Artist of Fasting

Artist of Fasting

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Nell’ambito della retrospettiva Adachi Masao: Film/Revolution dell’International Film Festival Rotterdam, è stato presentato Artist of Fasting, il nuovo film di Masao Adachi, la cui energia corrosiva non appare affievolirsi e, con questo film, sembra di tornare ai momenti alti del cinema di Oshima degli anni Sessanta.

Il cimitero del sole

Un uomo silenzioso, senza nome, mette in scena una performance che consiste in uno sciopero della fame, piazzandosi seduto in una strada di negozi. Un atto inspiegato che crea confusione e discussioni tra i cittadini e l’uomo diventa così un caso mediatico. Attorno a lui si raduna una folla di personaggi eccentrici, membri della yakuza, bonzi, attivisti dei Medici senza Frontiere. [sinossi]

Un uomo si siede su un marciapiede, in una via di negozi. Rimane seduto e pratica il digiuno, lasciando inspiegati i motivi di questo suo gesto. Un’azione che consiste in una non-azione. Non a caso ispirata a Masao Adachi da un racconto di Kafka, dal titolo Un digiunatore. Niente di più rivoluzionario e sovversivo in un mondo frenetico governato dagli obblighi della produttività e del consumismo. Una società dove l’imperativo morale è proprio quello di non stare mai fermi. E subito la gente rimane sbalordita da questa azione trasgressiva. Solo i bambini ravvisano qualcosa di artistico, paragonando la posizione dell’uomo alla scultura del Pensatore di Rodin. Accorrono le televisioni a frotte con i cronisti che cercano di intervistare l’uomo misterioso per capire le motivazioni di quello che interpretano come un sit-in di protesta, mentre i passanti si fanno i ‘selfie’ con lui. Per i vigili è un qualcosa da rimuovere perché arreca disturbo alle attività commerciali. Per le autorità appare da subito un caso meritevole di arresto e rieducazione.

Presentato all’IFFR 2016, Artist of Fasting, il nuovo film di Masao Adachi, realizzato esso stesso come un momento di arte performativa urbana in una piccola cittadina, esce proprio quando altre opere arrivano alle stesse riflessioni. Il riferimento va anzitutto alla serie “Walker” di Tsai Ming-liang, dove un personaggio si astrae dai ritmi del mondo con la semplice lentezza. Per lui si tratta di rallentare i movimenti, per il personaggio di Artist of Fasting di bloccarli del tutto. Se per il regista taiwanese questa figura si incarna in un bonzo, un sacerdote buddhista, simbolo dell’approccio filosofico orientale, meditativo sul mondo, per Adachi non si può non pensare alla figura del Buddha seduto sull’albero della Bodhi. Come un nuovo messia a portare un messaggio, incompreso dalla società. La metafora viene infine suggerita proprio dagli stessi bonzi che accorrono a pregare vicino all’uomo seduto, e la considerano anche un momento di sincretismo che accomuna il buddhismo al cristianesimo e all’islamismo. I fondatori di tutte e tre le religioni infatti hanno passato momenti di ascetismo e digiuno per rifiutare le tentazioni del mondo terreno. L’uomo seduto tuttavia perde ogni connotazione religiosa, non si eleva a una verità superiore, non raggiunge l’illuminazione. Un’altra immagine giapponese che viene in mente, anche se difficilmente voluta dal regista ma comunque coerente, è quello dell’uomo seduto su una scalinata, vaporizzato dall’esplosione atomica di Hiroshima, di cui è rimasto il solo alone.

Quello che è certo è che l’uomo seduto, che viene ingabbiato, attira l’attenzione di un gran numero di personaggi, e mette a nudo tabù e scheletri nell’armadio della società nipponica, verso i quali si riversa il sarcasmo feroce di Adachi. Il nazionalismo, l’industria pornografica, le sette religiose, la discriminazione (citando in questo caso quella nei confronti del popolo Ainu, l’etnia autocnona dell’Hokkaido). La gabbietta con l’uomo seduto diventa un teatrino di cui si impossessano tutti. Ognuno interpreta e usa il suo corpo per la propria esposizione. I nazionalisti con le declamazioni di “Banzai!”, l’esibizione del seppuku, il suicidio rituale dei samurai, e l’ostentazione della bandiera nazionale, sia quella con il semplice disco rosso, sia quella del sole nascente con il cerchio rosso da cui si dipartono i raggi, simbolo del nazionalismo e dell’imperialismo. E il campionario dell’iconografia patriottica messo alla berlina recupera tutta quell’energia sovversiva dell’Oshima arrabbiato degli anni Sessanta.

La gabbia diventa un teatrino a luci rosse con procaci e discinte fanciulle e le loro esibizioni erotiche, sadomaso e di stupro. Sembra un allestimento dei pinku di Wakamatsu – e di Adachi stesso – degli anni Sessanta, ma se in quel contesto l’erotismo era una forma di sovversione dei registi, ora è il trionfo dell’omologazione industriale dell’industria pornografica. Lo sberleffo di Adachi arriva all’apice, del non osabile, nella scena sadomaso con la ragazza che declama “Je suis Charlie Hebdo”.
E ancora come nel cinema di Wakamatsu comparivano frequentemente inserti di immagini di repertorio, qui Adachi utilizza foto raccapriccianti del Vietnam, di distese di teste mozzate per le decapitazioni di massa dell’esercito imperiale nipponico, attribuibili o all’occupazione coloniale taiwanese o ai massacri di Nanchino. Con questo film Adachi sembra comprimere la teoria del paesaggio, lo scorrere degli orizzonti dei suoi film classici, in un’unità di luogo dove però confluisce tutto.
Erotismo e nazionalismo, sessualità e carneficina. Della triade Oshima-Wakamatsu-Adachi rimane solo quest’ultimo – che ricordiamo di recente aveva firmato la sceneggiatura di Caterpillar di Wakamatsu, altro film sull’orrore del nazionalismo nipponico –, sempre ostacolato dalle autorità tanto da essere ricorso a una coproduzione sudcoreana per poter realizzare il film, a rappresentare la coscienza critica del paese.

Info
La scheda di Artist of Fasting sul sito dell’International Film Festival Rotterdam.

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