Ustica

La strage di Ustica con l’inabissamento del DC-9 Itavia raccontata da Renzo Martinelli, con poco senso della Storia e una ricerca spasmodica dello scoop.

Tutta la verità, solo la verità, nient’altro che la verità

Tre sono le ipotesi che sono state di volta in volta avanzate sulle cause del disastro ad Ustica: cedimento strutturale dell’aereo, una bomba a bordo, un missile. Nessuna di queste ipotesi è stata sino ad oggi provata. Frutto del lavoro di tre anni a stretto contatto con due ingegneri aeronautici sulla mole enorme di perizie e testimonianze effettuate nel corso degli oltre trent’anni trascorsi da quella tragica notte del 27 giugno 1980, Ustica porta a una nuova, agghiacciante verità, inconfutabilmente supportata da materiale documentale. [sinossi]

Al di là dei punti di vista, delle opinioni, delle letture della Storia e via discorrendo, c’è un’immagine che più di ogni altra può forse dare il senso di un’operazione retriva come quella che Renzo Martinelli ha condotto a termine con Ustica. Un’immagine che, purtroppo, rimane nel ricordo solo di coloro che hanno assistito all’anteprima stampa romana del film. Nello spiazzo antistante la Casa del Cinema troneggiava una ricostruzione di una parte del DC-9 Itavia, come l’avessero appena ripescata al largo dell’isola di Ustica, insieme agli altri rottami e ai corpi degli ottantuno che perirono quel giorno. Un’operazione pubblicitaria che travalica il buon gusto, e che colloca Ustica dove merita: non tra i film di denuncia, come vorrebbe il regista, ma tra i pruriti di un cinema che sfrutta la Storia, più che raccontarla. Nulla di stupefacente, dopotutto: a Martinelli già si devono squallide ricostruzioni della lotta partigiana (Porzûs), della tragedia del Vajont, dell’omicidio Moro (Piazza delle cinque lune) oltre a disquisizioni assai superficiali sul rapporto conflittuale tra “occidente” e Islam.

Chiunque abbia già avuto modo di incrociare sulla propria strada i lavori di Martinelli sa già dunque cosa aspettarsi: un’architettura di inchiesta spinta solo ed esclusivamente in direzione di una tesi aprioristica e mai messa in discussione, con dialoghi e situazioni che hanno l’unico scopo di imboccare lo spettatore con nozioni, fatti e verità occultate.
Con Ustica, ripresa di uno dei più tragici misteri italiani di Stato, il gioco viene ancora più facile: nessuno potrebbe infatti dubitare dei depistaggi e dell’insabbiamento della verità, che i parenti delle vittime reclamano a gran voce da trentasei anni. Come l’Italicus, piazza Fontana e piazza della Loggia, e la stazione di Bologna, anche lo schianto dell’aereo a Ustica rientra nei fatti più tragici dello stragismo e di quella che fu con precisione definita “strategia della tensione”. Un’epoca in cui le grandi forze occulte che si contendevano il Paese (servizi segreti deviati, mafia, loggia massonica P2) in probabile accordo con gli interessi statunitensi sfruttarono i movimenti eversivi presenti sul territorio (in particolar modo i fascisti del NAR, propensi a una pratica bombarola e uno spargimento di terrore che il brigatismo comunista rigettava) per destabilizzare la popolazione.

In questo contesto Ustica presentò fin dal principio versioni tra loro in netto contrasto: durata poco la ricostruzione che derubricava tutto a sfortunato incidente dovuto alla scarsa affidabilità dei veivoli Itavia, si parlò di una bomba a bordo o di un missile sparato da aerei NATO nel tentativo di colpire un Mig libico.
Proprio dall’aereo libico di fabbricazione russa prende il via Ustica: Martinelli mostra il piano affidato al pilota, quello di volare in scia a un aereo di linea per evitare di essere tracciato sui radar per poi incamminarsi in tutta tranquillità verso Tripoli. Ma qualcosa nel tragitto da Banja Luka – ora in Bosnia, all’epoca parte della Jugoslavia che stava ancora piangendo il cadavere di Josip Broz, detto Tito – va storto, e il Mig viene inseguito e abbattuto sui monti della Sila, in Calabria. Nel frattempo, però, è anche caduto l’aereo dell’Itavia… Martinelli infatti sostiene (suffragando la sua ipotesi con prove “inconfutabili”) che il DC-9 cadde in seguito a uno scontro in volo con un caccia dell’US Navy a sua volta all’inseguimento del piccolo velivolo libico – che avrebbe volato non armato per un accordo con i servizi segreti italiani. Eccola la tesi sconvolgente che dovrebbe giustificare l’intera operazione: italiani, sembra sgolarsi Martinelli, tutti vi hanno sempre mentito, eccola la verità!
La verità… Anche volendo sorvolare sulle deficienze strutturali di Ustica, sulla raffazzonata sceneggiatura, sulla retorica priva di alcun tipo di realismo dei dialoghi, sull’ombra ricattatoria che avanza sulla storia della mamma (per di più reporter d’assalto!) che ha perso la figlioletta nello schianto e la aspetta ogni giorno sulla spiaggia, pensando possa tornare a nuoto, e su una regia sciatta e priva di una reale profondità cinematografica, a pesare come un macigno sul film ci pensa l’ambizione di Martinelli, e la sua ennesima dimostrazione di supponenza. Ustica non sta cercando di ipotizzare un nuovo aspetto nella ricerca della verità, sta filmando e ponendo la firma in calce ALLA verità, l’unica accettabile. Il resto è nulla.

In questo senso, nella certezza incrollabile che muove ogni tassello del puzzle, è possibile rintracciare un legame tra Ustica e La macchinazione, in cui David Grieco racconta la morte di Pier Paolo Pasolini. Entrambi i registi pretendono di affermare che ciò che hanno prodotto possiede un non meglio precisato “certificato di verità”, che lo pone automaticamente al di sopra di qualsiasi replica o critica. Ed entrambi – ma Martinelli in maniera ancora maggiore – sacrificano senza indugiare il cinema e la credibilità pur di portare a compimento la propria tesi: Grieco lo fa “da sinistra”, con un afflato popolare che vede nello Stato il colpevole di un atto di violenza contro i più deboli (e chi cerca di dar loro voce), Martinelli lo fa invece “da destra”, orchestrando una macchinazione ancor più capillare e totale, in cui tutto è fatto solo per compiacere gli Stati Uniti, in una visione non troppo dissimile da quella che propagandava il Movimento Sociale di Almirante proprio in quegli anni – per non parlare della tirata, del tutto gratuita, contro il comunismo slavo, inserita a forza per rafforzare il concetto di fondo.
Se però ne La macchinazione si evidenziava uno sfruttamento della figura e del pensiero di Pasolini (cosa non nuova, tra l’altro, nel panorama italiano), l’aggravante di Ustica è quella di sfruttare a proprio piacimento, e per un film in tutto e per tutto di finzione (checché ne dica il suo autore), la morte di ottantuno innocenti, come testimonia la baracconata della finta carcassa il giorno dell’anteprima stampa. Per rientrare nel novero dei registi “di impegno civile” a Renzo Martinelli manca ancora sia il reale impegno (tutto è sfilacciato, in Ustica, eppure ogni pezzo si incastra magicamente al posto giusto), sia la civiltà, nel senso di rispetto verso ciò che maneggia. Il suo è poco più di uno scandalistico sfruttamento del dolore altrui, per il quale non si può che provare il più profondo disgusto.

Info
Il trailer di Ustica.
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