The Witch

The Witch

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The Witch, l’esordio alla regia di Robert Eggers, immerge l’horror nelle acque limacciose della superstizione, della leggenda, della fede dominata dalla paura e dal senso di colpa.

Black Phillip

Una famiglia coloniale lascia la piantagione e cerca di cogliere il loro raccolto in una fattoria neonata nei pressi di un antico bosco del New England. Quando un membro della famiglia scompare, ben presto superstizione, terrore e giochi per bambini assumono una costante sotterranea frenetica e minacciosa. [sinossi]
Black Phillip, Black Phillip
A crown grows out his head,
Black Phillip, Black Phillip
To nanny queen is wed.
Jump to the fence post,
Running in the stall.
Black Phillip, Black Phillip
King of all.
Black Phillip, Black Phillip
King of sky and land,
Black Phillip, Black Phillip
King of sea and sand.
We are ye servants,
We are ye men.
Black Phillip eats the lions
From the lions’ den.
Filastrocca dal film The Witch

Si è fatto un gran parlare di The Witch fin dall’edizione 2015 del Sundance Film Festival, dove l’esordio alla regia di Robert Eggers fu acclamato dal pubblico e vinse il premio per la miglior regia; non è in effetti facile imbattersi in opere prime così nette e chiare, soprattutto se ci si immerge nel sottobosco del cinema “di genere”. The Witch è a tutti gli effetti, e senza alcuna voglia di sottrarsi alle proprie responsabilità, un horror, eppure fin dalle primissime sequenze sembra prendere le distanze dalla stragrande maggioranza degli altri film a lui coevi che cercano di mettere in scena l’orrore. Prima ancora che la storia prenda corpo sullo schermo, è l’immagine in quanto tale a proporre una sostanziale differenza: Eggers utilizza infatti per l’immagine un rapporto standard che standard non è più, l’1.66:1 che fu noto ai tempi anche come European Flat perché la Paramount (che lo inventò pensandolo per le cineprese Super 16mm) lo aveva creato per il mercato europeo. Questa scelta, gestita in maniera impeccabile dal direttore della fotografia Jarin Blaschke, permea le inquadrature di cui si compone The Witch (o The VVitch, come viene naturale desumere dal font utilizzato per il poster) di un’aura arcaica, in tutto e per tutto coerente con l’ambientazione del film.
The Witch narra infatti la difficile vita di una famiglia puritana inglese trapiantatasi nel Nuovo Mondo nel Diciassettesimo Secolo. Scacciata dalla comunità della quale era membro per supposta eresia del pater familias, come sembra ipotizzare il breve processo su cui si apre il film, la famiglia (padre, madre e cinque figli, di cui uno appena nato) costruisce una fattoria al limitar del bosco. Un bosco oscuro, nel quale scompare il più piccolo tra i pargoli. È stata una strega? O si tratta di un lupo, come afferma il padre? E se di mezzo c’è un maleficio, chi l’ha scagliato? I due gemelli di sei/sette anni sembrano esser certi che è la loro sorella maggiore a trafficare con la magia nera, e parlano con un caprone nero, Black Phillip…

Eggers non ha alcuna intenzione di trasformare The Witch in una sarabanda sanguinolenta da condurre a colpi di grand guignol, e ha ben chiaro fin da subito il vero “nemico” dei suoi protagonisti: non tanto la natura, di per sé non certo benevola, e neanche il male nella sua accezione canonica, ma il rapporto osmotico con una fede dominata dalla paura, e dalla superstizione. Caleb, il giovane figlio, interroga in maniera incessante il padre: visto che il suo fratellino è morto prima di aver ricevuto il battesimo, è forse all’Inferno? E perché Dio, che è tanto caritatevole, dovrebbe accanirsi su un innocente? Tutti, in The Witch agognano la purezza e si sentono sporchi per un peccato originale che è quello di pensare, e di non essere solo la forma incarnata dell’idea del Creatore; tutti, inevitabilmente, dovranno fare i conti con una realtà che è ben diversa da quella che sognano e che può assumere i contorni, perché no, del demonio e delle sue infinite aberrazioni.
Il giovane regista dona un sottotitolo alla sua opera prima, che recita “A New England Folk-Tale”, sottolineando una volta di più la propria chiarezza di intenti: in quella nuova Inghilterra che darà i natali agli Stati Uniti d’America, lo spaesamento di chi non è più protetto nel calore della propria casa diventa incubo, attraverso una fiaba nera che non è poi così dissimile da The Legend of Sleepy Hollow che Washington Irving diede alle stampe nel 1820. Anche in The Witch sono le credenze popolari a indottrinare – in maniera eguale e opposta rispetto alla lettura cieca della Bibbia – gli uomini: l’immagine del capro, la donna-strega che vive in una capanna nel bosco e si ciba di infanti, il sangue che esce al posto del latte dai capezzoli della capretta, tutti luoghi comuni che si impossessano delle menti dei familiari, incapaci di comprendere la differenza tra realtà e deliquio onirico.

Ma The Witch è anche un film sull’incapacità di liberare il proprio corpo dai legacci che lo avvincono al seno familiare; Thomasin è oramai adolescente, e non è un caso che sul suo petto si pogga lo sguardo del poco più giovane Caleb, destinato a crescere lontano da qualsiasi altro elemento femminile. “I Will Confess” cantano William, Katherine e i loro figli mentre si allontanano per sempre dalla civiltà – guardata da Eggers attraverso un pertugio in un telone –, e The Witch è la lenta e progressiva ricerca di questa confessione: la confessione all’inadeguatezza del puro, alla follia di una lettura pedissequa di un testo sacro, ai timori e alle paure verso un mondo che appare solo brullo e ostile. E forse lo è. Gli uomini e le donne possono solo chinarsi di fronte a questa natura, e accettarne l’esistenza, senza opporvisi con efficacia.
Non si può dominare la natura, come si ostina a credere William, perché essa è ed era lì prima che arrivasse la religione, e prima che arrivasse l’intelligenza umana. La dispersione nel bosco, che riporta alla mente alcuni dei tratti peculiari della fiaba europea – da Cappuccetto Rosso a La bella addormentata nel bosco, da Hansel e Gretel a Pollicino e via discorrendo – è anche la presa di (in)coscienza di un popolo che si abbarbicherà al credo al punto da ritenere degna di forca qualsiasi stortura o lettura ulteriore. Il secolo, dopotutto, è lo stesso del celebre processo alle streghe di Salem, che iniziò con l’accusa a Tituba Indians e terminò con la condanna a morte di diciannove persone.

Pur propendendo verso una messa in scena parca, rarefatta e rigorosa che riporta alla mente traiettorie dreyeriane (Dies irae, senza dubbio, ma la dimensione onirica incubale potrebbe provenire da Vampyr), Eggers non ha paura di rappresentare fisicamente l’orrore, a partire dalla strega che avrebbe rapito il piccolo Samuel per nutrirsene ed evocare Satana. Ne viene fuori uno strano e affascinante ibrido, a metà tra l’incursione psicanalitica – che non viene mai meno, visto che è difficile distingure tra realtà e finzione – e l’horror tout-court, fusione che trova la sua sublimazione nella splendida sequenza del delirio di Caleb, circondato dai familiari raccolti in preghiera per la sua anima.
Eggers non sceglie dunque una lettura univoca di The Witch, e se questo da un lato rappresenta una scelta “di comodo” (più che comprensibile, vista la giovane età del regista e il primo confronto con il lavoro produttivo su un lungometraggio), dall’altro innesca una serie di intepretazioni ulteriori che arricchiscono il film e ne confermano l’unicità all’interno di un panorama al contrario sempre più teso verso l’uniformità immaginifica e concettuale. Se anche il più infernale degli incubi acquista un valore di “verità” è perché è visto attraverso lo sguardo di Thomasin, giovane donna che vuole solo trovare un posto al mondo e vive nel disagio l’isolamento forzato della famiglia; anche un sabba stregonesco può apparire liberatorio di fronte alla cieca angoscia di una fede rafforzata solo attraverso la paura. Un approccio poco “americano”, che sembra riallacciarsi con maggior forza alle radici culturali scandinave e germaniche: non è certo un caso che, oltre al già citato Dreyer, The Witch riporti alla mente soprattutto Häxan di Benjamin Christensen e, rimanendo nella contemporaneità, Requiem di Hans-Christian Schmid.
Al suo primo film Robert Eggers segna già in maniera feconda e profonda l’immaginario orrorifico dei suoi anni (anche se The Witch potrebbe benissimo rientrare tra i drammi psicologici, senza scomodare il genere), creando il babau più naturale e meno artefatto possibile: un elegante caprone nero, Black Phillip.

Info
Il trailer di The Witch.
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