Jim Henson Idea Man

Jim Henson Idea Man

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Presentato nella sezione Cannes Classics di Cannes 2024, presto visibile su Disney+, Jim Henson Idea Man è l’omaggio dell’eclettico Ron Howard alla genialità del creatore dei Muppet. Un documentario dalla struttura classica, tipica delle produzioni televisive statunitensi, ma che per un’ora abbondante riesce a tenere il ritmo frenetico della debordante creatività di Henson e soci, cercando e trovando anche alcune interessanti soluzioni estetiche.

Counting to four

Jim Henson Idea Man ci porta nella mente di questo singolare visionario creativo, dai suoi primi anni come burattinaio nella televisione locale al successo mondiale di Sesame Street, The Muppet Show e oltre. L’inquieta creatività, l’ambizione e l’evoluzione artistica di Henson nello stile e nello spirito del suo complesso soggetto, un artista che ha rivoluzionato la televisione, ispirato generazioni e creato alcuni dei personaggi più amati al mondo… [sinossi – festival-cannes.com/]
One, two, three, four
Monsters walking across the floor
I love counting
Counting to the number four…
1234 – Leslie Feist

L’evidente ricchezza di mezzi e soprattutto di materiale d’archivio è per Jim Henson Idea Man una coperta abbastanza lunga. Discorso non dissimile per altri documentari visti a Cannes 2024 nella sezione Cannes Classics, ad esempio Elizabeth Taylor: The Lost Tapes di Nanette Burstein o, ma solo in parte, Faye di Laurent Bouzereau. Soggetti\oggetti fantastici, sequenze originali che rubano il cuore, preziose interviste d’antan. Nel caso di Jim Henson siamo persino oltre le registrazioni della Taylor, siamo nel Valhalla della creatività, in un crescendo che attraversa gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, per poi mutare negli Ottanta e – ahinoi – interrompersi bruscamente. Henson muore troppo presto, ancora giovane, nel maggio del 1990. Sì, ovvio, le sue creature continuano a intrattenerci ancora oggi, Frank Oz è tra noi, ma chissà cosa sarebbe stato se…

Come Elizabeth Taylor e Faye, che andrebbero visti uno dietro l’altro, come se fosse un dialogo a distanza tra due divine creature a loro modo eterne, anche l’ultima fatica di Ron Howard finisce per impantanarsi nelle questioni sentimentali, matrimoniali e via discorrendo. Insomma, il privato che prende il sopravvento e mette in disparte il cinema – o il piccolo schermo, al suo massimo splendore. Non che il lato personale sia sempre inutile o sdrucciolevole, anzi (si veda Cary Grant – Dietro lo specchio di Mark Kidel), ma spesso entra in scena forzatamente e finisce per fagocitare le eventuali riflessioni sul cinema, da qualsiasi angolazione lo si voglia osservare. E qui, sull’osservazione del cinema, sulle eventuali riflessioni e sulla loro messa in scena, si potrebbe aprire un ampio discorso: se la classica formula del materiale d’archivio alternato a teste parlanti garantisce strutture narrative più immediate e mainstream, cosa resta delle potenzialità del documentario, del linguaggio cinematografico?

Un piccolo esempio. Animare in modo semplice ma suggestivo alcuni bozzetti di Henson è un’operazione che cerca di muoversi su un piano creativo, elaborando immagini, recuperandole, modificandone o ampliandone il significato. Allo stesso modo, cercare di vivacizzare con soluzioni grafiche le varie interviste è una scelta coerente, in linea con quello che era, proprio sul piano estetico, il microcosmo televisivo hensoniano. Fin qui tutto bene. Convince meno la seconda parte, con la rivoluzione narrativa, tecnica ed estetica di Dark Crystal (1982) e Labyrinth – Dove tutto è possibile (1986) un po’ troppo compressa. Se nella prima parte lo script di Mark Monroe, sceneggiatore dalla filmografia imponente, riesce ad allargare lo sguardo anche sul panorama televisivo statunitense dell’epoca, rendendo quindi più chiara l’importanza e la portata rivoluzionaria di Sesame Street e del Muppet Show, col passaggio alla poco fortunata fase cinematografica di Henson, meno fanciullesca, il campo d’osservazione di restringe e anche il materiale maneggiato è risulta paradossalmente più scontato, non distante da consueti dietro le quinte.
In ogni caso, Howard confeziona un omaggio indubbiamente sincero, impeccabile sul piano produttivo e capace di illustrare il talento e la portata di un artista dal notevole potenziale immaginifico. Sulla dimensione pionieristica della scatola magica degli anni Cinquanta\Sessanta andrebbero poi prodotti documentari in serie, perché il gusto della sperimentazione, la passione smisurata e la fertile follia caratterizzavano indubbiamente il singolare genio di Jim Henson ma appartenevano anche ad altri protagonisti di quel periodo a suo modo così libero.

Info
La scheda di Jim Henson Idea Man sul sito del Festival di Cannes.

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