Cowboy Bebop – Sound & Vision

Cowboy Bebop – Sound & Vision

Cowboy Bebop (Sunrise, 1998-99) è sicuramente uno degli anime che hanno segnato un prima e un dopo, nella sua epoca superato per influenza forse solo da Neon Genesis Evangelion. Ne proponiamo un’analisi scomposta, focalizzando l’attenzione di volta in volta sui diversi aspetti che ne hanno segnato peculiarità e valore: dalla musica d’accompagnamento, che funziona come una sorta di coprotagonista, all’organizzazione della sceneggiatura.

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La registrazione è gratuita.

La sigla d’apertura dell’anime, posta come prima traccia del Cd che ne raccolse la colonna sonora, si intitola Tank!: è introdotta da una voce maschile dal tono suadente, che annuncia “I think it’s time to blow this scene. Get everybody and the stuff together. Ok, three, two, one let’s jam”. Non è un particolare da sottovalutare, perché contribuisce, assieme al piglio ritmico, a iniettare nel baricentro del pezzo, a metà fra swing e hard bop, un piglio sexy vicino alle colonne sonore della blaxploitation. In questo ritrovato è riassunto quasi per intero l’approccio di Yoko Kanno, autrice delle musiche: dalla metà degli anni Ottanta a oggi Kanno ha composto una quantità imponente di musica, spaziando fra videogame, jazz, classica e j-pop con una disinvoltura tale da renderne inclassificabile l’approccio. Quelli composti da Kanno e suonati per l’occasione dai Seatbelts, big band da lei stessa diretta, sono melting pot potenzialmente senza limiti, ed è paradossale se si considera che la stessa ha più volte dichiarato di non essere interessata tanto ai generi da affrontare, quanto al concetto stesso di composizione, che considera universale e a cui non ha intenzione di porre barriere: gli arrangiamenti sono quindi variegati non perché in seguito alla composizione si sia deciso di diversificarli, bensì perché la composizione stessa richiede una gamma di suoni più vasta della media. Essendo abituati al mondo della popular music, dove la creatività è legata a doppio filo con l’apparato tecnologico e dove a stabilire il maggior numero di sfumature e a personalizzare i dischi sono quasi sempre gli arrangiamenti (a fronte di modalità compositive tutto sommato rigide), il mood di Kanno appare quasi come un ribaltamento delle parti. Sempre dalle dichiarazioni di Kanno apprendiamo come le musiche le vengano commissionate con largo anticipo sulla fine dei lavori, il che la porta quasi sempre a doversi misurare semplicemente con le linee guida della trama. Perciò, per quanto la varietà dei paesaggi sonori dipinti da Kanno possa averne facilitato il compito, il merito dell’amalgama fra musica e immagine che caratterizza Cowboy Bebop va assegnato in gran parte al regista Shinichiro Watanabe. Certo è che da ambo le parti si è tentato di smussare il più possibile il fattore anacronistico. Un hard bop vecchia maniera piazzato in una serie di fantascienza ambientata in un futuro gelido che stravolgesse per intero le attuali strutture sociali, sarebbe risultato un esperimento interessante, ma probabilmente fine a sé stesso e poco coeso. Invece, da un lato troviamo una colonna sonora che nell’impalcatura jazzistica riesce a intersecare country, funk, ska e fondali elettronici, vivacizzando l’insieme e rilegandolo con una pulizia del suono scintillante, dal taglio avveniristico (Kanno si dimostra prodigiosa anche nell’utilizzo dello studio di registrazione); dall’altro abbiamo un anime che smorza l’effetto fantascientifico attingendo da western, noir, commedia, e sfruttando una ragnatela di micro-realtà (sociali e ambientali) del tutto simili a quelle rintracciabili attualmente in giro per i quattro angoli del globo.

Come ha in seguito dimostrato anche tramite Samurai Champloo, Watanabe ha il pallino della sperimentazione tramite l’abbinamento musica-immagine: le colonne sonore dei suoi anime sono nettamente superiori a quelle utilizzate dalla maggior parte dei colleghi, che ricorrono spesso a enfatiche orchestrazioni, j-pop dozzinale o, negli ultimi anni, a improbabili, patinati numeri emo-rock dalle sfumature punk e metal. Musiche che prese isolatamente si svelano del tutto prive di sostanza, ma che accettiamo senza problemi essendo il mondo degli anime fatto anche di delicati equilibri sul filo del kitsch o di sfasamenti di contesto dai tratti grotteschi: sarebbe insomma pretestuoso richiedere un tipo di rigore che non è mai appartenuto al campo artistico in questione. Ciononostante Watanabe ha dimostrato che volendolo si potrebbe operare anche in tale direzione, abbattendo un tabù di non poco conto.

Ci ritroviamo così nei momenti di pausa a essere accompagnati dalle note solitarie di un’armonica a bocca o di una chitarra slide, mentre l’inquadratura si staglia su questo o quello sconfinato paesaggio, con le luci a colorare il tutto di un’epica western degna del miglior John Ford; mentre quando le stasi vengono utilizzate per i flashback è magari un delicato tappeto ambient dal sapore etnico a incorniciare la scena e a rinforzare la filigrana spirituale del momento. Sono musiche che meriterebbero di essere elogiate in toto, tuttavia possiamo rintracciare momenti particolari in cui l’utilizzo volutone da Watanabe è tanto vincente da travalicare la visionarietà della stessa Kanno: quando per esempio inserisce brani lenti e intensi per commentare momenti densi d’azione. Nessuna contraddizione: un inseguimento in cui lo scopo è catturare un criminale qualsiasi non rappresenta chissà quale vertice emotivo, può anzi venire sfruttato per momenti di ilarità, e si sposa quindi a jazz-funk sincopati come Too Good Too Bad (che riprende il giro di basso di Chameleon di Herbie Hancock) o Bad Dog No Biscuits (utilizzato per l’esilarante rincorsa che porterà il cane Ein a entrare nell’equipaggio del Bebop); viceversa un inseguimento in cui i personaggi vengono messi alla prova sulla sfera dei sentimenti personali, genera una situazione a modo suo dotata di una certa sacralità, per rendere più luminoso l’alone della quale il regista decide per il particolare gioco di opposti. Sono momenti che hanno insomma la stessa valenza ritmica di un flashback o di un momento di riflessione, nonostante la velocità con cui scorrono le immagini sembri suggerire il contrario. E se è vero che Watanabe non è stato il primo a utilizzare un simile escamotage, è altrettanto vero che chiunque l’abbia preceduto non aveva al proprio arco la freccia vincente rappresentata dalle musiche di Kanno: non un dettaglio da poco.

Possiamo osservare tutto ciò già nel primo episodio, quando la coppia di contrabbandieri inseguita da Spike opta per il suicidio proprio durante il momento più frenetico: tastiere elettroniche dal sapore new-age e un vellutato sax salmodiante, mentre intorno si azzera qualsiasi altro suono. Un lampo di luce e tutto è finito.

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Cowboy Bebop – Paesaggi
La storia di Cowboy Bebop si svolge nel 2071 avanti e indietro per il sistema solare, colonizzato nel corso del ventunesimo secolo. A collegare le zone occupate è un’autostrada spaziale composta da una serie di gate…

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Cowboy Bebop – Personaggi
Quasi tutte le puntate di Cowboy Bebop sono auto-conclusive, e in ognuna vengono presentati personaggi che compariranno esclusivamente all’interno della stessa. Descriverli tutti risulterebbe impossibile, ci limiteremo quindi ai protagonisti.

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Cowboy Bebop – Stile narrativo
Posto che lo staff ha svolto per intero un lavoro eccelso, c’è una terza figura su cui ci dobbiamo soffermare per comprende appieno la riuscita della serie: l’autore Keiko Nobumoto, in seguito creatore di Wolf’s Rain e al fianco di Satoshi Kon per Tokyo Godfathers.

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Info
Il trailer di Cowboy Bebop.
Cowboy Bebop sul sito Vvvvid.

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