Bombay Velvet

Bombay Velvet

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Presentato in Piazza Grande a Locarno, Bombay Velvet è il risultato dell’incontro tra il regista indiano Anurag Kashyap, che si è fatto conoscere nei festival per Gangs of Wasseypur e Ugly, con la grande montatrice Thelma Schoonmaker. Le aspettative non sono per nulla deluse.

Bollywood o morte!

La storia di un uomo che, contro ogni aspettativa, forgia il suo destino per diventare un «pezzo grosso». Il mondo dei jazz club, una storia d’amore appassionata, una metropoli in crescita e una gran voglia di vivere la bella vita. Benvenuti nella Città dei sogni. Benvenuti a Bombay Velvet. [sinossi]

Come in Gangs of Wasseypur, in questo film la storia inizia a ridosso di un anno fatidico, il 1947, che segna l’indipendenza della Repubblica d’India, la liberazione della nazione dal giogo coloniale. La storia moderna del paese comincia da lì e ancora Anurag Kashyap ci torna, dopo il precedente film che funzionava come una sorta di Heimat bollywoodiana di genere gangsteristico, la storia di un paese vista attraverso le storie di clan famigliari in conflitto nella perenne ricerca di una vendetta. Ma ora il regista, nel suo affresco storico, rivela una sacca ancora in mano europea, Goa che rimarrà una colonia portoghese fino al 1961. La ricostruzione, sontuosa, dei differenti contesti storici è percorsa da un conflitto anche estetico tra la società indiana e quella cattolica dell’enclave portoghese. E il finale, con i tanti babbi Natale e gli alberi di Natale che pervadono le strade e le piazze indiane, suona come il monito per un colonialismo culturale che persiste.

La storia per Anurag Kashyap è anche, e ancora come in Gangs of Wasseypur, una storia urbanistica. Quella della trasformazione in grande metropoli di Bombay – chiamata sempre così con il suo nome occidentale in un film che racconta i parallelismi e analogie con vicende occidentali –, la trasformazione del suo assetto fino ad arrivare allo skyline attuale. Una trasformazione che è stata plasmata dalle mani sulla città, da interessi malavitosi e dalla corruzione politica. Il richiamo cinematografico evidente, nell’ultima scena che documenta i palazzoni attuali della città, è quello con la Las Vegas di Casinò. E la presenza feticcio di Martin Scorsese è incarnata nel montaggio di Bombay Velvet curato nientemeno che da Thelma Schoonmaker, la montatrice musa del grande cineasta.
Bombay Velvet è in tutto e per tutto un film che ricrea gli schemi e le atmosfere del noir americano classico, configurandosi come un’operazione di omaggio a quel glorioso cinema, come lo sono stati per esempio Black Dahlia o Chinatown – ancora un film legato a una città e a un suo quartiere – e alla corruzione dei piani alti della municipalità. Il cinema di gangster classico è espressamente richiamato da un film che si vede con protagonista James Cagney, I ruggenti anni venti, mentre più avanti si vedrà un quadretto a un muro con la foto di Clark Gable. E Bombay Velvet è la ricostruzione estetizzante di un mondo dai colori seppia, corrispettivo in India del vintage di una Chicago, o una Los Angeles, anni venti. Grandi locali di music-hall, lustrini e pailettes, con un pubblico elegante che arriva su sontuosi macchinoni, con cantanti elegantissime che si esibiscono con microfoni con asta d’epoca. Il titolo stesso del film prende il nome dal locale Bombay Velvet, punto di snodo delle vicende narrate. I momenti musicali fanno convergere le istanze del film con quelle di Bollywood, ma Kashyap mantiene le canzoni, così come i pochi momenti di ballo, su un piano diegetico. Le esibizioni sono quelle dei personaggi del film.

Sempre come ingrediente del cinema americano classico, è la presenza del giornalismo, il quarto potere, che ha un ruolo di rilievo nella vicenda. Caporedattori in bretelle, le prime pagine di un quotidiano, il Torrent, spesso esibite così come le rotative (lungo sarebbe l’elenco dei modelli). E ancora da quel genere classico deriva un mondo sordido, cinico dove i personaggi sono impegnati in una lotta per la sopravvivenza. Dove nessuno, o quasi, si salva. Vedi in questo senso la scena del ragazzo che rimane impassibile mentre sente i colpi di arma da fuoco con cui viene ucciso il sindacalista. Un mondo di intrighi, di vicende contorte, di rampantismo malavitoso, di donne che vissero due volte.
L’impronta al montaggio di Thelma Schoonmaker è esibita. Fa palpitare il film con un ritmo mozzafiato, con momenti ipercinetici. E costruisce l’incipit narrativo con l’accumularsi di tantissime microstorie, presentazioni di personaggi, scene veloci e tra loro scollegate i cui fili narrativi si rivelano solo al dipanarsi graduale della storia.
Bombay Velvet, presentato in Piazza Grande a Locarno, è l’ulteriore conferma di una New Bollywood, di un fermento, di autori innovativi, che pervade il cinema indiano, che si è ormai scrollata dagli schemi naïf di una volta.

Info
Il trailer di Bombay Velvet.
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