Ballad in Blood

Ballad in Blood

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Dopo l’omaggio di Eli Roth con The Green Inferno, Ruggero Deodato torna sul grande schermo dopo una lunga assenza, cannibalizzando uno dei più noti casi di cronaca italiana degli ultimi anni, con Ballad in Blood, presentato al Trieste Science+Fiction – Festival della fantascienza.

Cocktail di droga per un cadavere

Il giorno dopo Halloween, in una città universitaria dell’Italia centrale, Jacopo, Lenka e Duke si svegliano nell’appartamento che Lenka divide con Elizabeth. Sono tutti studenti tranne Duke, che è uno spacciatore afroamericano. L’alba del nuovo giorno sorge su una tragedia: Elizabeth è morta, qualcuno le ha tagliato la gola. Ma c’è dell’altro: nessuno di loro ricorda l’accaduto. Troppo alcool e troppa droga… Provano a sbarazzarsi del cadavere, ma con risultati disastrosi. Poi iniziano lentamente a ricordare che Elizabeth aveva passato quasi tutta la notte a riprenderli con il suo smartphone. Quando il puzzle inizia a ricomporsi, ci troviamo di fronte ad un incubo di sesso e sangue. Nel frattempo, Lenka pensa a come togliersi dai guai. [sinossi]

Ritorno in pompa magna sul grande schermo per Ruggero Deodato, dopo un’assenza al cinema di 23 anni, e forte dell’omaggio tributatogli da Eli Roth con The Green Inferno. Ballad in Blood, presentato al Trieste Science+Fiction – Festival della fantascienza, segna un ritorno al suo cinema di effetti shock e grand guignol cui arriva cannibalizzando, questa volta, un caso di cronaca nera che ha imperversato su giornali e televisione per parecchio tempo, un delitto maturato negli ambienti universitari di studenti di provenienza internazionale, in un contesto di dissolutezza tra festini a base di sniffate e promiscuità sessuali. Le analogie con quella vicenda sono tante e Deodato sviluppa e ricrea quell’ambiente fatto di studenti universitari fuori sede, provenienti da varie parti del mondo per progetti di scambi tra atenei, nel contesto di una tipica piccola città italiana, con le sue architetture storiche. Il film è girato a Orvieto, sempre in Umbria, sfruttando le potenzialità di questa location soprattutto nelle scene nella suggestiva ambientazione del Pozzo di San Patrizio – profondissimo, è uno sprofondare agli inferi –, teatro di festini in maschera e sesso libero come una versione da college del party di Eyes Wide Shut. E la vita studentesca in una cittadina universitaria si trasforma in un incubo, in cui spicca la straordinaria figura del barman, anzi del “bartender” Leo, interpretato da un Ernesto Mahieux che rispolvera il suo personaggio indemoniato de L’imbalsamatore.

Deodato si mostra ancora una volta attratto dalla realtà e dalla cronaca, con cui il suo cinema si pone coerentemente in un’ambigua continuità e risonanza. Se per Cannibal Holocaust aveva stabilito contrattualmente che gli attori interpreti dei reporter scomparissero nel momento successivo all’uscita del film, creando così una torbida confusione tra realtà e cinema, con Ballad in Blood decide invece di imitare una vicenda realmente accaduta, che aveva tutte le caratteristiche del film di genere. E ancora il regista instaura un punto di vista cinematografico interno, un occhio secondario. È quello di Elisabeth, la vittima, perennemente a riprendere, sempre impugnando l’asta per i selfie del suo smartphone, la sua vita, i suoi incontri, la sua esplorazione del territorio in Italia. Elisabeth è una grande produttrice di video, di immagini filmate, cosa che stupisce i suoi stessi coetanei, che raccontano che avrebbe voluto diventare una filmmaker. Ed è proprio attraverso la visione di queste immagini secondarie, come i filmati che esamina il professor Monroe di Cannibal Holocaust, che si cercherà di risalire alla dinamica della vicenda. Il paragone con il suo film cult però si esaurisce qui, non è ripreso in fotocopia. Deodato sceglie di non sviluppare quella che sarebbe stata un’altra potenzialità della vicenda, quella del ruolo dei mass media, pervasivo e morboso, forse ancora una volta i veri cannibali. Ma qui al regista interessano altre cose.

In una storia tratta dalla cronaca, dove come si è detto i riferimenti alla realtà sono davvero espliciti – finanche nella ricostruzione fedele di quella che deve essere stata la dinamica del vero omicidio nella degenerazione di un rapporto sessuale orgiastico forzato – Deodato mette in scena numerosi archetipi. A partire dalla figura centrale di Lenka, novella Lady Machbeth, ammaliatrice e manipolatrice che vorrebbe anche indurre i suoi uomini a commettere omicidi. E nell’impianto narrativo emergono fortemente temi hitchcockiani. La necessità di smaltire un cadavere, che è subito messo in scena dall’inizio, quel corpo ingombrante di cui grottescamente i protagonisti dovrebbero disfarsi, senza molta voglia in realtà. Cosa che peraltro rappresenta il principale tradimento rispetto ai fatti di cronaca, dove non c’è stata questa persistenza della salma che è stata subito rinvenuta. La vicenda umbra è una sorta di “trouble with Elisabeth”, una congiura dei colpevoli. E i ragazzi protagonisti non sentono nemmeno il bisogno di nascondere il cadavere in una cassapanca come facevano i giovani, sempre altolocati, di una volta, in Nodo alla gola. Il cocktail di droga e sesso può proseguire tranquillamente alla presenza, anche esibita, della morta.

Emerge una visione non certo idilliaca dei giovani contemporanei da parte di un uomo d’altri tempi come Ruggero Deodato, che si fa ritrarre nelle vesti del loro professore in carrozzina (il professor Roth che scambia così la strizzatina d’occhio al regista di Hostel: Part II e The Green Inferno) che viene da loro portato via, ma così, solo per scherzo. Una generazione dissoluta e degenerata, dove tra l’altro tutti devono dei soldi a qualcuno, un ritratto impietoso e moralistico virato al grottesco a partire dalla prima scena di sesso e vomito. Sono loro i veri cannibali?

Info
La scheda di Ballad in Blood sul sito del Science+Fiction.
Il trailer del film su Youtube.
La pagina Facebook.
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