White Sun

White Sun

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Presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 73, White Sun è l’opera seconda del regista nepalese Deepak Rauniyar, un film di impianto metaforico sulla frattura che ha attraversato il paese tra filomonarchici e maoisti, ambientato proprio alla vigilia dell’emanazione della nuova costituzione che avrebbe dovuto sancire la riconciliazione.

Villaggio dolente

Quando suo padre muore, Chandra, partigiano schierato contro il regime, deve tornare al suo lontano villaggio di montagna dopo quasi dieci anni di assenza. La piccola Pooja sta aspettando con ansia l’uomo che crede suo padre, ma è confusa quando Chandra arriva con Badri, un giovane orfano di strada che si dice sia suo figlio. Chandra deve affrontare il fratello Suraj, che si era schierato con la fazione opposta durante la guerra civile nepalese. I due fratelli non riescono a mettere da parte i loro sentimenti politici mentre portano il corpo del padre giù per il ripido sentiero di montagna che conduce al fiume per la cremazione. [sinossi]

Presentato a Venezia 2016 nella sezione Orizzonti, White Sun è l’opera seconda di Deepak Rauniyar, che si fece conoscere alla Berlinale 2012 – in Panorama – con il suo primo film, Highway, il primo di nazionalità nepalese a essere presentato a un grande festival internazionale. Un film che peraltro, come quest’ultimo, già prendeva di petto i tabù della società del paese.
White Sun racconta una storia molto semplice – che ricorda quella di La strada verso casa di Zhang Yimou –, quasi un teatro dell’assurdo, in cui si innestano tutte le tensioni di un conflitto civile appena conclusosi dopo dieci anni e di un equilibrio politico raggiunto faticosamente e col sangue e che evidenzia nel film tutta la sua precarietà.

Siamo alla vigilia della nascita di una nuova nazione, il Nepal per l’appunto, del promulgamento della nuova costituzione democratica che sancisce la riappacificazione del paese, nel suo nuovo assetto repubblicano che pone fine alla monarchia. Il titolo tra l’altro si riferisce proprio al sole bianco, simbolo della bandiera nepalese. Nel suolo, tra i fiori, si possono trovare ancora mine inesplose, i residui del conflitto permangono e potrebbero ancora deflagrare. E tornano anche gli echi del terremoto del 2015 che ha mostrato l’inettidune della classe dirigente.
Muore l’anziano capo di un villaggio di montagna e la sua salma deve essere portata a mano secondo tradizione a valle per essere cremata nel fiume. Nel mezzo del ripido sentierino di pietre, unica via di collegamento con il villaggio, il trasporto del cadavere, con la processione, si interrompe, per tutta una serie di vincoli e di rigide prescrizioni religiose, e rimane così bloccato in una situazione di stallo. Evidente l’impianto metaforico di White Sun: il re è stato finalmente destituito ma rimane un ingombro e il suo cadavere, simbolico perché l’ex-monarca non è morto, esercita ancora un forte peso tale da bloccare la vita politica del paese. La salma rappresenta un sistema di potere che può fare danni anche da morto.

In generale White Sun mette in scena un conflitto che non è solo politico tra i fautori della tradizione e dell’ortodossia e quelli della modernità, tra il Nepal di campagna ancorato a riti religiosi e superstizioni e quello moderno, secolare, di città. Un conflitto fratricida. Chandra aveva abbracciato la fazione maoista, mentre padre e fratello erano monarchici, e gli risulta difficile accettare che il corpo del padre sia avvolto nel vessillo della fazione contro cui ha combattuto.
E in questo contesto si inserisce anche il problema della paternità di Chandra, del suo riconoscimento e del dubbio della bambina su chi sia il vero genitore, cosa che sembra non sapere neanche lo stesso Chandra o quantomeno pare non gli importi nulla. Anche le generazioni future rischiano di trascinarsi dietro le tensioni e le confusioni di ruoli dei padri.

I contrasti famigliari e politici si incastrano tra di loro e con il rispetto o meno delle tradizioni. Non si può toccare il corpo del defunto, guasterebbe il rituale; la salma non può uscire dalla porta principale; non si può metterlo giù prima del fiume, sarebbe un sacrilegio; non si può seppellire; le donne non sono ammesse al funerale; gli appartenenti a una casta inferiore non possono neanche avvicinarsi al corteo funebre; il basilico sacro. Prescrizioni e formalismi che appaiono assurdi ai nostri occhi occidentali, che pure conoscono il danno estremo che potrebbe portare una rivoluzione culturale, la cancellazione delle tradizioni.
Dall’altra parte si scorgono le nuove istituzioni del paese – ci fa vedere White Sun – ma si mostrano già traballanti. Il loro corrispettivo dogmatico è la burocrazia: i militari della stazione di polizia non possono occuparsi del problema perché riguarda una giurisdizione diversa. E gli stessi dirigenti maoisti fanno trapelare la loro arroganza. E anche quando si sposano seguono il rito tradizionale. E ancora il bambino che rinfaccia a Chandra di aver avuto entrambi i genitori uccisi dai maoisti spazza via ogni residuo di manicheismo.
White Sun è la storia di un paese lontano, di cui sappiamo poco e quel poco è spesso inquinato da pregiudizi. E ha il merito di essere una storia raccontata da un punto di vista interno.

Info
La scheda di White Sun sul sito della Mostra del Cinema di Venezia.
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