Essere e avere

Essere e avere

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Torna nelle sale italiane il documentario Essere e avere che fece conoscere il regista francese Nicolas Philibert, generando un interesse, anche tra il pubblico italiano, sul cinema del reale, con la storia di un maestro di frontiera e dei suoi alunni, di un luogo dove avviene l’educazione tra la neve e le vacche.

Filmare e montare

Il documentario riprende le vicende di una scuola e dell’ambiente rurale ad essa circostante nel Massiccio centrale francese, nel piccolo centro di Saint-Étienne-sur-Usson, nel periodo che va dal dicembre 2000 a giugno 2001. Protagonisti 13 bambini di età differente, dai 4 ai 13 anni, riuniti intorno alla figura di un insegnante, il maestro Georges Lopez, in procinto di andare in pensione. [sinossi]

I mandriani conducono le loro vacche, con difficoltà, durante una copiosa nevicata. Si vedrà durante il film che la neve non manca in quei luoghi, anche in primavera. Passiamo a un interno, la classe della scuola elementare, al momento vuota: le sedie sono sui banchi. Due tartarughe camminano indisturbate sul pavimento. Una delle due sembra guardare un mappamondo per terra, rovesciato. Così inizia Essere e avere (in originale Être et avoir) il documentario di Nicolas Philibert del 2002, ora riproposto nelle sale italiane dopo la presentazione al Biografilm Festival 2023, durante il quale il regista ha ricevuto il Celebration Of Lives Award 2023 e ha presentato il suo nuovo film, Sur l’Adamant, Orso d’oro all’ultima Berlinale.

All’epoca Essere e avere rappresentò una ventata di novità per il pubblico italiano, non tanto per il cinema documentario su grande schermo, che aveva una sua tradizione anche da noi, quanto per quella formula osservazionale così diversa dal documentario didattico televisivo. Non ci sono voci off né scritte didascaliche. Eppure, quelle due scene d’apertura rappresentano un’enunciazione importante a ciò che stiamo per vedere. Tramite esse Philibert ci sta dando parecchie informazioni. La difficoltà e la dimensione rurale e geografica abbastanza estrema del luogo, in primis, anche simboleggiata dal mappamondo sottosopra. Il ruolo del filmmaker è quello di inseguire il reale come quelle due tartarughe: impossibile prevedere i loro movimenti. E al contempo abbiamo un’idea di lentezza e tranquillità che caratterizza il ritmo del film che a sua volta segue lo stile di vita di quella popolazione. Una tartaruga volta la testa e subito dopo c’è l’immagine del mappamondo: tramite un accostamento siamo portati a pensare che il rettile stia guardando quel globo. Qui Philibert mette giù le carte per denunciare il potere narrativo del montaggio, anche nel cinema del reale. Con la sua troupe ha ripreso quei luoghi e le attività didattiche della classe dal dicembre 2000 al giugno 2001. E l’inizio vero del film vede lo scuolabus andare a raccattare i bambini: l’inizio della giornata scolastica per strutturare il tempo del film, che segue l’anno scolastico e si conclude con l’ultimo giorno prima delle vacanze estive.

Non sono mai frontali le lezioni del maestro Georges Lopez. È sempre a stretto contatto con i bambini, seduto a fianco di ciascuno di loro, con pazienza e affetto. La stessa aula, che Philibert raramente riprende in totale, sembra strutturata per un’interazione tra docente e alunni che elimini totalmente la distanza tra loro. Come i bambini fanno da mangiare e lavano i piatti, in quel territorio estremo, la cui collocazione geografica viene rivelata tardi nel film (il piccolissimo comune di Saint-Étienne-sur-Usson nel dipartimento del Puy-de-Dôme nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi), così il maestro fa anche il giardiniere della scuola. Possiamo immaginare che lo stile didattico del protagonista equivalga all’approccio documentaristico di Philibert, di avvicinamento ai suoi soggetti. Philibert che peraltro viola quel dogma dell’invisibilità di solito sbandierato in questo tipo di cinema. C’è un momento, infatti, in cui il maestro viene intervistato su una panchina e si sente anche la voce dell’intervistatore, verosimilmente lo stesso Philibert. Racconta della sua famiglia, dell’origine spagnola del padre e delle motivazioni che lo hanno portato all’insegnamento. Ma abbassa spesso lo sguardo, e non guarda molto in camera. Ha forse imparato qualcosa da Philibert, per un film dove sono spesso sfumati i confini tra allievo e maestro.

Info
Essere e avere, il trailer.

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