale è previsto un tifone che allagherà completamente l’area del loro fabbricato, inondando il pian terreno. Quando l’elettricità salta, i fenomeni ectoplasmatici si fanno sempre più frequenti, coinvolgendo molti dei condomini.

In Satan’s Slaves 2: Communion Anwar gioca con molti elementi canonici del genere, tra jumpscare, fioche luci di fiammiferi e candele atte a illuminare un buio ottundente, e chi più ne ha più ne metta, eppure il film non dà mai l’impressione di muoversi in un solco preordinato. Muovendosi infatti tra l’horror contemporaneo, suggestioni d’antan (nei ringraziamenti finali spicca anche il nome di Ruggero Deodato, venuto a mancare pochi mesi fa dopo l’uscita del film nelle sale indonesiane e malesi), ma legando tale immaginario anche agli anni Ottanta di matrice hollywoodiana – a tratti sembra quasi di assistere a una versione de I Goonies in cui i protagonisti possono morire in ogni momento –, fino a giungere addirittura a un paio di palesi riferimenti a Shining di Stanley Kubrick, Anwar crea un prodotto di puro intrattenimento che sa sempre tenere con il fiato sospeso gli spettatori, grazie a un ritmo incessante, all’amalgama che si crea tra i tre fratelli e i loro amici, e al senso di un’avventura che non si fa mancare proprio nulla, dal palazzo costruito su un cimitero fino alla presenza di un “piano segreto” a cui accedere. Quel che ne viene fuori è un’avventura croccante, spassosa e in grado anche di atterrire in più di un’occasione, terreno fertile per gli elaborati movimenti di macchina di Anwar che costruisce almeno due sequenze da manuale dell’horror, con protagonisti rispettivamente un ascensore non proprio affidabile e la verifica nel buio più assoluto che tutti i morti riposino davvero in pace (sic!).

Anwar poi non nasconde le proprie ambizioni, ambientando non a caso nel 1955 e nel 1984 il suo film. Se da un lato infatti l’idea dei 29 anni di distanza suggerisce ritualità à la Stephen King – si pensi a It e al suo eterno ritorno – dall’altro permette di congelare la vicenda di Satan’s Slaves 2: Communion tra la storica “Conferenza di Bandung” che nella primavera 1955 apriva all’avvicinamento dell’Indonesia di Sukarno alla Cina di Mao, nell’ottica di una rivendicazione del Terzo Mondo nei confronti dell’occidente capitalista e colonizzatore e il pieno della dittatura di Suharto che proprio nel 1984 fece arrestare alcuni leader della cosiddetta “Petizione dei 50” che chiedeva maggiori libertà e accusava Suharto di voler costruire uno Stato monopartitico. Seguendo dunque l’esempio del miglior cinema popolare Satan’s Slaves 2: Communion riesce a coniugare il perfetto pop corn-movie a una riflessione sull’Indonesia, dove forza naturali e soprannaturali minacciano la cittadinanza, che non può trovare alcuna protezione nella fede religiosa – qui come nel primo capitolo l’imam non è minimamente in grado di fronteggiare le forze demoniache.

Info
Satan’s Slaves 2: Communion sul sito del Far East.

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