The Beast Stalker

The Beast Stalker

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Quasi completamente privo di originalità sotto il versante narrativo, The Beast Stalker funziona alla perfezione da un punto di vista strettamente spettacolare, con inseguimenti e sparatorie che lasciano più di una volta con il fiato sospeso. Al Far East 2009.

Io ti salverò

Dopo un’irruzione da parte della polizia di Hong Kong si crea un inseguimento per catturare un criminale locale. Il sergente Tong Fei e il suo collega Sun vengono coinvolti in un incidente che porta il criminale al coma. Inoltre, nell’incidente il collega di Tong Fei rimane storpio, e viene scoperta morta nel bagagliaio dell’auto del criminale la giovane figlia della procuratrice Ann Gao. Tong Fei, per il dolore, abbandona la divisa. Qualche mese più tardi, quando sta per iniziare il processo per portare il criminale, svegliatosi dal coma, in prigione, la sorella della bambina viene rapita sotto gli occhi della madre durante una festa a scuola. Disposto a tutto per salvarla, Tong si lancia alla sua disperata ricerca per redimersi dall’errore commesso. [sinossi]

Lo si attendeva al varco, Dante Lam: dodici anni di carriera, a partire da quel 1997 in cui portò a termine Option Zero, instant-movie action ambientato nei giorni del ritorno di Hong Kong alla Cina, vissuti perennemente con  il brivido dell’instabilità. Quindici lungometraggi diretti, comprendendo nel computo anche The Sniper, il cui set ha preso il via proprio a ridosso delle riprese di The Beast Stalker, e la capacità di essere tutto e niente all’interno della cinematografia contemporanea di Hong Kong. In verità Lam è il paradigma perfetto del regista che di questi tempi si barcamena nell’industria della città-stato: una figura che unisce alla volontà ferrea di perseguire l’ideale e(ste)tico della new wave vissuta negli anni ’80, un’endemica difficoltà ad adattarsi al presente, compenetrandovisi. Esperienza questa che accomuna Dante Lam – che mosse i primi passi nel mondo del cinema sotto l’egida protettiva di un veterano come Gordon Chan – ad altri colleghi, e che segnala puntualmente lo stato di crisi in cui versa oramai almeno da un lustro (ma la dannosa inversione di tendenza è impossibile non ricondurla all’hangover del 1997) la cinematografia popolare hongkonghese, eccezion fatta per gli autori conclamati.

Anche per il desiderio di aprire ulteriormente gli occhi su questa realtà, si aspettava al varco Lam: ben poco aveva convinto Storm Rider – Clash of the Evils, visto a gennaio a Bologna in occasione del Future Film Festival e non migliorava di molto la situazione utilizzare la macchina del tempo per approdare ai vari The Twin Effects e Love on the Rocks. Anche a seguito di queste considerazioni, e dopo aver posto The Beast Stalker su un’ideale bilancia per compararlo con le opere precedenti di Lam, è stato possibile sorprendersi positivamente del risultato finale della sua ultima fatica. The Beast Stalker è un’opera tesa, diretta, poco incline a scendere a compromessi con l’ibrido: in un’epoca storica in cui la compenetrazione dei generi si è spinta fino a vertici estremi, un lavoro come quello portato a termine da Lam può correre il rischio di essere accusato di passatismo. È indubbio, in effetti, che lo sguardo del cineasta di Hong Kong sia perennemente teso al passato, quell’epoca storica in cui il poliziesco viveva una palingenesi salvifica per mano di John Woo, Ringo Lam, Tsui Hark e compagnia: a dirlo sono i movimenti di macchina, la psicologia dei personaggi, la riproposizione quasi pedissequa di situazioni e ambienti – vedere per credere la sequenza iniziale, con l’intervento della PTU a sgominare una gang di criminali – perfino la struttura narrativa che prevede senso di colpa e redenzione per il protagonista.

Insomma, chi parlasse di originalità per The Beast Stalker meriterebbe di essere accusato di falso in atto pubblico: ciononostante, è doveroso porre dei distinguo. The Beast Stalker funziona alla perfezione da un punto di vista strettamente spettacolare: inseguimenti e  sparatorie lasciano più di una volta con il fiato sospeso, e almeno una sequenza (quella dell’incidente automobilistico che è poi, a ben vedere, la base su cui si fonda l’intero film) merita di entrare in un’ipotetica antologia delle migliori scene action dell’ultimo decennio. Dante Lam dimostra di conoscere talmente bene la materia di cui è fatto il poliziesco hongkonghese da muoversi con leggiadria in un percorso minato in continuazione dallo spettro del prevedibile; ed è proprio questa grazia nel tocco, a fronte di una notevole messe di titoli che solitamente spingono il pedale sulla crudezza gratuita dell’immaginario visivo per nascondere le pecche della propria struttura narrativa, a salvare la pellicola e a rivalutarne il risultato finale. The Beast Stalker, nonostante alcune incongruenze e una seconda parte eccessivamente tirata per le lunghe, ha il pregio di puntare a lavorare di fino sulla psicologia dei personaggi, costruendo una dicotomia bene/male tutt’altro che banale: a farla da padrone è ovviamente il rapitore interpretato da un monumentale Nick Cheung (tra gli altri Breaking News, i due capitoli di Election ed Exiled), in grado di donare un’anima dolorosa, tragica e disillusa a un personaggio che altrove sarebbe stato trattato con molta più semplicità. Ed è probabilmente questa voglia di non accontentarsi della soluzione più facile a rendere The Beast Stalker un action ben più che sufficiente, oltre che il miglior film di Lam da anni a questa parte. In tempi di magra come quelli che si vivono a Hong Kong, forse vale la pena accontentarsi…

Info
Il trailer di The Beast Stalker.

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