Chongqing Blues

Chongqing Blues

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Il cinema di Wang Xiaoshuai si è sempre barcamenato più o meno abilmente tra il melodramma e uno scavo radicale ma anche piuttosto simbolico della psiche dei suoi personaggi: in Chongqing Blues è come se queste due componenti combattessero a ogni inquadratura. Presentato a Cannes 2010.

Paternità inquieta

La storia di un padre alla ricerca di suo figlio; la vicenda si snoda tra incertezze, amore e confusione, sentimenti comuni in ogni famiglia… [sinossi]

È spesso a metà tra melodramma e intimismo psicologico il cinema del cinese Wang Xiaoshuai. Dopo lo stupefacente In Love We Trust, tra i migliori ritratti urbani degli ultimi anni, ritorna al cinema quello che, pur non sempre convincendo appieno, rimane uno dei più grandi cantori della Cina contemporanea, dei suoi eccessi, delle sue follie e dei suoi aspetti più conturbanti e inquietanti. Dopo aver vinto sempre qui a Cannes nel 2005 il Premio della Giuria con Shanghai Dreams, Wang ritorna in terra francese con Chongqing Blues, ancora in competizione, portando in scena la storia di una paternità apparentemente impossibile: il blues del titolo è la ballata malinconica e triste di un padre (capitano di navi oceaniche) che dopo la morte del figlio decide di tornare sulla terraferma dopo molti anni, e dopo aver lasciato la sua vecchia famiglia per costruirsene un’altra.

Impreziosito da un non-detto piuttosto accentuato – interessante la scelta di epurare qualsiasi chiarimento o spiegazione riguardo ai motivi che spinsero il protagonista a lasciare la propria vecchia vita – e da una messa in scena minimalista, il film di Wang Xiaoshuai regge bene per almeno tre quarti, lasciandosi andare verso la fine, per non dire smutandandosi completamente nel finale. Dicevamo poco sopra che il cinema di Wang Xiaoshuai si è sempre barcamenato più o meno abilmente tra il melodramma (nella sua accezione più intrisa di sentimentalismo e di pietismo) e uno scavo radicale ma anche piuttosto simbolico della psiche dei suoi personaggi: in Chongqing Blues è come se queste due componenti combattessero a ogni inquadratura, e dove inizialmente sembra avere la meglio la seconda (in tutto l’abbandonarsi al dolore cieco e sordo dell’uomo ma anche nella sua silenziosa bramosia di conoscere il benché minimo dettaglio della vicenda del figlio) alla lunga è quel malcelato pietismo e quel gusto per una certa retorica, anche ricattatoria va detto, a prendere il sopravvento. E quello che sembrava essere una sorta di Blow-Up digitale, con il padre deciso a scavare nella vita del figlio anche grazie a un video che lo ritrae (e anche qui, come nel capolavoro di Antonioni, c’è di mezzo un crimine: il figlio, infatti, è colui che sequestra e ferisce alcune persone all’interno di un centro commerciale, finendo poi ucciso da un poliziotto mentre il tutto viene ripreso dagli occhi di una telecamera a circuito chiuso) con l’uomo che se ne ossessiona a tal punto da volerne ingigantire un frame in modo da vedere il viso di quel figlio che non vedeva da 15 anni, diventa invece un inspiegabile e insipido melò che prende lo spettatore per la gola soprattutto con una retorica conciliante e moralizzante sull’importanza di un gesto, come quella carezza finale che il protagonista dà al figlio concepito con la seconda moglie.

Difficile poi perdonare quella deriva sentimentale che rievoca attraverso un lungo flashback le vicende degli ultimi giorni di vita del figlio, colto nelle sue crisi esistenziali e amorose tutte però riconducibili all’assenza di quel padre che si ostina ad aspettare, nella speranza che un giorno torni per portarlo a pesca. Così come non si riesce a perdonare quel triangolo appena suggerito tra il figlio, la sua ragazza e il migliore amico di lui, quello sì completamente inutile anche dal punto di vista drammaturgico, visto che aggiunge particolari e dettagli narrativamente insipidi che non portano da alcuna parte. Rimangono certo alcuni lampi di una regia comunque interessante, come nel bellissimo intreccio tra domande e risposte che si avviluppa tra presente e passato, ottenuto tra flashback di ricordi e dialoghi tra vari personaggi del film: un incredibile accavallarsi spazio-temporale di storie e di volti che sperde lo sguardo in un orizzonte confuso e indecifrabile.

Info
Il trailer di Chongqing Blues.

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