Drei

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Al Festival di Venezia 2010, Tom Tykwer presenta Drei, rilettura berlinese del triangolo amoroso, ma la sua sperimentazione si ferma allo splitscreen e i personaggi sono appena abbozzati.

Tu sopra, io sotto (e lui in mezzo)

Berlino, oggi: Hanna e Simon sono una coppia mondana, che ha vissuto assieme per anni. Lavoro, amore, sesso e quotidianità si sono ormai amalgamate in una belligerante armonia. Poi Hanna incontra Adam. E Adam incontra Simon. Inaspettatamente, i tre si innamorano. Hanna e Simon non sanno della relazione dell’altro. Ma il segreto comincia lentamente a confondere tutti e tre gli amanti, e minaccia di spezzare i fragili legami della coppia. Drei è un’indagine sulla vita emozionale di una generazione che prova a riconciliare nuove possibilità e antichi desideri… [sinossi]

Peggio di così, il ritorno di Germania di Tom Tykwer, era difficile immaginarselo. Dopo la parentesi vagamente mainstream di The International, pellicola godibile ma completamente dispersa nel proprio incessante flusso geo-politico, ecco arrivare al Festival di Venezia 2010 questo Drei, ovvero “tre”, film che dire inutile è dir poco, dove prende le mosse un triangolo amoroso (in fatto di eversioni sentimentali il festival ha davvero offerto il peggio di sé, grazie a questo e a Happy Few) ridicolo e pretenzioso. Stilisticamente rimasto fermo al suo più illustre cinema (il postmoderno techno-punk come qualcuno si arrischiò a definire), con soltanto qualcosa come dodici anni in più sul groppone (Lola corre è infatti datato 1998), Tykwer si ricorda di sperimentare utilizzando un innocuo splitscreen nel quale far convogliare tre o quattro momenti narrativamente forti o completamente inutili, come massima provocazione.

Siamo a Berlino e non poteva mancare un angelo dall’alto, e nemmeno la Colonna della Vittoria (la Siegessäule che svetta nel parco del Tiergarten) dominata dalla statua dorata, ma soprattutto una libertà sessuale che non potremmo far altro che definire “berlinese”. E in effetti sembra proprio che questo Drei sia un modo per Tykwer di riconquistare la sua città, in alcuni scorci urbani (già presenti peraltro in The International, come la nuova splendida Hauptbahnhof di Berlino), e nell’insistenza a proporre quelle superfici lisce che davvero costituiscono l’epidermide di una delle metropoli più belle e particolari del mondo. Il problema è quando questo sguardo si adatta ai propri personaggi: è lì che Tykwer evidenzia tutti i suoi limiti, narrativi e stilistici sia chiaro. L’evolvere dei personaggi, le loro manie, le loro ossessioni, i loro repentini cambi d’umore e soprattutto quell’ondivago senso di bizzarrìa sessuale, di sfrontatezza se vogliamo, vengono resi sullo schermo in modo piatto, banale, senza dargli alcuno spessore né tantomeno motivazione. Tutto deve concorrere semplicemente a creare, per Tykwer, una coreografia della sessualità sfrontata e libertina (e non a caso usiamo il termine “coreografia” visto che indebitamente il regista mostra alcuni frammenti di balletti che servono a metaforizzare sia i personaggi che soprattutto i loro comportamenti) da far annegare in propositi stilistici all’acqua di rose, abbondando quanto in luoghi comuni quanto in falsi scandali.

Fin da subito è ben chiaro quale sia l’universo filmico nel quale il regista vuole giocare: attraverso la voce off della protagonista arrivano allo spettatore i pensieri e i commenti tra sé che questa compie, mentre poco dopo questi stessi pensieri, ma anche sogni o incubi che siano, diventano inserti in bianco&nero di film nel film. Questo significa in poche parole che l’intera pellicola poggia sull’unione di uno stile artefatto e una serie di colpi di scena capaci di far cambiare la visione della realtà, e soprattutto di non approfondire i risvolti psicologici dei personaggi. Curiosa poi la scelta più che insistita di citare Miracolo a Milano di Vittorio de Sica: più volte, infatti, all’interno del film di Tykwer compaiono frammenti interi del capolavoro desichiano, mentre altre volte se ne sentono alcuni brani musicali. Dai barboni nullafacenti di Milano ai professionisti berlinesi di Drei (due dottori e un creature di sculture per artisti) il passo non è certo breve: forse a ispirare Tykwer è il fatto che entrambi i gruppi sociali, pur partendo da basi diverse, finiscono con il fare festa, gli uni volando con le scope sulla città lombarda, gli altri a letto trombando come ricci. O tempora, o mores.

Info
Il trailer di Drei.
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