Innocent Witness

Innocent Witness

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In Innocent Witness del sudcoreano Lee Han il dramma legale viene convertito in riflessione – non priva di cliché – sul tema dell’autismo e della “diversità”. Al Far East Film Festival di Udine.

La ragazza che non sa mentire

Soon-ho è stato negli anni di gioventù un avvocato idealista, progressista, battagliero. I debiti del padre e le scarse capacità economiche lo hanno spinto ad affrontare la professione con cipiglio meno utopico: quando però il grande e corrotto studio per cui lavora gli affida la difesa di una donna accusata di omicidio la sua morale torna a vacillare. E l’unica testimone del delitto, una quindicenne portatrice della Sindrome di Asperger, contribuirà a farla traballare ancora di più… [sinossi]

Innocent Witness si sviluppa a partire da un incipit non privo di suggestioni. Una quindicenne con evidenti disturbi dello sviluppo sta guardando un video sul tablet prima di mettersi a dormire: proprio mentre il buffering rallenta il video, infastidendola, un rumore dall’esterno attira la sua attenzione alla finestra. Ciò che vede è confuso, poi la notte diventa giorno e l’arrivo della polizia certifica un decesso. Un uomo anziano è morto soffocato da una busta di plastica stretta attorno al suo volto da un nastro adesivo: si è trattato di suicidio o l’uomo è stato vittima della sua collaboratrice domestica? Da qui il settimo lungometraggio del quarantanovenne Lee Han potrebbe prendere molte strade, tutte a suo modo interessanti: un’indagine sulla verità alle spalle del delitto; una riflessione su ciò che si vede o che si crede di vedere; l’approfondimento del rapporto con l’esterno da sé di un’adolescente portatrice della Sindrome di Asperger. Il materiale a disposizione sicuramente non manca, almeno sulla carta. Ma Han, basandosi sullo script di Mun Ji-won, si “limita” a far intervenire nella scena, di per sé già ricca, un nuovo protagonista di fatto destinato a sbaragliare il campo da qualsivoglia comprimario. Innocent Witness diventa infatti la storia di Soon-ho, quarantaseienne avvocato che vive ancora con il padre, un amorevole vedovo affetto da morbo di Parkinson che vorrebbe vedere il figlio accasarsi con una brava donna, e che dopo anni a fare l’avvocato delle cause perse – battagliando per la democrazia, il progresso, la giustizia sociale – ha scelto la sicurezza del denaro, iniziando a lavorare per un grande studio non privo di zone d’ombra. Il denaro non è comunque nel suo caso un simbolo di cedimento di fronte allo strapotere del capitalismo, ma una necessità dettata dai debiti contratti negli anni dal padre per venire in soccorso di un suo caro amico.

Mette le cose in chiaro fin da subito, Han: lo spettatore avrà a che fare con un uomo giusto, e il film prenderà senza indugi le sue parti. Il concetto è così chiaro che il segmento in cui Soon-ho dovrebbe andare in crisi, al punto da cedere perfino alle losche trame del suo capo, è il passaggio meno credibile di un film che nel complesso mostra ben più di una crepa disseminata durante l’intero percorso. Soon-ho, come già scritto, squilibra il film, anche perché porta con sé un buon numero di sottotrame – come quella che ha per protagonista la migliore amica di Soon-ho, a sua volta avvocato in lotta contro una grande industria di assorbenti che potrebbe aver utilizzato materiale cancerogeno nella produzione del tampone intimo – che avrebbero bisogno di un respiro maggiore per diventare qualcosa più di un diversivo per il pubblico.
Concentrando l’attenzione sull’uomo e sui suoi rovelli morali, e in seguito sulla sua volontà ferrea di fare amicizia con la ragazzina autistica – unica testimone della morte del vecchio, e quindi unica persona a poter andare alla sbarra in tribunale per riportare la propria versione – Innocent Witness perde di vista il caso attorno al quale dovrebbe muoversi: a chi interessa in fin dei conti di chi sia la colpa della morte dell’anziano soffocato? Una scelta che potrebbe al limite perfino essere accettata – pur sollevando un buon numero di perplessità – se non fosse che proprio al limitar della narrazione Han si ricorda di maneggiare un dramma giudiziario, rimettendo al centro il personaggio dell’accusata, altro specchietto per le allodole ben presto abbandonato al suo destino e poi utilizzato più contro la giovane che per sviluppare un reale discorso narrativo.

Cinematograficamente prossimo agli stilemi del dramma televisivo, con un abuso fin troppo esibito del dialogo a due, il film di Han si smarrisce dunque nei rivoli che lui stesso ha provveduto a disseminare senza troppa coerenza. E svela la sua vera identità: non un thriller giudiziario, un dramma legale alla ricerca di un colpevole, ma una riflessione che si affida al cliché (la ragazzina, novella Rain Man, sa contare in una frazione di secondo i pallini presenti sulla cravatta dell’avvocato) per cercare di far empatizzare il pubblico con i portatori e le portatrici della Sindrome di Asperger. Impegno lodevole, ma completamente depauperato del potere dell’immagine e del racconto, purtroppo.

Info
Il trailer di Innocent Witness.
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