Intervista a Xiaoxuan Jiang
Xiaoxuan Jiang è una sceneggiatrice e regista nata nella Mongolia Interna, in Cina. Il suo cortometraggio Graveyard of Horses (2022) è stato selezionato al PÖFF Shorts, SXSW ’23 e al BFI ’23. Ha vinto il NETPAC Award al Busan International Short Film Festival, il Grand Prix Award all’Hiroshima International Film Festival e il Best Student International Short al 46° Denver Film Festival. Il suo primo lungometraggio, To Kill A Mongolian Horse (2024), è stato sostenuto da Sundance Ignite e ha ricevuto il fondo per lo sviluppo delle sceneggiature dall’Asian Cinema Fund (ACF) del BIFF, e altri vari enti.
Abbiamo incontrato Xiaoxuan Jiang in occasione della presentazione di To Kill A Mongolian Horse alle Giornate degli Autori di Venezia 81. Era presente anche la produttrice Mo Zhulin.
Quali difficoltà ha comportato la realizzazione di To Kill a Mongolian Horse soprattutto in relazione ai luoghi impervi della Mongolia Interna dove il film è stato girato?
Mo Zhulin: Prima di tutto, con la regista, il direttore della fotografia, il fonico, il montatore avevamo già lavorato girando nelle stesse location per il film precedente di Xiaoxuan Jiang, il corto Graveyard of Horses. E lei ha molta familiarità con quei luoghi.
Xiaoxuan Jiang: Sono originaria della Mongolia Interna, è fondamentalmente la mia terra natale.
Mo Zhulin: Inoltre, è cresciuta con il cavallo, ed è circondata da molti cavallerizzi, quindi è un posto con cui ha molta familiarità e con cui si sente molto a suo agio. Poiché in precedenza avevamo girato il film insieme in quella stessa location, due anni fa, abbiamo un po’ di buonsenso in quel posto. Quindi è un po’ più facile immaginare come ci si debba muovere per fare un film lì. Inoltre, la storia è nata dalla sua ricerca in questi due anni dopo che abbiamo girato il corto. Quindi, è molto naturale che arrivi in questo modo. Quando ha concepito questo lungometraggio, abbiamo subito pensato di tornare a girare negli stessi luoghi. E la storia è anche venuta fuori dalle ricerche che abbiamo fatto lì negli ultimi due anni. Certo poteva essere difficile perché il clima è molto rigido. Inoltre, non abbiamo molte scorte nelle zone rurali. Ma siamo riusciti a risolvere i problemi grazie al nostro solido team.
E la neve? L’avete ripresa realmente o è digitale?
Xiaoxuan Jiang: È neve vera, non digitale. È la vera tormenta, ed è stato davvero pericoloso girare quella scena perché quando nevica e c’è un forte vento che soffia, non riesci proprio a vedere oltre i due metri di distanza. Era davvero difficile muoversi con le nostre auto. Le abbiamo attaccate l’una all’altra. Se avessimo perso un’auto, sarebbe stato molto pericoloso e molto difficile per noi finire la cosa. Si deve davvero rispettare la natura in quella fase della lavorazione. Il posto in cui abbiamo girato le scene con la tormenta di neve, era in realtà la casa del mio protagonista. Lui poteva metterci sulla strada anche se non si riusciva a vedere nulla. Lì siamo stati davvero fortunati. Comunque, il meteo era davvero pessimo. Come il Deserto del Gobi. È davvero un territorio nevoso, freddo e sabbioso. Non è come una stucchevole prateria o una bella distesa innevata.
Ci sono dei momenti con immagini notevoli, come quel crepuscolo nel deserto. Come avete lavorato con la fotografia?
Xiaoxuan Jiang: Quando abbiamo discusso con il mio direttore della fotografia sull’aspetto visivo complessivo, per me una cosa che era davvero importante era catturare l’aspetto naturale delle luci. Perché la terra è così vasta. Quando la luce cade su di essa, ogni piccolo cambiamento fa apparire l’immagine molto diversa. E c’è sempre questo aspetto sabbioso e smorzato quando la luce illumina oggetti e personaggi. Perché la terra è piuttosto arida, quindi c’è molta sabbia quando soffia il vento. E volevamo anche catturare quel giallo che è già presente nel territorio.
Un paesaggio maestoso racchiude una storia triste, una storia su qualcosa che sta cambiando, su un mondo al tramonto. Non solo per i cambiamenti climatici, ma anche perché ci sono questi spettacoli circensi, c’è il turismo, ci sono le gru che si apprestano a sventrare il terreno per le attività estrattive. Puoi raccontarmi qualcosa a riguardo?
Xiaoxuan Jiang: Il cambiamento più evidente sta nel nostro ambiente, ovunque. Anche qui a Venezia, la temperatura è più alta che mai. In ogni angolo del mondo arriva il riscaldamento globale, anche se a volte pensiamo che sia un mito. Sta davvero cambiando tutto del paesaggio in cui viviamo. Vengono superati i vecchi sistemi di sostentamento. Irreversibilmente. La transizione verso l’industrializzazione e la globalizzazione è già iniziata anni fa. Stiamo già da anni attraversando questo fenomeno. Per persone diverse nel mondo, avviene in tempi diversi, e colpisce in modo diverso. Per questo film, ciò che mi ha davvero catturato inizialmente è stato il modo in cui questo spettacolo equestre diventa una reinterpretazione del vecchio stile di vita. E allo stesso tempo, lo stile di vita tradizionale oggi è già cambiato. Non solo adesso, ma già da anni, quel modo di vivere tradizionale è già passato. Ora lo stiamo reimmaginando in questa grandiosa reimmaginazione dell’eroismo mongolo. Solo attraverso l’industria del turismo e attraverso la commercializzazione di un certo modo di vivere. Ciò mi ha spinto davvero a catturare le cose in un momento di cambiamento. Ma non di cambiamento si tratta, perché i cambiamenti sono già avvenuti e continuano ad avvenire.
Non credi però che quegli spettacoli equestri, spettacolari e pieni di luci, così come il turismo di questi cinesi un po’ arroganti che si vedono nel film, sia un modo di svendere una tradizione?
Xiaoxuan Jiang: Non è il filmmaker che deve giudicare. Ci sono due aspetti. Da un lato, sì, il turismo è come commercializzare tutto. Ma, allo stesso tempo, dà alle persone lavori sostenibili. E le persone possono davvero usare ciò che sanno fare. Ad esempio, nel caso del mio amico, che stava davvero lottando finanziariamente, tenere quel lavoro era così importante per lui per mantenersi. E a dire il vero, a molti artisti lì, non importa davvero nulla di entrare a far parte dell’industria del turismo. La cosa più importante per loro in quel preciso momento era che fosse un lavoro sostenibile. Ti pagano uno stipendio discreto ogni mese. Sarebbe davvero ingiusto da parte mia giudicare. Si tratta di un fenomeno interessante per noi da osservare.
Cosa puoi dire di Saina, il personaggio principale? È un personaggio reale. Quando e come l’hai incontrato? E quando e come hai deciso di fare un film attorno a lui?
Xiaoxuan Jiang: L’ho incontrato anni fa quando stavo girando il mio cortometraggio. Quindi, è come un amico di famiglia per me. Non ho avuto modo di conoscerlo davvero fino a quando non ho cercato una piccola casa di fango sulle praterie per il cortometraggio. Lui aveva due case di fango dalla sua famiglia. Quindi è diventato subito il nostro location scouter per il corto. E mentre interagivamo con lui, ho scoperto che ha questo ritmo molto cinematografico. Quando parla, è molto cinematografico. E, quando si muove, lascia immaginare che ci siano più storie. Prima di questo film, lo conoscevamo sempre come un corridore di cavalli. Anche se ha 30 anni – di solito gli uomini mongoli sulla trentina non corrono più – ama così tanto le corse di cavalli che continua a correre. E tiene ancora molti cavalli per le corse. È stato due anni fa, credo fosse più o meno settembre, quando all’improvviso ho iniziato a vederlo postare foto di lui che lavorava a uno spettacolo equestre. Il che è così diverso dalla immagine che avevo prima di lui, un cavaliere. Ho visto che stava ancora cavalcando, ma per uno scopo diverso. Lui sta ancora impiegando tutti i trucchi e manifestando la sua abilità a cavallo. Questa volta per far parte di uno spettacolo e per esibirsi per i turisti. È stato allora che mi ha invitato a fargli visita allo spettacolo equestre. Dietro le quinte, ho trovato che si trattasse di una transizione molto interessante, per come si era vestito. All’improvviso, diventa un eroe e poi diventa parte di questo grandioso spettacolo. Quella parte è così diversa da come lui è di solito. All’epoca, sentivo che c’era una certa vulnerabilità in lui mentre attraversava quel processo. Sentivo che stava avendo qualche difficoltà a essere la persona che avrebbe dovuto essere. Quel tipo di vulnerabilità e quella fase di transizione, tra quei due mondi, hanno davvero catturato anche me.
Come hai lavorato per scrivere la sceneggiatura, partendo da un personaggio reale? E quanto nel film è finzione e quanto è reale?
Xiaoxuan Jiang: Direi che il 70% è reale e l’altro 30% è come io vorrei che fosse. Una volta che scrivi una storia, anche se tutto il materiale grezzo proviene dalla vita reale, comunque, inevitabilmente, il tuo personaggio diventa una persona che ti parla.
Quanto sono importanti e perché sono importanti i cavalli in quella cultura? Perché si parla dei cavalli locali, della razza locale, già nel titolo?
Xiaoxuan Jiang: Quando si riferiscono ai cavalli locali, stanno fondamentalmente parlando della razza nativa delle steppe mongole, quelli che vengono definiti i “cavalli mongoli”. Questo riecheggia anche nel titolo, cavallo mongolo. Non so quando, probabilmente decenni fa, hanno iniziato a importare cavalli dall’estero e di altre razze. Era molto importante incrociare i cavalli per selezionare animali che avessero una velocità maggiore e più alti. I cavalli mongoli sono relativamente piccoli. Dopo una generazione di allevamento di cavalli, la razza locale non è più la razza preferibile per molti scopi. Ad esempio per le corse si usano cavalli purosangue. Per le gare di resistenza i cavalli arabi. Quindi, dove, in quale caso, le persone hanno ancora bisogno dei cavalli mongoli? Sembrava che l’unico vantaggio dei cavalli mongoli fosse la loro capacità di vivere in condizioni davvero difficili. E penso che sia anche per questo che la cavalleria mongola ebbe successo nelle battaglie nella storia antica. Ma non è qualcosa di cui le persone hanno ancora bisogno oggigiorno. Oggigiorno la maggior parte dei cavalli mongoli sono come cavalli selvaggi che vagano per la terra. Appartengono a qualcuno, ma il proprietario di solito non ha bisogno di prendersi così tanta cura di loro. Li tiene semplicemente nella terra e dà loro acqua al momento opportuno, e poi sopravvivono benissimo. Proprio per questo motivo, molti proprietari, quando hanno bisogno di soldi, vendono i loro cavalli. Non è più un simbolo così spirituale per molte persone. Alcune persone relativamente più tradizionaliste o amanti dei cavalli, tengono ancora i loro cavalli anche se non possono usarli per niente. Ma per altri è diverso. C’è anche un mercato per la carne di cavallo. Possono anche venderli ai mattatoi. Succede in quei luoghi, per questo l’uccisione dei cavalli riecheggia con nel titolo.
In un momento del film il bambino gioca con quel cavallino peluche bianco, un giocattolo. Anche i bambini quindi assimilano questa cultura del cavallo?
Xiaoxuan Jiang: C’è un comune simbolismo visivo tra questo film e il mio precedente corto. Anche nel corto c’erano scene di un bambino che gioca con un cavallo giocattolo. E quella scena rappresenta un simbolo di ciò che succede nel mondo reale. Quando i bambini imitano gli adulti o cercano di imitare il mondo degli adulti con i loro giocattoli, è un affresco così interessante di come noi vediamo i giochi dei bambini.